Nel 1959 nella piccola città oceanica di Uruma nacque un bambino di nome Denny Tamaki. Non era un ragazzino come tutti gli altri: a differenza dei suoi coetanei, i suoi occhi non erano a mandorla e i suoi lineamenti non avevano i tratti orientaleggianti caratteristici della popolazione nipponica. Suo padre era uno dei numerosi marines statunitensi stanziati sull’isola di Okinawa, il quale, una volta saputo della nascita del bambino aveva immediatamente deciso di non volerlo vedere né di consentire che questi usasse il suo cognome. Il piccolo Denny crebbe perciò con la madre, una cameriera del luogo che da allora preferì non incontrare più altri uomini e che, al contrario, trascorse il resto della sua vita tentando di dimenticare il marine bruciandone ricordi e fotografie.
In seguito Denny avrebbe in diverse occasioni provato a incontrare suo padre ma sempre senza successo, né d’altronde si può dire che ad oggi ami parlare pubblicamente della vicenda. Ad ogni modo, i suoi problemi personali non lo costrinsero certo a desistere dal provare a vivere una vita soddisfacente e dignitosa: finita la scuola dell’obbligo trovò un lavoro come disc jockey presso una radio locale, coltivando la sua passione per la musica, per il canto e per la chitarra al punto da arrivare a scrivere alcuni brani pop che in seguito sarebbero stati interpretati da molti degli interpreti giapponesi più amati e conosciuti.
Di certo è assai raro che un giovane ragazzo possa vivere di sola arte; così, col tempo il giovane Tamaki trovò un modo ben più prosaico per raggiungere la propria autonomia e per perseguire i propri sogni: scendere in politica. Nel 2005 si candidò alle elezioni per il terzo distretto di Okinawa e, pur perdendo, riuscì ugualmente a farsi conoscere dalla propria gente grazie al suo carisma e alla sua forza d’animo. Fu così che quattro anni dopo decise di ricandidarsi per il medesimo incarico, questa volta vincendo.
Tutto sembrava star andando nel modo migliore per lui, ma proprio la sua indole testarda e un po’ ribelle arrivò con gli anni a procurargli diversi problemi. Durante una votazione sul rialzo dell’imposta sui consumi, contrariamente alle disposizioni del proprio partito, egli decise di dichiararsi contrario: venne espulso nel giro di pochi giorni.
Sebbene in seguito non gli mancarono di certo le occasioni per mostrarsi in pubblico e perfino per candidarsi a cariche di minor rilievo, sembrava che ormai la sua carriera fosse indirizzata ad un precoce e inevitabile declino; eppure, proprio allora accadde qualcosa che in pochi si sarebbero aspettati: Takeshi Onaga, il governatore della prefettura di Okinawa, si ammalò di un terribile tumore al pancreas che lo avrebbe portato a morire nel giro di appena quattro mesi. Prima di andarsene, egli volle tuttavia lasciare una sorta di testamento politico al suo popolo dicendo che secondo lui v’era un uomo che meglio di chiunque altro sarebbe stato in grado di raccogliere la sua eredità, Denny Tamaki.
Per il nostro protagonista, quella dichiarazione dovette rappresentare una sorta di motivazione aggiuntiva per tentare di raggiungere il prestigioso e in un certo senso insperato incarico. Nonostante avesse contro la stragrande maggioranza degli imprenditori, della stampa e soprattutto delle forze politiche tradizionali, decise di gareggiare contro tutto e tutti riuscendo a ottenere un’incredibile vittoria.
Eppure, le sue battaglie sembravano essere solamente all’inizio. Neppure il tempo d’insediarsi nel proprio nuovo ufficio che subito si presentò una nuova grana: dopo numerosi rinvii, il governo di Tokyo aveva infatti deciso di trasferire da Ginowan alla più remota Okinawa la base di Futenma, il che avrebbe portato la piccola isola ad ospitare oltre 50.000 soldati statunitensi in uno spazio ben ridotto, una risoluzione indubbiamente invisa non solo al neoeletto governatore ma anche alla popolazione locale preoccupata dai numerosi incidenti verificatisi negli ultimi anni con i marines americani.
Tamaki non si è tuttavia rassegnato ma al contrario ha indetto un referendum che, secondo i dati ufficiali delle ultime ore, ha visto la prevedibile ma non per questo meno significativa vittoria di coloro che si oppongono al ricollocamento della base, il tutto con la percentuale del 72%. Non che questo sembri aver fatto cambiare idea al premier Shinzo Abe, il quale al contrario ha già annunciato che il trasferimento avrà luogo ugualmente: “Dialoghiamo con la popolazione ma non possiamo rinviare ancora l’opera” ha dichiarato il capo del governo dopo aver appreso il risultato del referendum.
In effetti, quanto sta accadendo andrebbe forse interpretato in una prospettiva estremamente globale e complessa: negli ultimi mesi, gli Stati Uniti di Trump hanno dichiarato guerra ai cosiddetti Paesi “approfittatori”, ovverosia quelle nazioni che, a detta di Washington, starebbero sfruttando la forza militare statunitense senza pagare un giusto contributo. Già nelle ultime settimane il governo di Tokyo era stato costretto ad acquistare dagli americani una serie di F-35 e l’Aegis Ashore, un innovativo sistema missilistico difensivo. In questo clima, era dunque improbabile che si ponesse fine a un progetto gradito e in parte forse perfino incoraggiato dal governo statunitense come quello del ricollocamento di Futenma.
È dunque probabile che le migliaia di cittadini che nella giornata di domenica si sono recati alle urne per esprimere la propria contrarietà alla base, al pari del loro mai arrendevole governatore, dovranno vedere i propri sforzi vanificati. Eppure, in fin dei conti, questo non vanifica la loro passione ed il loro generoso entusiasmo: certe battaglie, d’altronde, meritano di essere combattute anche quando non è possibile vincerle.