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Povertà in Italia. Andiamo sempre peggio.

Che l’economia non vada, questo giornale l’ha detto in più di un’occasione, nonostante il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, continui a mostrare fiducia nel futuro, non perdendo occasione di asserire che molti comparti siano in miglioramento.

Se è vero che piangersi addosso non aiuta, attirando, come dicono i sostenitori della New Age, più di una negatività, è altrettanto vero che occorre essere pragmatici e obiettivi se si vogliono risolvere i problemi.

Se l’economia non migliora, l’Italia muore. Occorrono capitali e innovazione.

È elevato il numero delle famiglie che nel nostro Paese manifesta sintomi di disagio abitativo. Il 10% non riesce a pagare le bollette, l’affitto o la rata del mutuo.

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Oltre il 20% vive in appartamenti poco riscaldati o danneggiati.

A rilevarlo è un’analisi pubblicata sul sito www.monitorimmobiliare.it, service editoriale specializzato nel settore del Real estate.

Il 60% dei nuclei considera le spese per la casa un carico troppo pesante.

In un Paese come l’Italia, “tradizionalmente caratterizzato da un’incidenza della proprietà, prossima al 70% e tra le più alte in Europa, e da un mercato degli affitti poco liquido e scarsamente dinamico – evidenzia il rapporto – il protrarsi della crisi economico-finanziaria e il conseguente impatto sul reddito disponibile delle famiglie hanno determinato un’attenzione crescente in relazione sia al bene casa, sia alla sostenibilità del modello di sviluppo sociale”.

Secondo il rapporto Istat sul fenomeno della povertà relativo all’anno 2015, una persona su tredici viveva in stato di povertà assoluta.

Se nel 2014 vi versava il 6,8 per cento della popolazione residente, nel 2015 il dato è salito al 7,6 che equivale a 1 milione e 582mila nuclei familiari. Se invece si contano le persone si arriva a 4 milioni e 598mila poveri: il numero più alto mai registrato dal 2005.

Secondo la definizione dell’Istat rientrano nella categoria di assoluta povertà coloro che non possono permettersi la soddisfazione dei fabbisogni essenziali, quali un’alimentazione adeguata, un’abitazione riscaldata, il minimo necessario per vestirsi, muoversi, comunicare e mantenersi in salute.

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Nelle grandi città la povertà colpiva il 7,2 per cento delle famiglie. L’incidenza maggiore è quella giovanile che va dai 18 ai 34 anni. La quota scende progressivamente man mano che l’età sale, toccando il 4 solo per cento tra gli ultrasessantacinquenni, l’unica fascia d’età che mostra un calo: nel 2014 gli anziani poveri erano il 4,7 per cento.

I più poveri sono stati registrati al Sud, tra le famiglie numerose.

Calabria, Sicilia, Basilicata e Molise avevano, in proporzione, più del doppio dei poveri rispetto alla media nazionale e più di quattro volte quella di alcune regioni del centro-nord. Numeri alla mano, una persona su quattro nel 2015 era povera. In Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto lo era una su venti.

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I dati parziali che arrivano da altre fonti per la prima parte dell’anno in corso non fanno presumere alcun miglioramento.

Del resto basta qualche domanda in giro per toccare con mano una realtà che fa spavento.

Ma bisognerà attendere il rapporto relativo a tutto il 2016 per affermarlo con certezza.

Le radici dell’odierna povertà vanno cercate nella crisi economico-finanziaria del 2008 che ha indotto un clima di austerità, favorendo la classe ricca e spingendo quella media verso la soglia del disagio. Gli stipendi sono rimasti pressoché invariati e le spese sono andate, adeguandosi agli standard del mercato internazionale, aumentando.

Come resistere?

Sono state varate misure di sostegno che non fossero una tantum nei confronti delle fasce deboli?

La povertà si combatte con la creazione di posti di lavoro, non con tirocini o vouchers. Con un programma economico serio di sviluppo e di abbattimento della pressione fiscale.

Un Paese che produce ricchezza e che la distribuisce correttamente è in grado di risolvere a monte il problema.

È chiaro che se continueranno ad essere aggredite, con una tassazione sempre più incidente, quelle fasce per le quali il prelievo fiscale è previsto a monte (leggasi dipendenti con busta paga), si ostacolerà sempre più il piccolo commercio, già in crisi, incrementando la recessione.

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Data:

13 Agosto 2016