Il 7 marzo 2025 è stato pubblicato il Decreto Ministeriale n. 32 del 26 febbraio 2025 che attua la
nuova previsione normativa al fine di garantire, su istanza della famiglia, la continuità dei docenti di
sostegno a tempo determinato, per l’anno scolastico 2025/2026. Il Decreto definisce, in modo rigido,
le condizioni necessarie: l’istanza deve essere inoltrata entro il mese di maggio, il docente deve
esprimere disponibilità e l’Amministrazione verificare l’idoneità della procedura. Il decreto del
Ministero dell’Istruzione e del Merito, in poche parole, assegna ai genitori una forza decisionale
determinante nella precedenza assoluta dell’insegnante, specializzato per il sostegno o senza
titolo ma con esperienza, vincolandolo però al via libera del Dirigente.
Se l’avvio del provvedimento non produrrà gravi distorsioni nel sistema di reclutamento, aprirà la
strada ad un percorso di riforma più strutturato sollevando interrogativi sul bilanciamento tra le
esigenze individuali degli studenti e le risorse disponibili nel sistema educativo.
Il provvedimento ha acceso, in modo prorompente, il dibattito sul profilo del docente specializzato
per il sostegno, dividendo il mondo della scuola tra fautori e oppositori.
Il diritto di scelta, riconosciuto alla famiglia, può essere interpretato come espressione
dell’autodeterminazione e della partecipazione attiva alla vita scolastica del figlio. Questo scenario
solleva, tuttavia, questioni etiche riguardo l’equità del sistema educativo e la necessità di intervento
statale per garantire un’allocazione giusta ed efficiente delle risorse.
Dall’altro lato, docenti e sindacati si oppongono al provvedimento, denunciando una deriva
clientelare e l’ombra di un sistema opaco, nonché di una pericolosa rievocazione della chiamata
diretta prevista dalla Legge renziana 107 del 2015. Inoltre, se il docente di sostegno è assegnato di
fatto alla classe, per coerenza di logica, l’istanza di continuità dovrebbe essere presentata da tutti i
genitori.
E, inoltre, perché non estendere questo provvedimento anche agli altri docenti della classe?
L’insegnante “di sostegno”, al pari dei suoi colleghi, possiede un profilo professionale
iperspecializzato, nonché medesimi compiti e responsabilità. Non “ha” un suo personale alunno in
possesso esclusivo, idea radicata ormai nell’immaginario collettivo del nostro Paese («il mio
insegnante di sostegno», «le ore di sostegno per mio figlio», ecc), ma si impegna “per” il sostegno, o
meglio, per attivare modalità di “sostegni” per l’intera comunità scolastica. In aggiunta, questa
relazionalità subisce negli anni una evoluzione quasi simbiotica, con connotazioni e conseguenze più
negative che positive.
È possibile conciliare il diritto delle famiglie all’autodeterminazione con l’obbligo dello Stato di
promuovere l’inclusione e l’uguaglianza? Come garantire che le scelte individuali non
compromettano il valore fondamentale della scuola come luogo di incontro e scambio tra diverse
realtà sociali?
Per garantire la continuità didattica la soluzione risiede nella stabilizzazione meritocratica dei docenti
specializzati e formati (e non attraverso sanatorie), spostando le numerose posizioni attualmente in
deroga in organico di diritto accanto alla diffusione di una cultura dell’inclusione.
La presa in carico degli alunni dev’essere un atto collettivo e condiviso, non un mandato esclusivo
allo specializzato di turno. Come diceva Winston Churchill “We shape our buildings, but afterwards
our buildings shape us” la rappresentazione (anche terminologica) che noi diamo al profilo
dell’insegnante di sostegno influenza l’estrinsecazione della qualità dei processi inclusivi.
Stefania Coluccia