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Rapporto Migrantes: “Aumentati morti e dispersi”

Rapporto Migrantes: “Aumentati morti e dispersi”

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Sui migranti e rifugiati “c’è uno scarto preoccupante tra la sovra-rappresentazione del fenomeno in Italia e in Europa e la sua dimensione reale”. Lo sottolinea il rapporto di Migrantes 2019 presentato oggi a Modena all’interno del Festival della Migrazione. “È un fatto: negli ultimi tre anni – rileva il report – sono entrate meno persone in cerca di protezione, in seguito all’”accordo Ue-Turchia del 2016 e del memorandum siglato nel 2017 dall’Italia con il Governo di Tripoli, nonostante la situazione di guerra civile e le informazioni più che fondate sul non rispetto dei diritti umani in Libia”.

Ma intanto, denuncia il report, “i morti e dispersi in mare sono aumentati in proporzione a chi è riuscito a partire. E le condizioni di chi rimane bloccato in Turchia, lungo la rotta balcanica, in Grecia o fuori dai nostri porti e, soprattutto, di chi viene intercettato e riportato in Libia sono più che preoccupanti e allarmanti”.

DATI – Sono 88.200, secondo dati provvisori, gli attraversamenti ’irregolari’ di migranti e rifugiati scoperti alle frontiere esterne dell’Ue fra gennaio e ottobre 2019. Sulle rotte migratorie verso l’Europa e in Europa, nel periodo si sono registrati 1.089 morti/dispersi in mare e 97 in percorsi via terra. Sono circa 81mila gli arrivi di migranti e rifugiati in Europa lungo le rotte via mare del Mediterraneo registrati da gennaio a ottobre 2019 (dati provvisori). Tendenza in calo dal 2016: 1.016.000 in tutto il ’15, 363.000 nel ’16, 172.000 nel ’17 e 117.000 nel ’18. In diminuzione anche i morti/dispersi in numero assoluto. Ma è aumentata l’incidenza di morti/dispersi in rapporto agli arrivi: da 1 morto/disperso ogni 269 arrivi nel ’15 fino a 1 ogni 51 nel ’18 (1 ogni 74 nei dati parziali ’19).

Il 2019 vede nuovamente in crescita gli arrivi sulla rotta del Mediterraneo orientale (circa 45.000 da gennaio a ottobre, dati provvisori, contro 32.500 in tutto il 2018). Ancora in calo la rotta del Mediterraneo occidentale (21.400 gli arrivi gennaio-ottobre) e del Mediterraneo centrale, quella verso l’Italia (12.400 gli arrivi gennaio-ottobre, contro i 23.400 di tutto il 2018). Ma quest’ultima si conferma come la rotta migratoria più letale del mondo: nel 2016 aveva registrato 1 morto/disperso ogni 40 arrivi, ma nel 2018 e 2019 è arrivata a 1 ogni 18; 694 le vittime solo fra gennaio e ottobre (dati UNHCR). Secondo l’OIM, i dati 2019 per la rotta centrale sono addirittura in peggioramento rispetto al 2018: 3,5% di morti/dispersi in rapporto a tutti i migranti e rifugiati che hanno tentato la traversata, contro il 3% del ’18.

Il report Migrantes presentato a Modena nell’ambito del Festival delle migrazioni dice poi che sono 307.110 i richiedenti asilo per la prima volta nell’Ue nel 1° semestre 2019 (+7% rispetto al 1° semestre 2018), soprattutto siriani, venezuelani e afghani. Nel semestre, sempre nell’Ue hanno ottenuto protezione in prima istanza solo il 35% dei richiedenti asilo esaminati. Nel 2018, registra ancora il report, l’Ue ha registrato 580.845 richiedenti asilo. Per numero assoluto l’Italia si è collocata quinta, dopo Germania, Francia, Grecia e Spagna. Ma le posizioni nazionali variano di molto se si considerano i richiedenti in rapporto agli abitanti: qui il primato è di Cipro (8.805 per milione), seguita dalla Grecia (6.051), da Malta, ecc. L’Italia, con 813 richiedenti per milione di abitanti, si colloca ben al di sotto della media europea (1.133 per milione).

Sono circa 28.000 i trasferimenti di richiedenti asilo effettuati a norma del regolamento dell’Ue ’Dublino III’ nel 2018 fra i vari Paesi membri (+5% rispetto al 2017): 9.209 sono stati effettuati dalla sola Germania e ben 6.351 sono stati effettuati nella sola Italia. Sono 24.815 i rifugiati accolti in reinsediamento nell’Ue da precari Paesi di primo asilo nel 2018, a fronte di una lista di 1,4 milioni di persone con questa necessità fatta arrivare da UNHCR ai Paesi con più mezzi nel mondo.

Lampedusa, individuato relitto: attorno cadaveri

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Il gruppo dei sommozzatori della Guardia costiera tramite il RoV ha individuato, come apprende l’Adnkronos, il relitto del naufragio dello scorso 23 novembre davanti alle coste di Lampedusa. Attorno al relitto ci sarebbero dei cadaveri. Ma non si sa quanti sono a causa delle cattive condizioni di visibilità nel fondo. Sono 5 i corpi recuperati, e almeno 15 i dispersi. I superstiti sono 149.

Fasciani bis, Cassazione conferma: “E’ clan mafioso”

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(Giorgia Sodaro) – La II sezione penale della Cassazione ha confermato che quello dei Fasciani è un clan mafioso. La Suprema Corte ha infatti respinto i ricorsi di 10 dei 12 imputati confermando di fatto le sentenze dell’Appello bis, che aveva reintrodotto la mafia. Inoltre il collegio giudicante presieduto da Giovanni Diotallevi ha disposto un nuovo processo d’Appello per Mirko Mazzoni ed Eugenio Ferramo per rivedere il trattamento sanzionatorio.

Con questa sentenza la Cassazione ha cristallizzato la matrice mafiosa del clan Fasciani, confermando l’impianto accusatorio del secondo grado. Le accuse per gli imputati (12 in Cassazione ma 13 in Appello perché non ha presentato ricorso Gilberto Inno, condannato a 7 anni e un mese) sono a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, droga, usura ed estorsioni.

In particolare le condanne sono definitive per il capofamiglia Carmine Fasciani (27 anni e 10 mesi, la pena più alta), per la moglie Silvia Franca Bartoli (12 anni e 5 mesi), per le figlie Sabrina e Azzurra Fasciani (rispettivamente 11 anni e 4 mesi e 7 anni e 2 mesi) per il fratello del boss Terenzio Fasciani (8 anni e 6 mesi). La Cassazione ha poi respinto il ricorso del procuratore generale che aveva chiesto l’aggravamento della posizione delle due figlie del boss Carmine Fasciani, Sabrina e Azzurra, alle quali il secondo grado non aveva riconosciuto un ruolo apicale nell’organizzazione.

Per il nipote del boss Alessandro (10 anni e 6 mesi in Appello) è stato disposto uno sconto di pena di un mese. Proprio Alessandro Fasciani, 33 anni, figlio di Terenzio, è stato arrestato il 14 novembre scorso dagli agenti della Squadra Mobile di Roma ad Acilia, poco prima che prendesse un volo per fuggire dall’Italia. Nei suoi confronti è stata eseguita un’ordinanza di ripristino di custodia cautelare emessa dalla terza Sezione Penale della Corte di Appello di Roma.

Carmine Fasciani si trova attualmente detenuto in regime di 41 bis. Sono inoltre definitive le condanne di Riccardo Sibio (25 anni e 3 mesi), Luciano Bitti (13 anni e 3 mesi), John Gilberto Colabella (13 anni), Danilo Anselmi (7 anni). Il collegio giudicante ha disposto un appello Ter per Mirko Mazzoni (10 anni in Appello) ed Eugenio Ferramo (10 anni in Appello) per rideterminare il trattamento sanzionatorio.

E’ la seconda volta che la Cassazione si esprime sul processo al clan del litorale. Il 26 ottobre 2017 la Suprema Corte aveva annullato con rinvio le condanne, disponendo di fatto un Appello bis per valutare l’esistenza della mafia che nel precedente secondo grado era caduta. Con la sentenza di oggi diventano definitive condanne per circa 140 anni.

“E’ una sentenza storica – ha commentato la sindaca di Roma Virginia Raggi, presente in aula – Per la prima volta è stato affermato in modo chiaro che a Roma c’è stata e c’è la mafia. Per iniziare la cura bisogna riconoscere la malattia. Adesso Ostia può voltare pagina e alzare la testa”. “Lo Stato c’è e l’amministrazione c’è – ha aggiunto – Oggi con me c’è Federica Angeli che non si è piegata”.

L’avvocato Giulio Vasaturo, avvocato di parte civile per Libera nel processo al clan Fasciani, ha sottolineato che “è la prima volta che la Cassazione riconosce la mafia Roma. Non era mai accaduto nemmeno ai tempi della banda della Magliana”. “La sentenza di condanna del clan Fasciani segna un nuovo corso della giurisprudenza – ha aggiunto – vengono riconosciute le mafie autoctone del centro-nord. E’ una sentenza che farà scuola”.

Omicidio Sacchi, Anastasiya indagata

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Svolta nelle indagini sulla morte di Luca Sacchi, ucciso con un colpo di pistola alla testa davanti a un pub nella zona di Colli Albani nella notte tra il 23 e il 24 ottobre scorso. I carabinieri del Comando Provinciale di Roma hanno eseguito un’ordinanza emessa dal Gip, su richiesta della Procura capitolina, che dispone misure cautelari nei confronti di 5 persone. Tra i destinatari anche la fidanzata di Luca, Anastasiya Kylemnik, che era con lui la sera dell’omicidio: nei suoi confronti è stato disposto l’obbligo di presentazione in caserma. Kylemnyk sarà ascoltata dal gip la prossima settima. Si terranno invece martedì prossimo gli interrogatori di garanzia per gli arrestati nell’operazione di oggi.

La giovane è accusata di aver tentato di acquistare con un 24enne – Giovanni Princi, ex compagno di scuola di Luca Sacchi e per il quale è stato disposto invece il carcere – un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti: secondo quanto emerso all’incontro con la stampa in Procura, alla presenza del procuratore facente funzioni Michele Prestipino e del procuratore aggiunto Nunzia D’Elia, nello zaino di Anastasiya c’erano 70mila euro per l’acquisto di 15 kg di droga.

Destinatari poi della misura della custodia cautelare in carcere, per concorso in omicidio pluriaggravato, rapina aggravata, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo, sono Valerio Del Grosso e Paolo Pirino – già in carcere perché fermati nei giorni successivi all’omicidio. E Marcello De Propris è finito in carcere con l’accusa di detenzione, cessione di sostanza stupefacente e concorso nell’omicidio: per gli inquirenti è stato il 22enne di San Basilio a fornire la pistola a Del Grosso e Pirino.

Anche il padre di De Propris, Armando, è stato arrestato nel corso dell’operazione: l’arresto è scattato in seguito alla perquisizione nella sua abitazione dove è stato trovato 1 kg di droga. Per lui i pm avevano chiesto una misura cautelare per la detenzione dell’arma, non accolta però dal gip.

LE INDAGINI – Per quanto riguarda le indagini, “allo stato non ci sono elementi per dire che Luca Sacchi era coinvolto, consapevole, partecipe della compravendita della droga” ha detto Prestipino.

Ma “non vi sono dubbi in ordine alla dinamica dei fatti che hanno portato alla morte di Sacchi” si legge nell’ordinanza di custodia cautelare a carico dei 5 indagati. La morte “è sopravvenuta in seguito ad un colpo di arma da fuoco alla testa, esplosogli da distanza di due metri da uno dei due giovani che, pochi istanti prima, erano sopraggiunti a bordo di un’autovettura per aggredirli”.

I TESTIMONI – La stessa versione viene fornita da quattro testimoni oculari. “Del Grosso e Pirino sono scesi e si sono diretti verso la coppia, armati uno di una mazza di ferro e l’altro di una pistola”. Poi Pirino ha colpito alla nuca con una mazza di ferro Anastasia, “intimandole di dargli lo zaino”.

Da qui la reazione di Sacchi che “ha atterrato l’aggressore” e l’intervento di Del Grosso che “ha estratto la pistola e lo ha ucciso”. I due hanno poi portato via lo zaino che, per gli inquirenti, è “ciò che evidentemente costituiva il fine a cui tutta la loro azione era stata preordinato”. E “la scena descritta – scrive il gip – è dunque indubitabilmente quella di una rapina sfociata in un omicidio”.

FAMIGLIA SACCHI – “Alfonso e Tina ora non se la sentono di commentare, troppo dolore”: così, all’Adnkronos, una conoscente in casa della famiglia Sacchi. E sull’iscrizione nel registro degli indagati della fidanzata del ragazzo, si è limitata a dire: “Lo immaginavamo”.

Per la 25enne è scattata la perquisizione dell’abitazione. Il casco nero ancora calzato in testa, non un filo di trucco e lo sguardo torvo, Anastasiya è poi rientrata nel suo appartamento in zona Appio Latino perquisito dagli inquirenti. La 25enne non ha voluto commentare mentre l’uomo in sella al motorino dal quale è scesa, e che l’ha poi raggiunta in casa, ha gridato: “Dovete avere rispetto per la famiglia”.

L’ORDINANZA – Anastasiya “ha agito con freddezza e professionalità nella gestione della trattativa dell’incarico affidatole di detenzione del denaro e di partecipazione alla delicata fase dello scambi” scrive ancora il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. “Anche per lei appare sussistente un concreto rischio di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede – si legge – e solo l’incensuratezza e il ruolo meramente esecutivo nella compravendita giustificano l’adozione a suo carico della misura non custodiale richiesta dal Pubblico Ministero”.

“Gli aggressori non hanno esibito l’arma per minacciare ma per uccidere” scrive nell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare il gip Costantino De Robbio. “La pistola non è stata utilizzata nei confronti della Kylemnyk per convincerla a consegnare lo zaino, ma è stata estratta solo quando il Del Grosso ha visto che la resistenza del Sacchi stava per impedire la riuscita del piano”. E ancora: “I due non avevano, sin dall’inizio della loro azione delittuosa, alcuna intenzione di minacciare le vittime: le hanno aggredite alle spalle e si sono approcciati a loro direttamente con la violenza, colpendo la donna che deteneva materialmente i soldi con la mazza da baseball alla testa”.

IL GIP – Scrive il gip: “La minaccia, con consegna ’spontanea’ della refurtiva, non è mai stata parte del loro piano di azione, che prevedeva invece l’annullamento della resistenza dei due con la violenza, verso la donna e e non fosse bastata anche verso l’uomo. E’ a questo scopo che serviva l’arma, come ulteriore mezzo per esercitare la violenza se non si fosse rivelata sufficiente la violenza con la mazza da baseball”.

“L’aver portato sulla scena del crimine un’arma da sparo – si legge infine – carica e pronta all’uso, è la conseguenza diretta di un piano ce ha avuto uno degli sviluppi previsti: l’averla usata sparando ad una delle vittime non può essere considerato sviluppo anomalo dell’azione”.

DIFESA ANASTASIYA – “Attendo di conoscere gli atti, anche se già dalla lettura della sola ordinanza emerge chiaramente un ruolo della giovane che non dimostra affatto la consapevolezza di un accordo illecito che, ove pure sussistente, certamente sarebbe intervenuto tra altre persone” ha detto l’avvocato Giuseppe Cincioni, legale della giovane raggiunta dalla misura cautelare dell’obbligo di firma.

Omicidio Yara, sì a nuovi esami

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(Antonietta Ferrante) – Esami sul Dna e accesso ai referti. Massimo Bossetti, che ha dato incarico ai suoi legali di lavorare alla richiesta di revisione del processo, ottiene una prima vittoria: la corte d’assise di Bergamo ha autorizzato la difesa dell’uomo condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio a esaminare tutti i reperti d’indagine, i vestiti che indossava la 13enne di Brembate (Bergamo) scomparsa il 26 novembre 2010 – tra cui slip, leggins, scarpe, giubbotto – e i campioni sulla traccia genetica. Lo apprende l’Adnkronos.

Nell’istanza presentata dai difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini, si sottolinea come “ad oggi alla difesa non è stato permesso alcun accesso ai reperti”, a partire dai campioni di Dna “ancora disponibili e conservati presso l’ospedale San Raffaele di Milano”. Elementi tornati alla ribalta di recente. L’attività difensiva ha lo scopo di risolvere le “diverse anomalie” emerse nel processo a partire dalla traccia genetica, da sempre cuore del dibattimento. Una traccia mista, forse sangue, di Yara e Ignoto 1 in cui il Dna nucleare combacia con quello di Bossetti, ma non il Dna mitocondriale (indica la linea materna). La traccia biologica è la prova granitica per accusa e giudici.

L’assenza del Dna mitocondriale di Bossetti non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense. “Quel Dna non è suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”, la tesi da sempre dei legali. La decisione di oggi della corte consente alla difesa di avere accesso per la prima volta agli elementi della scena del crimine, tra cui i dvd contenenti le immagini fotografiche dei reperti effettuate dal Ris, ma soprattutto di analizzare il Dna e farlo con le nuove tecnologie. Con l’impiego di nuovi metodi “è fondamentalmente possibile – si legge nell’istanza presentata dai difensori e in possesso dell’Adnkronos – effettuare ulteriori prelievi, da cui non solo verificare quanto già emerso, ma ricavare altresì ulteriori informazioni potenzialmente utili anche ai fini investigativi e di ricerca di caratteristiche peculiari come l’originale ancestrale e il fenotipo dei Dna ignoti”.

I nuovi esami che la difesa chiederà di fare con un incidente probatorio, quindi alla presenza dei consulenti di tutte le parti, potrebbe dare una risposta “scientificamente sostenibile” ai dubbi dei difensori. L’auspicio dei legali è di avere sulla traccia biologica “un’indagine più completa ed attendibile”, da cui poter partire per chiedere la riapertura del caso di Yara, colpita più volte e trovata senza vita il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, per cui Bossetti sta scontando l’ergastolo nel carcere milanese di Bollate.

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30 Novembre 2019