Quando avevo circa 12 anni vedevo mio padre portare in tavola, di sera, una bottiglia di vino; questo non avveniva sempre poiché le finanze della famiglia non erano proprio… diciamo idonee per acquistare vini. Se proprio si doveva scegliere era senz’altro più normale pensare a beni di prima necessità. Ad ogni modo, ogni tanto arrivava sulla nostra tavola una bottiglia di vino, in genere preso nel negozio di “Vini e Oli” poco distante dall’abitazione, dove con il Signor Renato scherzavo sempre parlando di calcio. In realtà, per risparmiare qualcosa si prendeva un fiasco da cinque litri, quello con la paglietta intorno, per capirci, e se ne travasava un poco per volta in una bottiglia di vetro. Ricordo che il fiasco durava quasi una settimana e man mano che il livello scendeva, si sentiva sempre più forte l’aroma dell’ossidazione, ma dicevano che era un bene troppo prezioso per essere gettato; pertanto apprezzavano quel nettare anche con il difetto che si andava pronunciando. Ho ricordi sfocati di quei momenti forse perché non li comprendevo appieno. Agli occhi di un ragazzino di 12 anni che si stava affacciando alla vita e che provava a mettere in fila le sue priorità, senz’altro il vino non rientrava nell’ipotetico elenco da gestire, tutt’altro, lo vivevo come un disturbo, un concorrente che portava via economia alla famiglia.
Mio padre, che sapeva molto bene leggere nei miei occhi, mi rassicurava dicendomi che era il giusto premio che si era regalato per sè e per la mamma dopo giornate di fatica. Ora che ci penso, non erano molte le volte in cui si gratificava andando a cena fuori o cosa simili, anzi non ricordo affatto momenti così. In realtà non ricordo nemmeno che questo fiasco di vino si affacciasse molto durante l’anno, ma ricordo perfettamente che il suo arrivo era vissuto come un momento di grande soddisfazione; probabilmente l’essere riuscito ad acquistare questo famoso fiasco era più per il simbolo dell’ottenuto successo che per il vino stesso.
Alcune volte organizzavano delle cene con amici dove ognuno portava qualcosa da mettere sulla tavola. Tutto veniva concordato con una telefonata al primo amico con cui si organizzava la serata. Da lì in poi si innescava una catena di telefonate, anche perché le chiamate, gestite dal telefono fisso, costavano ed era giusto che ognuno si facesse carico della propria parte chiamando a sua volta il successivo. La regola era semplice: chi organizzava la serata mettendo a disposizione la propria casa era anche quello che si sarebbe preoccupato del vino, al resto della comitiva spettavano le pietanze. Si dava vita in questo modo ad un piccolo evento che avrebbe tenuto occupato diverse persone nell’organizzazione della serata. Ma c’era altro: la voglia ed il desiderio di stare insieme era un modo per condividere le difficoltà del momento che, paradossalmente, sembravano svanire o quanto meno venivano ridimensionate.
Con il tempo compresi che il vino non era solo una bevanda ma racchiudeva in sè un insieme di elementi, di valori, di poesia. Il vino è da sempre il frutto di fatica, sudore, difficoltà e riuscire a portarlo sulla tavola era un segno tangibile di meritato ottenimento gratificante, gratificazione che andava assolutamente condivisa con gli amici più cari. Il vino era un elemento aggregante. Ricordo con piacere le risate e le chiacchierate che ne scaturivano e che puntualmente mi accompagnavano in un sonno ristoratore che si faceva spazio non appena mi coricavo sul divano in soggiorno. Era piacevole addormentarsi con una sorta di cantilena di fondo che dava sensazione di grande tranquillità e sicurezza. Quando mi risvegliavo nella notte inoltrata, tutti erano andati via, la tavola era già sparecchiata ed in un angolo della cucina il buon vecchio fiasco mi guardava con sguardo divertito come se sapesse di aver contribuito, con la sua presenza, alla realizzazione di questa serata.
Il vino e le sue molteplici storie… buona degustazione.