Lo storico Santuario peruviano di Machu Picchu sarà la prima meta turistica impegnata a diminuire le emissioni di Co2: verranno piantati un milione di alberi nella zona del famoso sito archeologico, distribuiti su 700 ettari di terreno, per contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici. Il via al processo di riforestazione, obiettivo che la municipalità distrettuale della cittadella sacra agli Inca si è posto, sarà dato prossimamente e al riguardo la ministra dell’Ambiente, Kirla Echegaray afferma: “Sono sicura che raggiungeremo questo obiettivo lavorando in maniera articolata“.
Il progetto, annunciato già lo scorso 9 gennaio e rimandato a causa del coronavirus, è stato confermato dalla ministra peruviana durante l’Assemblea Internazionale Virtuale per il 79esimo anniversario della creazione del distretto di Machu Picchu. Così si è espresso il Presidente peruviano Martin Vizcarra: si tratta di un “impegno del governo, della regione, della municipalità, e di tutti i cittadini che vogliono proteggere questa meraviglia mondiale”.
Forse non tutti sanno che Machu Picchu, viene soprannominata anche “città perduta”, perché all’epoca della sua scoperta era nascosta nella rigogliosa foresta Amazzonica, dove per secoli è rimasta, al sicuro come un grande tesoro nelle braccia di madre natura. Si narra che un bambino nel 1911 abbia rivelato l’esistenza del Santuario Inca ad un professore di Yale, Hiram Bingham, esploratore appassionato di archeologia, che nel 1912 ottenne il permesso dalle autorità peruviane di effettuare gli scavi che fecero rinascere, dopo cinque anni di lavoro, Machu Picchu.
Anche se si tratta di una goccia in un oceano pieno di indifferenza e scarsa sensibilità verso le problematiche ambientali e del cambiamento climatico, questa iniziativa pone un tassello importante nella lotta alla desertificazione territoriale antropica avviata da diverso tempo, soprattutto, in Sudamerica. Mi vengono in mente l’Amazzonia e le proteste dei popoli indigeni impegnati a contrastare le corporation nell’intento di accaparrarsi le terre da convertire in monocolture per la produzione di olio di palma, per esempio, o per gli allevamenti di bestiame, e appetibili, anche, per la ricca presenza di legname pregiato, minerali e metalli preziosi.