Un Governo che ha a cuore il Paese, ha a cuore i diritti umani di chi ci vive e se ne sente responsabile. A sette mesi dall’avvio della XVII legislatura, i diritti umani sembrano essere sempre più al centro del dibattito politico italiano, ma la nostra Italia è tuttora un Paese in cui ampie fasce di popolazione corrono un alto rischio di violazione degli stessi. In tempi di crisi economica, poi, con l’attenzione della politica sulle sole questioni finanziarie, a scapito di misure e politiche sociali, questa situazione tende ad aggravarsi. Pertanto, essere donne, migranti, rom, gay, detenuti, significa, in Italia, correre un serio rischio per i propri diritti umani.
“L’Italia ha violato e continua a violare i diritti dei detenuti all’internodelle sue carceri.” E’ questo il contenuto della sentenza emessa l’8 gennaio dalla Seconda sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, con cui si condanna il nostro Paese per la violazione dell’Art. 3 CEDU, in riferimento al divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Nella sentenza la Corte ha, inoltre, imposto all’Italia anche l’obbligo di adottare entro un anno, misure atte a rimediare le violazioni della Convenzione, risultanti dal sovraffollamento delle carceri. Più volte, i comitati internazionali di controllo sui diritti umani, tra cui il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, hanno segnalato l’esistenza di un diffuso problema di sovraffollamento delle carceri italiane, incompatibile sia con l’obbligo internazionale di garantire condizioni di detenzione adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani, sia con il diritto di non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradati. Le carceri italiane, tuttavia, erano e restano un inferno. I numeri sono agghiaccianti:a fronte di una capienza regolamentare di 47.599 posti, sono 64.564 i detenuti alla data del 14 ottobre; di questi, i condannati definitivi sono 38.625 e 24.744 i detenuti in custodia cautelare.
Quello che tutti sanno, ma che la politica fatica ad accettare, è che ci sono leggi sbagliate, che mandano in carcere persone che non dovrebbero. E’ per questo che la depenalizzazione dei reati che creano meno allarme sociale è allo studio della squadra del ministero della Giustizia. Con l’ipotesi, nonchè la speranza, che gli interventi tocchino le tre leggi da tempo sul banco degli imputati del sovraffollamento strutturale delle carceri italiane: la ex Cirielli sulla recidiva, la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe. In altre parole, le leggi, e mi riferisco soprattutto alle ultime due appena citate, che hanno messo in galera la povera gente, o, i cosiddetti “pesci piccoli”, come lo stesso
Papa Francesco, nel saluto rivolto qualche giorno fa ai detenuti delle carceri italiane, li ha definiti. Gia’, perche’ tossicodipendenti e immigrati rappresentano piu’ dell’80% della popolazione carceraria. E se e’ vero che il carcere deve essere inteso come ultima ratio, privilegiando, piuttosto, il ricorso a misure alternative, come la detenzione domiciliare o l’affidamento, capaci di offrire una effettiva possibilita’ di reinserimento, e’ vero anche che queste possono riguardare solo in minima parte le “fasce deboli” della popolazione carceraria. La maggior parte degli stranieri, infatti, non ha alle spalle una casa o una famiglia dove trascorrere gli arresti domiciliari. O, ancora, il numero di tossicodipendenti in affidamento definitivo o provvisorio continua ad essere assai modesto, a causa sia di questioni burocratiche spicciole che di questioni ben più serie come le difficoltà economiche per le Regioni che, con i pochi soldi a disposizione per la Sanita’, non riescono a pagare le comunità terapeutiche. Questi, quindi, stranieri e tossicodipendenti intendo, non hanno alternative alla galera
In realta’, in ogni ordinamento evoluto, il ricorso al carcere dovrebbe poter essere davvero l’opzione estrema per tutti. Gli esempi, soprattutto dall’estero, ci sono. Il sistema dei crediti che consentono la riduzione della pena, l’affidamento in prova, i lavori sociali, il braccialetto elettronico, sono in vigore in molti paesi. Nel nostro ordinamento, molte di queste misure alternative, invece, anche se contemplate, non sono mai state messe in pratica.Ed ecco, allora, che a scuotere le coscienze della nostra classe politica, nonche’ a far sprofondare il nostro Paese in una situazione d’emergenza, e’ la condanna che arriva dall’Europa. Senza l’Europa i carcerati italiani non sarebbero tornati in primo piano nel dibattito parlamentare. E’ l’Europa a volere che l’Italia garantisca condizioni di detenzione dignitose e vuole che contrasti il sovraffollamento carcerario attraverso una strategia coerente, tale da prevedere una riduzione del ricorso alla detenzione e un maggior uso di misure alternative; e’ l’Europa che vuole che chi ha subito trattamenti disumani e degradanti dovrebbe poter ottenere un risarcimento; e’ l’Europa che condanna l’Italia e le concede un anno di tempo per mettere tutto in regola. E, allora, per fortuna che l’Europa c’e’. Tuttavia, una riforma vera, una riforma che preveda una effettiva riduzione del ricorso alla detenzione e un maggior uso di misure alternative, e’ necessaria. E non perche’ e’ l’Europa a volerlo, ma perche’ ci sono circa 65.000 detenuti, anime oltre che corpi, che la chiedono.