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RILEGGENDO POESIA – ADRIANO GRANDE

Il Novecento italiano è una miniera ancora parzialmente inesplorata, in cui si trovano pietre rare e preziose. Infatti Antonella Violetto, nell’ormai lontano 1997 (n. 111/novembre) parlava di Adriano Grande, intitolando il suo articolo I tempi senza storia, consapevole che Adriano Grande non sarebbe stato ricordato come altri suoi coetanei.

“Eugenio Montale e Sergio Solmi salutavano in lui una fisionomia poetica già delineata, anche se a volte frammentaria e facile a spegnimenti improvvisi e (gli) concedevano ruolo e credito in una Liguria scabra ma fertile di voci, dove una certa familiarità con la poesia poteva sembrare più naturale che altrove.” Anche la nota biografica era più generosa del solito, presupponendo che le pubblicazioni e i saggi critici riguardanti Grande fossero già allora insufficienti. A tanti anni di distanza sarebbe curioso fare un sondaggio tra i lettori e gli appassionati di poesia per verificare quanto vivo sia il ricordo dell’autore ligure. Il link per una nota biografica veramente esaustiva è https://www.treccani.it/enciclopedia/adriano-grande_%28Dizionario-Biografico%29/, che tuttavia, per ragioni di spazio, non possiamo pubblicare integralmente.Anche il link https://www.youtube.com/watch?v=OwGzEkw31j8 è meritevole di citazione.Proponiamo quindi qualche nota da https://www.wikiwand.com/it/Adriano_Grande.

Adriano Grande è stato un rilevante poeta del novecento italiano, nato a Genova nel 1897 e vissuto a Roma dal 1934 fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1972. Apparteneva alla cosiddetta “linea ligure” di quel gruppo di poeti post-vociani e post-rondisti che, nel primo dopoguerra, diedero nuova e vigorosa fioritura alla lirica italiana sollevandola su piano europeo. Ha fondato e diretto le riviste letterarie Circoli, Maestrale e dal 1960, avvicinatosi a gruppi cattolici, Persona.

Ha cominciato a pubblicare poesie nel 1920 sul Baretti di Piero Gobetti, presso le cui edizioni apparve nel 1926 il suo primo libro Avventure. Prese parte alla guerra d’Etiopia, di cui lasciò testimonianza nel diario La legione Parini e in Poesie in Africa. Della sua poesia si è interessata, negli anni, la più rigorosa critica letteraria, osservando tra l’altro come, nelle avventure formali della lirica del novecento, nate da esperienze antiretoriche e da esigenze di sintesi lessicale e musicale, l’opera di Adriano Grande abbia sempre tenuto fede alla linea melodica connaturata all’italiano, puntando su un ideale di perspicua classicità intesa in senso moderno, pur senza mai cedere alla moda del gratuito analogismo che per anni tenne il campo in Italia. La sua ispirazione si giovava d’un apprendimento pittorico ed elegiaco della realtà naturale, e sfociava in un senso cristianamente religioso dell’esistenza (soprattutto nelle ultime opere, NdA). Come poeta ha riportato diversi premi (“Siena”, “Taormina”, “Roma”, “Napoli”, “Bergamo”, “Fiuggi”) e come narratore anche un premio “Teramo”. È stato anche autore di teatro: una sua specie di farsa filosofica, Faust non è morto, rappresentata a Roma nel 1935, è stata un manifesto per il ritorno allo spettacolo di poesia. Un altro suo dramma, Gli angeli lavorano, fu premiato a San Miniato.

Dall’età di sessant’anni si è dedicato alla pittura, e quale pittore naïf è stato invitato alle maggiori mostre nazionali e straniere ed ha tenuto varie personali, con notevole successo. Allo stesso link è possibile far riferimento per le opere (poesie, prose, teatro e traduzioni). Una nota che le odierne biografie non colgono è il fatto che fosse autodidatta. Infatti, dopo essersi adattato a vari lavori entrò, a 25 anni, nel giornalismo, per non uscirne mai più, se escludiamo il periodo bellico. Presente nel giornalismo e scriba ed esule in poesia, come affermava Antonella Violetto: “un fragile equilibrio tra coscienza artistica e fiduciosa inerzia, che spiega le frequenti cadute di tono; ma là dove l’impegno di trascrivere una verità ineffabile s’incontra con la genuina eloquenza di uno stato d’animo, anche per Grande scocca la scintilla della poesia.”

Alla pioggia e al sole

Di pochi fiori un vaso

come in un bosco in cuore

nascondo. Si rallieta

del sole che goder per brevi istanti

gli è dato fra le ombre

stormenti.

Se resta lontana

l’ebbrezza della loggia

dove la luce ride ogni momento,

il mare incendia, il cielo,

le strade e i campi; se lo bagna a caso

la pioggia

per troppe dita di foglie filtrata,

ormai, di giorno in giorno,

sembra che i taciturni

colori gli ravvivi un misterioso

succo di gioia: e gli occhi di chi guarda

ne sian chiamati, con stupor leggero,

ad obliar le grandi piante intorno.

Data:

7 Febbraio 2022