Tutt’altro che sopito il dibattito sulla sua autenticità, il dipinto “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci è stato battuto all’asta per 450 milioni di dollari. La cifra, la più alta mai pagata per la vendita di un’opera all’incanto, è la conferma del valore assoluto di Leonardo sul mercato.
L’interesse verso un’opera così preziosa non spegne però i dubbi che ancora aleggiano sulla sua autenticità.
Olio su tavola di legno 45×65 cm, con datazione attorno al 1500, raffigura Cristo con una mano benedicente e l’altra che sorregge un globo. Partito da una stima di 75 milioni di dollari, il dipinto è rimasto al centro di un’accesa gara al rialzo per circa 19 minuti. Quando Jussi Pylkkanen, Global President della casa d’asta Christie’s a New York, ha battuto il martelletto fermando l’offerta a 400 milioni di dollari, nell’affollato Rockefeller Center è partito un applauso da grande evento. All’importo, che tradotto in euro è esattamente 380.849.402, vanno aggiunti i 50 milioni per i diritti d’asta.
Almeno 45 acquirenti presenti in sala, oltre ai collezionisti collegati per telefono, hanno partecipato alla gara di acquisizione dell’opera che ben presto si è ristretta a due competitor. L’acquirente definitivo è ancora ignoto, ma la mano che si è alzata per approvare l’acquisto che segnerà la storia nel mondo dell’arte è dell’intermediario Alex Rotter, copresidente del Dipartimento di arte contemporanea e del dopoguerra di Christie’s America, che ha battuto in un testa a testa all’ultimo rilancio Francois de Poortere, capo del Dipartimento dei dipinti antichi di Christie’s New York, anche lui per conto di un cliente collegato telefonicamente.
Collezionisti, galleristi, mercanti d’arte, giornalisti, vip e gli immancabili miliardari, degni rappresentanti degli angoli più fortunati del globo: in migliaia tra il pubblico delle grandi occasioni che ha affollato il Rockefeller Center. L’astuta mossa di Christie’s, l’aver inserito il dipinto antico (carico di controversie attributive ed estimative) nella serata milionaria dedicata all’arte contemporanea, si è dimostrata un vero colpo da maestro. Una decisione inaspettata, giustificata dal fatto che l’opera rappresenta la più grande scoperta del secolo, con l’obiettivo, più che di stupire, di attirare l’attenzione di tutto il mondo. Il risultato dell’operazione è la pioggia di denaro piovuta sull’arte.
Persa nel tempo, l’opera, la cui esistenza era testimoniata da disegni preparatori di Leonardo e da copie successivamente realizzate da incisori e altri artisti, era al centro di una caccia al tesoro di esperti d’arte.
Nel ‘600 fu registrata nelle collezioni di Carlo I e Carlo II d’Inghilterra, ma già allora si dubitava dell’attribuzione Leonardesca, tant’è che fu derubricata a dipinto della scuola milanese. Riapparve alle cronache nel 2011, quando il consorzio di commercianti americani cui apparteneva affidò il dipinto alla National Gallery di Londra per verificarne l’autenticità. A quel tempo il dipinto appariva modificato, forse per rispondere ai dogmi imposti dalla chiesa. Un lavoro di restauro di alta precisione lo alleggerì di strati coprenti di pittura e di barba e baffi.
Dopo un trattamento di ripulitura e grazie alla tecnica non invasiva della riflettografia a raggi infrarossi emersero gli azzurri e i rossi tipici di Leonardo, compatibili con i pigmenti dell’“Ultima Cena” e della “Vergine delle Rocce”. Il confronto incrociato di esperti, anche italiani, confermò quindi la paternità di Leonardo, e così partì la tournée per Hong Kong, San Francisco e Londra, passando dalle mani di un collezionista europeo a quelle del miliardario russo che lo ha venduto in queste ore.
Ma l’alone di mistero che avvolge Leonardo e le sue opere resta il suo segno distintivo. L’enigmatica “Gioconda” su tutte, ma anche il “Cenacolo”, opere scelte da Dan Brown per raccontare attraverso il successo editoriale “Il codice da Vinci” il segreto della natura umana di Cristo, del suo matrimonio con Maria e della loro progenie. Tra fatti storici realmente accaduti e altri di pura fantasia, il lato esoterico di Leonardo viene enfatizzato con la sua attribuzione della carica di Gran Maestro del Priorato di Sion. Le sue opere, attraverso allusioni e messaggi in codice, nasconderebbero una serie di riferimenti alla sua partecipazione attiva e al segreto.
Nonostante le polemiche intorno al successo editoriale per le discutibili ricostruzioni storiche e documentali e per i grossolani errori iconografici, la curiosità e l’attenzione generate anche dalla successiva trasposizione cinematografica hanno acceso i riflettori sul genio e sul mistero di Leonardo, facendo inevitabilmente lievitare il valore dell’unica opera del Maestro ancora in mano ai privati.
Ma il “Salvator Mundi” non è il solo ad aver toccato cifre da capogiro. Prima dell’opera di Leonardo il record spettava a “Interchange” di de Kooning, battuto all’asta nel 2015 per 300 milioni di dollari.“I giocatori di carte” di Paul Cézanne fu venduto nel 2011 per oltre 250 milioni di dollari. La “Nafea faa ipoipo” (“Quando ti sposi?”) di Paul Guaguin fruttò, nel febbraio del 2015, 212 milioni di dollari.Sempre nel 2015 per “Number 17A”, dipinto realizzato dal pittore statunitense Jackson Pollock, sono stati sborsati 202 milioni di dollari.NO.6 (VIOLET, GREEN AND RED) di Mark Rothko fu battuto all’asta nel 2014 per 186 milioni di dollari.“Donne di Algeri”, realizzato nel 1955 da Pablo Picasso e raffigurante due figure femminili in un harem, fu ceduto per 179,4 milioni di dollari nel 2015.“Nu couché” (nudo sdraiato, in francese), di Amedeo Modigliani, fu acquistato due anni fa in un’asta Christie’s dal magnate cinese Liu Yiqian al prezzo di oltre 170 milioni di dollari. Quando venne esposta per la prima volta nel 1917, l’opera, a causa del soggetto ritenuto scabroso, attirò una tale folla di curiosi da rendere necessario l’intervento delle forze dell’ordine.
Il “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” di Gustav Klimt, tra i più rappresentativi del pittore austriaco, dopo essere stato rubato dai nazisti fu rivendicato dallo stato austriaco e dagli eredi dei proprietari originari. Fu quindi acquistato nel 2006 da Ronald Lauder per 135 milioni di dollari; ora è esposto presso la Neue Galerie a New York. Nel 2013, il trittico di Francis Bacon “Tre studi di Lucian Freud” fu venduto a New York per 146 milioni di dollari. “L’urlo” di Edvard Munch, senza dubbio tra i dipinti più iconici di tutti i tempi, fu battuto all’asta nel 2012 per 120 milioni di dollari.
Il “Salvator Mundi” leonardesco è riuscito a scatenare grandi liti giudiziarie. Poco dopo l’esposizione londinese, l’opera fu venduta (nel 2013 per 80 milioni di dollari) a Yves Bouvier, presidente di Natural Le Coultre, società svizzera che si occupa di trasporto e conservazione di opere d’arte. Bouvier lo ha rivenduto al miliardario russo Dmitry Rybolovlev per 127 milioni di dollari, che però subito dopo lo ha accusato di averlo raggirato per il prezzo eccessivo.
Il seguito di questa singolare vicenda è la cronaca di queste ultime ore.
Pablo Picasso, allorquando non poteva immaginare che ben tre delle sue tele sarebbero comparse oggi nella lista delle opere più care mai battute all’asta, deprecava così coloro i quali traevano profitto dalla compravendita di opere d’arte:
“Quelli che dell’arte fanno un affare sono per lo più impostori”
La storia della piccola tavola di Leonardo è lo specchio dei nostri tempi. L’avida speculazione finanziaria è sempre giustificata? Quanto durerà ancora questo scintillante palcoscenico dorato? Che cosa c’entrano la passione per l’arte e la cultura con l’esibizione ostentata della ricchezza e la sua spettacolarizzazione? Un tempo le arti e la cultura erano prima di tutto formative.
Difronte al delirio di onnipotenza manifestato dall’uomo di oggi, è auspicabile che il “Salvator Mundi” sia stato acquistato da un vero cultore di Leonardo, uno, per intenderci, che non se ne priverà alla nuova vertiginosa offerta al rialzo e che magari vorrà condividerne la bellezza in sublime e francescana contemplazione con il resto dell’umanità.