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RAZZISMO AL CONTRARIO

Da più parti risuona l’eco di un comando imperativo: “non essere razzista!”. Oggi come non mai, in una società caratterizzata da un’emergente multiculturalismo, si sente fin nelle ossa la questione del razzismo. Utilizzato male e inconsapevolmente, questo termine può assumere talvolta i connotati di una minaccia. Ecco, diciamo che a me piacerebbe abbandonare le solite frasi fatte e indagare oltre le convenzionali argomentazioni. Partendo dal presupposto che il razzismo è una questione più estesa di quel che pensiamo. Tuttavia accade che l’animo si desti particolarmente solo a contatto con tematiche legate a particolari situazioni.

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Si pensi, ad esempio, agli insulti legati al colore della pelle o all’appartenenza ad un’altra etnia o cultura. Urge sottolineare il fatto che fin qui sia necessario essere d’accordo con chi afferma che il razzismo è un male da combattere che non permette né crescita personale né collettiva. Però (c’è sempre un ma o un però in discussioni caldamente dibattute!), non bisogna nemmeno sfociare nel sentimento opposto. Si potrebbe parlare di razzismo al contrario. Avete presente quando in rete leggete una notizia che riporta un fatto condannandone la violenza e appena sotto scorgete commenti altrettanto brutali che inneggiano alla violenza che si vuole debellare? Questo intendo.

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Non si passa da un estremo all’altro senza prestare attenzione alle conseguenze delle proprie parole. L’accusa di razzismo non di rado è usata come scudo da chi non accetta opinioni altrui (parlo di opinioni chiare, precise e intelligenti. Non di offese, sproloqui e insulti!). Mi riferisco ad idee prive di connotazioni offensive e preconcetti, costruite in modo equilibrato e attraverso l’osservazione della realtà e l’esperienza di vita. Le parole hanno un peso, soprattutto per chi le riceve. Mi accorgo che non di rado coloro che accusano di razzismo gli altri, non si preoccupano di capire e prestare attenzione al contenuto della frase o del discorso di chi hanno davanti. Non colgono l’essenza. Sono talmente offuscati dalla loro concezione di razzismo che lo vedono ovunque e con chiunque. Partono dal presupposto che tu sia razzista perché esponi un’idea diversa, sottolinei l’esistenza di un inghippo, qualcosa che non va. L’accusa di razzismo non vale a far chiudere gli occhi. Non può consistere nella semplice inflizione di questo stigma per poi rigirarsi dall’altra parte non preoccupandosi di ascoltare chi ha qualcosa da dire in proposito.

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Il razzismo è da condannare in tutte le sue forme. Ma bisogna comprendere i suoi confini. Quando la libertà di parola diviene tormento per l’altro, è necessario fermarsi a riflettere un momento. E’ fondamentale chiedersi: “io sto condannando un soggetto che esprime concetti realmente razzisti o è solo la mia credenza interiorizzata di razzismo che mi porta a considerare quella persona ostile all’accettazione dell’altro?”. D’altro canto bisogna anche domandarsi: “sto valutando quella persona in base al colore della pelle, all’appartenenza dell’etnia, all’orientamento sessuale, allo status economico e al genere oppure la sto considerando libero da preconcetti?”. Sicchè la nostra società è impregnata di varie forme di razzismo, non è mica così facile. Perciò prima di qualsiasi affermazione, bisognerebbe valutarne attentamente la portata. In entrambi i sensi.

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Un altro aspetto fondamentale è che le persone fin troppo spesso credono che la questione sia legata ad un solo tema, tralasciando che si tratta di un’espressione ad ampio spettro. Così che anche loro si rivelano razzisti su altre tematiche. Non funziona in questo modo. Il rischio è quello di usare questa parola come un soffice cuscino su cui cullarsi comodamente sforniti di una lettura efficace della propria coscienza e di una prospettiva logica di quello che accade nel mondo circostante. Questo è un “pensiero” che ovviamente non appoggia pregiudizi e discriminazioni ma cerca di abbatterli attraverso una comunicazione depurata da insulti e incomprensioni reciproche. Forse bisogna in primis preoccuparsi di eliminare quello delle parole. Innanzitutto cominciando con l’ascoltare quello che l’altro ha da dire, e magari collegando i termini astratti a fatti concreti.

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Data:

30 Agosto 2014