
È stata una serata commovente, nel ricordo di uno dei più controversi intellettuali che l’Italia abbia mai avuto. Una intelligenza scomoda e profeta inascoltato del nostro ‘900: Pier Paolo Pasolini. Poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo, Pasolini ha trovato la morte la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia, ufficialmente per mano di Pino Pelosi, e poco prima aveva cenato con Ninetto Davoli a Pommidoro, nel quartiere romano di San Lorenzo.
Ed è esattamente nel locale Pommidoro che lo scorso 12 aprile si è svolto il Premio Letterario Internazionale “Omaggio a Paolini”, presieduto dal critico letterario Marina Pratici: un luogo simbolico per celebrare un genio italico nelle sue tante sfumature.
L’iniziativa, alla seconda edizione, si è avvalsa del Patrocinio richiesto del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia in Friuli e delle realtà associative che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento: Associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Cenacolo Internazionale di Arte Letteraria le Nove Muse, Union Mundial de Poestas por la Paz y por la Libertad, Ciesart.
Tra gli assegnatari del premio dell’anno 2025, figura lo sceneggiatore, regista e scrittore Marco Tullio Barboni, premiato per la eccellente carriera. La sua famiglia di cinematografari (lo zio Leonida, magistrale direttore della fotografia / il padre Enzo, operatore alla macchina poi direttore della fotografia, infine regista con lo pseudonimo di E.B. Clucher) ha firmato pezzi importanti nel campo della Settima Arte affermatosi poi in campo internazionale.

Lo intercettiamo a Roma, dove vive, soddisfatto della serata al Pommidoro.
- Complimenti per il premio. E per la sua lunga e brillante carriera.

In effetti, non sono più il ragazzino agli esordi, sui set con mio padre (sorride). In occasione del film cult “Lo chiamavano Trinità” che mio padre ha scritto e diretto, avevo la qualifica di secondo aiuto regista e solamente 18 anni di eta’.
Ne è passata di acqua sotto i ponti.
Ho scritto una quarantina tra film ed episodi televisivi che, devo ammettere hanno avuto grande successo, ed ho lavorato come sceneggiatore in film che hanno fatto – lo dice la critica – la storia del cinema di genere insieme a mio padre regista.
Poi, il desiderio di affrontare tematiche diverse in maniera totalmente libera mi ha indotto ad una incursione “free lance” nella regia, e mi ha catapultato nella Letteratura.
E’ questo il mio grande amore degli ultimi anni: spero che vedrà presto la luce il mio prossimo libro.
- Cosa si prova a ricevere un Premio intitolato a Pasolini?

Venire insigniti di un riconoscimento è sempre motivo di soddisfazione.
Ci si dichiara onorati, si ringrazia la giuria per aver apprezzato il nostro lavoro e ci si compiace per il privilegio per essere entrati nel ristretto novero di coloro che hanno saputo distinguersi nell’ambito al quale l’appuntamento in questione fa riferimento.
Tutto ciò è più o meno sempre vero. In alcune circostanze, però, questo è più vero che in altre.
Lo è per le esperienze di vita di ciascuno, per la contiguità ideale o per la stima che si prova per colui al quale quel premio è intitolato o quel particolare riconoscimento fa riferimento o ancora per la rilevanza con la quale certi eventi si sono impressi nella nostra mente e nei nostri ricordi.
Nel mio caso questo “Omaggio a Pasolini” rientra in queste seconda, selezionata casistica.
- Per quali motivi in particolare Lei sente affinità con Pasolini?
Vuoi per il fatto di appartenere ad una “famiglia di cinema”, vuoi per i miei studi universitari (in particolare in riferimento al fatto di aver sviluppato una tesi sulla censura cinematografica), vuoi per l’inevitabile, crescente interesse che ho provato per la sua opera e per l’ascolto che i suoi interventi di autore e di cittadino meritavano, tutto ciò ha fatto sì che anche in quelle occasioni in cui non mi ritrovavo nelle sue riflessioni o valutazioni, non potessi non avvertire la presenza di un interlocutore solido ed onesto, di un uomo e, mi verrebbe da dire, di un anima incapace di qualunque omologazione, gioioso come quando amava cimentarsi nella sua passione per il calcio e severo come nelle mille occasioni nelle quali ha fronteggiato, senza fare sconti a nessuno, coloro che riteneva orientassero la società sulla strada del conformismo becero, della perdita di memoria, dell’opportunismo e dell’incultura.
- Per concludere?
Vorrei sottolineare la sua severità e incapacità di fare sconti che in molti, ed io sono tra questi, ritengono all’origine della sua tragica e prematura scomparsa. Chi ha ascoltato le sue riflessioni e letto i suoi scritti, a cominciare da quello spietato e per molti versi profetico articolo apparso sul Corriere della Sera esattamente un anno prima della sua morte, non può non domandarsi come avrebbe interpretato Pasolini gli anni successivi o addirittura l’epoca attuale, carente come poche di uomini della sua lucidità e tanto refrattari ai compromessi.