Il numero 2 del Mensile di cultura poetica POESIA trattò diffusamente delle poesie di Clemente Rebora; così ci informava: “Finalmente in libreria Le poesie di Clemente Rebora: una coedizione Garzanti-Scheiwiller, a cura di Vanni Scheiwiller e Gianni Mussini. Abbiamo parlato di Rebora con la nipote Enrica Bonfanti Valli e con il direttore letterario della Garzanti Piero Gelli.”
Chi era dunque Clemente Rebora (1885-1957)?
Leggiamo da http://www.ccrebora.org/: nasce a Milano, da una famiglia genovese; il padre tiene il ragazzo lontano dall’esperienza religiosa e lo educa agli ideali mazziniani e progressisti. Dopo il liceo, il giovane frequenta medicina per un anno a Pavia, ma non è questa la sua strada. Passa a Lettere, presso la quale si laurea: era un ambiente pieno di fervore creativo. Intraprende poi l’attività d’insegnante. La scuola è per lui luogo d’educazione integrale: proprio con articoli di argomento pedagogico comincia a collaborare a “La Voce”, la prestigiosa rivista fiorentina. Come quaderno de “La Voce” esce nel 1913 la sua opera prima: i Frammenti lirici. Il successo è immediato. Alla fine di quello stesso anno conosce Lidya Natus, un’artista ebrea russa: nasce fra loro un affetto che li lega fino al 1919. Allo scoppio della prima guerra mondiale Rebora è sul fronte del Carso: sergente, poi ufficiale. Ferito alla tempia dallo scoppio di un granata, ne rimane segnato soprattutto a livello psicologico (i biografi parlano di «nevrosi da trauma»). Nell’immediato dopoguerra torna all’insegnamento, optando per le scuole serali, frequentate da operai: da quel popolo semplice che egli, con slancio umanitario, ama. Si autoimpone un regime di vita molto austero, devolvendo gran parte dello stipendio ai poveri e spesso ospitandoli in casa. I Canti anonimi il suo secondo libro di poesia, del 1922. Inoltre pubblica I sedici Libretti di vita attraverso cui divulga opere di mistica occidentale e orientale (e su tali argomenti è anche apprezzato conferenziere). Sono questi, diversi segnali che preludono all’approdo: la conversione al cattolicesimo, nel 1929. (…)
Quale fu la testimonianza della nipote in quella bellissima intervista? “Invitava a merenda me e mia sorella…era un appartamento al quinto piano che a me sembrava un solaio…Clemente appendeva tanti foglietti con versi, pensieri…vi faceva salire un po’ tutti, barboni disgraziati, uno che a momenti gli spara perché era matto… (non ci ricorda niente questa situazione? NdA) si sono scritte tante sciocchezze sulla conversione di Clemente. La verità è che è sempre stato così: buono generoso altruista…alla religione cattolica è arrivato attraverso le religioni orientali. È stato lui che ha fatto venire Tagore in Italia.”
Una persona autentica insomma: non soltanto il poeta ma anche l’uomo. Forse più da laico che da sacerdote.
Leggiamo una poesia del 1955:
La poesia è un miele che il poeta,
in casta cera e cella di rinuncia,
per sé si fa e pei fratelli in via;
e senza tregua l’armonia annuncia
mentre discorde sputa amaro il mondo.
Da quanto andar in cerca d’ogni parte,
in quanti fiori sosta, e va profondo
come l’ape il poeta!
L’ultime cose accoglie perché sian prime;
nettare, dolorando, dolce esprime,
che al ciel sia vita mentre è quaggiù sol arte.
Così porta bontà verso le cime,
onde in bellezza ognun scorga la mèta
che il Signor serba a chi fallendo asseta.