Importante cerimonia quella tenutasi a Oslo, che ha visto la consegna del premio Nobel per la pace assegnato lo scorso 7 ottobre a coloro che “hanno compiuto uno sforzo eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e l’abuso di potere. Insieme dimostrano l’importanza della società civile per la pace e la democrazia”.
Sono le parole di Berit Reiss-Andersen, capo del comitato per il Nobel. Premiati Ales Bialiatski, antagonista bielorusso tuttora ristretto in carcere – motivo per il quale il premio è stato formalmente ritirato dalla moglie Natalia Pinchuk -, la ONG ucraina “Center for Civil Liberties” (CCL) rappresentata da Oleksandra Matviychuk e l’organizzazione russa “Memorial” rappresentata dal suo presidente Yan Rachinsky. “Quest’anno i premiati rappresentano la società civile nei loro Paesi, hanno per molti anni promosso il diritto di criticare il potere e proteggono i diritti fondamentali dei cittadini”, si legge nella motivazione a sostegno del premio.
Come ogni anno la cerimonia si è tenuta nella giornata del 10 dicembre, ricorrenza della morte di Alfred Nobel, in quel di Oslo.
Ales Bialiatski è detenuto nelle carceri del proprio paese, senza un processo, dal 2020, “reo” di aver finanziato movimenti politici di opposizione al partito di Lukashenko: viene definito, nei documenti inerenti il premio, “uno degli iniziatori del movimento per la democrazia emerso a metà degli anni ’80 in Bielorussia, che ha dedicato la sua intera vita a promuovere la democrazia e lo sviluppo pacifico del suo Paese”.
Il “Centro per le libertà civili”, rappresentato da Oleksandra Matviychuk, è un’organizzazione ideata “con il proposito di far avanzare i diritti umani e la democrazia in Ucraina. Dopo l’invasione russa di febbraio si è impegnata negli sforzi per identificare e documentare i crimini di guerra russi contro la popolazione ucraina”. Inoltre, “sta svolgendo un ruolo centrale nel mettere le parti colpevoli di fronte alla responsabilità dei propri crimini”, si legge sempre nella motivazione a fondamento del premio ricevuto. In una conferenza stampa la stessa Matviychuk ha esclamato: “Putin si fermerà quando noi lo fermeremo”.
“Memorial” è invece “un’organizzazione basata sulla nozione che confrontare i crimini passati è essenziale nel prevenirne nuovi”: questa la motivazione posta alla base dell’assegnazione, all’organizzazione umanitaria russa, del premio. È stata “istituita nel 1987” si legge, “da attivisti in Unione Sovietica che volevano assicurare che le vittime delle oppressioni del regime comunista non fossero mai dimenticate.” “Dopo il crollo dell’URSS, si è consolidata come la principale organizzazione per la difesa dei diritti umani in Russia, ed è diventata la fonte più autorevole di informazione sui russi arrestati, in prima linea per combattere il militarismo e le violazioni dei diritti umani e per un governo basato sul rispetto della legge”. A ritirare il premio il suo presidente, Yan Rachinsky, il quale ha definito “folle e criminale” l’attacco di Putin all’Ucraina. Affermare che la resistenza alla Russia prenda il nome di “fascismo”, significa fornire una “giustificazione ideologica per la guerra di aggressione contro Kiev”, ha dichiarato nelle fasi di ricevimento del premio.