L’unica nota positiva legata a questa lunga vicenda è la notorietà che produce, di riflesso, alla città di Bari, proprio come i luoghi fantasiosi delle interminabili telenovele più in voga. Più di un ventennio è trascorso da quando ha avuto inizio l’infinita storia di Punta Perotti, con la confisca, da parte della Procura di Bari, nel1997, del cosiddetto “ecomostro” sul litorale sud/est della città, in direzione Torre a Mare (ex frazione ed ora Municipio di Bari). Da allora si è dispiegato un lungo percorso giudiziario, tra sequestri, dissequestri, confische, condanne e assoluzioni; i vari gradi di giudizio e le relative sentenze, a senso alternato, hanno determinato implicazioni e ripercussioni politico-economico-sociali devastanti, fino al verdetto finale, da parte della CEDU (CORTE Europea dei Diritti dell’uomo), che ha ritenuto l’oggetto del contestato “improprio fuori luogo”, nonché “spropositato”, così come le accuse, le sentenze, le condanne e le confische.
La CEDU condannò nel 2012, con tale sentenza, lo Stato italiano al risarcimento di 49 milioni di euro, a favore dei ricorrenti SUD FONDI (società ammiraglia dei Matarrese), MIBAR e IEMA, imprese proprietarie e costruttrici del complesso, perché si rilevava una difformità formale della sentenza del processo penale che sanciva l’assoluzione degli imputati (le imprese) e la contestuale confisca dei terreni in oggetto, su cui era stata avviata la realizzazione della presunta “lottizzazione abusiva”. La CEDU riteneva, quindi, che senza quella confisca (la quale interessava anche particelle di altri proprietari, che non rientravano nella costruzione) le imprese avrebbero potuto realizzare un altro programma edilizio con un progetto conforme alle normative vigenti, per cui subivano un danno per la confisca disposta.
Successivamente alla sentenza della CEDU, le imprese coinvolte nella vicenda hanno promosso un accordo di programma per riqualificare e rigenerare la zona senza l’effetto “saracinesca”, approntando un progetto redatto da un architetto di fama internazionale, presentato già nel 2016, che prevede un grande comprensorio, di grande pregio, per la riqualificazione delle aree, nel rispetto di tutte le norme urbanistiche e in conformità ai parametri del Pptr (piano paesaggistico territoriale) che prevede delle deroghe, per quanto riguarda il limite dei 300 metri, nel caso di un accordo di programma. Tra l’altro il progetto prevede, oltre alle volumetrie residenziali e terziarie dimezzate, tanti spazi a verde pubblico, con un grande parco di 100.000 mq e una grande spiaggia attrezzata. Contestualmente era giunta la conferma da parte della CEDU della condanna dello Stato italiano al risarcimento di 49 milioni, perché la “confisca spropositata” avvenne in violazione del diritto della protezione della proprietà privata e della Convenzione dei diritti dell’uomo
Gli ultimi sviluppi della vicenda riguardano una richiesta perentoria, risalente a un mese fa, da parte dei liquidatori della SUDFONDI, in liquidazione per le conseguenze economiche derivate dalla vicenda. Quest’ultima intima infatti il Comune al rilascio immediato dei suoli privati; ciò fa seguito all’accettazione, da parte del Tribunale, della proposta di concordato preventivo per evitare il fallimenti e tutelare, nel contempo, i creditori. L’intimazione del rilascio del “Parco della Legalità” (che, ironia della sorte, potrebbe essere persino abusivo), che prevede la rimozione di tutte le strutture (giostrine, pista ciclabile tensostrutture), aveva una scadenza fissata al 30/11/2020. Ma la vicenda è destinata probabilmente a protrarsi nel tempo, perché se da una parte i liquidatori nominati dal Tribunale fallimentare richiedono il rilascio immediato dei suoli, ingiustamente confiscati, per tutelare i creditori, d’altro canto dal Comune potrebbero insorgere difficoltà di natura logistica ed economica per tale esecuzione, annosa e impegnativa. È necessario individuare una più giusta ed equilibrata soluzione, per coniugare l’esigenza di garantire ai cittadini l’uso di un’area a verde pubblico e le prerogative dei proprietari a cui sono stati restituiti i suoli con la revoca della confisca; l’ennesimo paradigma di un’area a verde pubblico su suoli privati.
Tra l’altro il Comune ipotizza da tempo un maxi progetto di riqualificazione del litorale a sud della città, con interventi di interesse collettivo, propendendo quindi verso soluzioni di tipo perequativo, volte cioè a scambiare aree edificabili con altre di pari valore. Ma anche questa soluzione richiede tempi più lunghi, perché incombe un contenzioso milionario, stimato in 144 milioni di euro (oltre ai 37milioni di euro riconosciuti dalla CEDU, a favore della SUDFONDI, per il solo mancato godimento), per i costi sostenuti e i danni subiti, relativi alle spese progettuali, all’ICI, agli oneri di urbanizzazione, ai lavori di costruzione, alle fideiussioni in favore degli acquirenti, ai mancati ricavi e quant’altro. Insomma, la vicenda andrà avanti probabilmente per un lasso di tempo incalcolabile, e ciò suscita nell’animo di molti cittadini, soprattutto per chi è un po’ avanti con gli anni, tanta amarezza e delusione per l’incertezza di poter vedere e godere la bellezza (chissà se è quando) di un litorale sud/est di Bari, rigenerato e riqualificato, anche ai fini di una legittima attrazione turistica della città.