Giacinto Spagnoletti, membro del comitato di redazione di POESIA, appare nella rubrica Inediti nel febbraio 1995 con L’ombra del cattivo tempo.
Sembra quasi irriguardoso, nei confronti della sua levatura di critico, di poeta, di romanziere, riproporre su queste pagine qualche cenno biografico: siamo convinti che tali figure, in Italia e non solo, dovrebbero già essere conosciute dal grande pubblico, o almeno da chi abitualmente legge un giornale. Sui frequentatori di talk-show – grandifratellesche adunanze di esperti in vaniloqui estenuanti – sugli habitué di MasterChef o di x Factor non possiamo certo contare. Sono i media stessi, in altre parole, a peccare d’omissione. Giacinto Spagnoletti (Taranto 1920-Roma 2003) è stato docente di storia della letteratura italiana contemporanea all’Università degli Abruzzi. Critico militante fin dagli anni della sua giovinezza, si è occupato di poeti e narratori degli ultimi tre secoli, da Casanova a Belli – di cui ha curato l’Epistolario –, da Restif de la Bretonne a Baudelaire, a Verlaine. È autore di una famosa antologia della poesia italiana contemporanea, più volte ristampata, e di una voluminosa Storia della letteratura italiana del Novecento (1994). Ha scritto molti saggi critici, tra cui Sbarbaro (1943), Renato Serra (id.), Svevo (1972), Il verso è tutto (1979); L’impura giovinezza di Pasolini (1998); Il teatro della memoria. Riflessioni agrodolci di fine secolo (1999). Ha pubblicato le raccolte di poesia A mio padre, d’estate (1953), Poesie raccolte 1940-1990, e i romanzi Le orecchie del diavolo (1954), Il fiato materno (1971). (http://www.spirali.it/autore/24268/giacinto-spagnoletti/).
Docente, dicevamo. Silvio Ramat ci rivela (in un articolo del 2003, anno della sua morte), come è stato trattato. “Tra i molti errori, o misfatti, imperdonabili del Potere Accademico c’è quello di non aver voluto assegnare una cattedra di professore ordinario a Giacinto Spagnoletti, neanche nel concorso di Letteratura italiana moderna e contemporanea del 1980 l’ultimo al quale, sessantenne, egli si presentò.
Uno scandalo: che non ebbe – e non ha – motivazione alcuna. Amareggiato, Spagnoletti continuò a far la spola tra Roma e Chieti, nella cui università aveva da tempo un incarico e dove concluse la sua carriera didattica nel ruolo degli associati. All’interno di un lavoro critico fitto e vario, il nome di Spagnoletti resta forse legato, nella memoria dei lettori di poesia, principalmente ai due volumi che nel ’46 (ma erano pronti per la stampa fin dal tragico luglio del 1943), editi da Vallecchi, antologizzavano il nostro Novecento muovendo, con scelta originale, da Pascoli e D’Annunzio per giungere ai trentenni di allora. Nella generazione postmontaliana Luzi e Gatto acquistano il rilievo maggiore, ma si da un credito non solo formale anche a Caproni e a Sereni. Se pensiamo che Spagnoletti implicitamente si misurava con l’autorevole florilegio dei Linci nuovi di Anceschi (1942). si coglieranno le affinità e le divergenze: la più vistosa, direi, consiste nella mancata attribuzione a Quasimodo di quel peso che gli aveva riconosciuto Anceschi, già prefatore entusiasta, nel ’40 dei Lirici greci e sostenitore del ‘primato’ di una diade “pura”. Ungaretti-Quasimodo, fulcro e sostanza dell’evolvere del linguaggio della moderna poesia, inaugurata nel nome di Campana (che gode di un assoluto risalto anche nel disegno tracciato da Spagnoletti). Il vocabolo “ermetismo” compare di rado nel saggio introduttivo all’antologia del ’46, ma non c’è dubbio che quella cultura e quel gusto incidano fortemente nella selezione di Spagnoletti, quantunque nel suo curriculum ci fosse una tesi di laurea discussa a Roma sotto la guida di Sapegno maestro tale che di più distanti dall’ermetismo sarebbe arduo scovarne […]” Giacinto Spagnoletti ebbe cioè il grande merito di diffondere con tempestività la poesia contemporanea del ‘900. Presiedette dal 1988 al 2000 la Fondazione Marino Piazzolla; il figlio Luca è musicista, compositore e docente. Auspicheremmo una maggior considerazione del suo lavoro da parte dei bloggers e dei curatori di forum letterari. https://poetarumsilva.com lo ha fatto, in occasione del centenario della nascita, nel 2020, citandolo. “Si avvicina per i poeti un tempo insidioso, in cui le cose da dire saranno, per logica inesorabile, in diretta funzione del modo che il progresso metterà a loro disposizione per dirle: non un modo regolabile, come per il passato, su un canone o su un principio di estetica. Chissà quale.” Parole profetiche.
Elegia
In questi chiari giorni di settembre
l’unico vero cruccio è la memoria.
Se chiudo gli occhi d’improvviso vedo
un cielo fosco, e ne è invasa la stanza
dove c’incontravamo ad ogni tua
partenza e ad ogni mio ritorno. E sempre,
sempre ardeva una nuova confidenza,
un sogno ogni volta rinnovato.
Non come ora che ti scopro immerso
nei tuoi ignoti pensieri, con lo sguardo
fisso ai vetri battuti dalla pioggia:
quasi un mago di cenere affondato
nella vecchia poltrona. Mi avvicino
ti chiamo e ti richiamo, padre assente;
son certo che sei vivo, e forse è questo
che più temo e mi opprime: il sortilegio
della tua morte-vita, più sicura
ed ansiosa di ogni mio cercarti.