Per capire ogni decisione sottoposta dal politico alla popolazione è sempre essenziale partire dal diritto.
Il referendum sull’autonomia proposto da Lombardia e Veneto non porterà più soldi alle regioni. La trattativa è incentrata sulle competenze.
Nel leggere il quesito referendario viene quasi da sorridere, cogliendone la vaghezza. E dispiace che solo per gli agenti impiegati ai seggi la Lombardia spenderà 3,5 milioni di euro, mentre la quota in addebito al Veneto si aggirerà intorno ai 2 milioni.
“Non è una sorpresa – ha detto il governatore Maroni – sapevamo che tutti gli oneri erano a carico della Regione e li avevamo già messi in bilancio. È una cosa positiva: se la sicurezza è a carico nostro vuol dire che lo Stato riconosce che possiamo avere competenza anche dall’ordine pubblico”. Una frase senza troppo senso, in considerazione che a formare l’ordine pubblico sia l’insieme dei principi desumibili dalla Carta costituzionale, riflessi nell’intero assetto ordinamentale italiano che forma il cardine della struttura etica, sociale ed economica della comunità nazionale.
Ma poi non fu proprio quando Maroni era ministro nel 2008 che la Lega pose il veto alla trattativa condotta dall’ex governatore Formigoni per avere competenza su 12 materie? Le cose evidentemente cambiano in fretta e quello che non andava bene dieci anni fa, adesso va.
“I 27 miliardi di euro e lo statuto speciale sono delle fantasie elettorali– ha detto il sindaco di Bergamo e candidato in pectore del centrosinistra alle prossime regionali lombarde, Giorgio Gori – io sono dispiaciuto perché stimo Roberto Maroni, per ora è il presidente della mia Regione, dunque mi aspetto che si comporti da persona seria, che non prenda in giro i cittadini lombardi e che quindi non racconti delle cose che palesemente sono fasulle. Maroni dice cose che sa non essere vere, sa perfettamente che questo referendum non riguarda il residuo fiscale, ma eventualmente l’inizio di un processo di trattativa tra Regione e stato centrale per trasferire delle competenze”.
L’osservazione di Gori è riferita a quanto pubblicato dalla Regione Lombardia: “Cosa succede se vince il ‘SI’? La Regione Lombardia avvierà il percorso istituzionale per ottenere maggiore autonomia, vale a dire più competenze e più risorse, nell’ambito del cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza tra le tasse pagate allo Stato e quanto lo Stato restituisce sul territorio”.
Se non lo sapessero, agli autori andrebbe ricordato che sistema tributario e contabile, nonché perequazione delle risorse finanziarie, sono di esclusiva competenza dello Stato e non soggette in alcun modo alla devoluzione regionale.
Ma forse lo sanno perché poche righe oltre, in palese contraddizione, affermano: “Le competenze che possono essere richieste sono numerose e importanti e spaziano dall’istruzione alla ricerca, alla tutela della salute, all’ambiente e fino al coordinamento della finanza pubblica e ai rapporti internazionali”. Allora niente ordine pubblico, immigrazione o tributi.
“Che cos’è il residuo fiscale? – recita ancora la pubblicazione – È la differenza tra le tasse pagate allo Stato dai cittadini lombardi e quanto lo Stato restituisce sul territorio regionale. Il residuo fiscale della Lombardia ammonta a 54 miliardi di euro l’anno. A seguito dell’esito positivo del referendum la Regione si propone di trattenerne almeno la metà (27 miliardi ndr) per finanziare le nuove competenze oggetto di trattativa con il Governo”.
Trattenere i tributi riscossi nel territorio regionale è costituzionalmente illegittimo, come nel 2015 ribadì la Consulta, non potendosi attuare “alterazioni stabili e profonde degli equilibri della finanza pubblica [incidenti sui] legami di solidarietà tra la popolazione regionale e il resto della Repubblica”. Inoltre in merito alla quantificazione del residuo fiscale di 54 miliardi di euro, occorre riesumare quanto già asserito dalla Banca d’Italia nel 2009: “I residui fiscali da noi calcolati non possono essere utilizzati per valutare il contributo dell’azione pubblica all’economia del territorio, perché una parte della spesa non tiene conto della localizzazione dei fattori produttivi e soprattutto perché la metodologia non tiene conto degli effetti secondari delle entrate e delle spese pubbliche in termini di creazione di reddito”.
Chi scrive non è contrario ad un percorso di trattativa per l’acquisizione di maggiore autonomia delle Regioni, a patto che si estenda a tutte e che soprattutto si attui nell’ottica di un generale miglioramento amministrativo, in un contesto di chiarezza, non di mera propaganda politica. Perché questa è la sensazione – fatti alla mano – che se ne trae.
Gli italiani devono pretendere di essere considerati con rispetto e per questo è necessario che si informino.
Non c’era bisogno, signori, di un referendum: la Costituzione non prevede un interruttore popolare in materia di quanto ottenibile in tale casistica. “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali […]. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Dunque il primo passo formale il Consiglio regionale avrebbe potuto e dovuto farlo, se avesse voluto, in ampia facoltà. In Lombardia Maroni guida una larga maggioranza eppure non ha mai avviato alcuna iniziativa istituzionale di questa natura. Sta chiedendo ai cittadini l’assenso per applicare un potere che potrebbe comunque esercitare.
Ai cittadini del Veneto si domanda invece: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Quali, come, perché, quando?
I sostenitori del “Sì” ritengono che in caso di vittoria e di alta partecipazione la forza contrattuale della Regione al tavolo con il Governo aumenterà. Ma le materie di contrattazione, tanto per Veneto quanto per Lombardia, sono quelle per le quali già oggi la Costituzione prevede margini elastici di autonomia. Niente tributi e ordine pubblico. Eppure, nonostante l’evidenza, Maroni, intervistato anche da Libero a fine agosto, ha detto che, in caso di vittoria, potrà finalmente “gestire l’ordine pubblico e le forze dell’ordine [avere competenza in materia di] sicurezza, fondamentale per combattere l’emergenza immigrazione […] Trattenere 30 miliardi di residuo fiscale, così mi si raddoppia il bilancio della Regione”.
Nulla di tutto ciò, ripetiamo, può essere oggetto di consultazione e non è un caso che in nessuno dei due quesiti ve ne sia traccia.
Allora il Referendum a cosa serve…?