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RILEGGENDO POESIA – VITTORIO ALFIERI

Qualche incursione nei secoli passati, su questa rubrica, non è soltanto auspicabile: è anche doverosa. Siamo dinanzi a Vittorio Alfieri, un poeta notissimo (grazie anche a molta toponomastica) che non avevamo ancora preso in considerazione, neppure nello spazio PROPOSTE DI LETTURA.

Lo facciamo oggi, grazie a Paola Mastrocola che, nel gennaio 2000 (n. 135) così descriveva il poeta astigiano: “La ricchezza, il prestigio, il potere, ma soprattutto il patrimonio familiare, il possesso dei beni: tutto questo Alfieri rifiutò, in modo perentorio e drastico. Alfieri rinuncia e sceglie di donare l’intero suo patrimonio alla sorella (in cambio di un generoso vitalizio, d’altronde nessuno vive d’aria, NdA), rompe i ceppi in cui nacque e si compra la degna libertà vera. Perché? Lo dice nel sonetto 31: la ricchezza rende schiavi e vili, porta a servire e a star tremante: porta a non pensare. La poesia fu per lui la salvezza, il miracolo, che egli definì con parola di ascendenza agostiniana: conversione.” Ecco il link del Comune di Asti per la biografia di Vittorio Alfieri, sito curato da Carla Forno: https://www.comune.asti.it/pagina804_vittorio-alfieri.html.

Il primo riferimento ad Asti compare all’inizio del primo capitolo della prima “epoca” della Vita, l’autobiografia scritta da Alfieri, là dove si legge “Nella città d’Asti in Piemonte, il dì 17 di gennaio dell’anno 1749, io nacqui di nobili, agiati, ed onesti parenti”, con evidente errore nell’indicazione della data, essendo in realtà egli nato il giorno 16 gennaio. Mentre troviamo nell’autobiografia pagine appassionanti dedicate alla descrizione delle diverse città incontrate nei suoi viaggi in Italia e in quelle dal Portogallo alla Francia, dall’Inghilterra ai paesi del nord, sono rari i riferimenti alla città in cui il poeta nacque, per lo più confinati in quella dimensione dell’infanzia, deo Bianco, conte di Cortemilia, morto quando il piccolo Vittorio aveva circa un anno. Vittorio Alfieri (1749-1803) nacque ad Asti da una famiglia di ricca nobiltà terriera. Nel 1758 entrò nella Reale Accademia di Torino e ne uscì nel 1766. La particolare situazione familiare (dopo la morte del padre, la madre aveva sposato in terze nozze Giacinto Alfieri di Magliano), la severa educazione militare e gli obblighi imposti ai giovani nobili del Regno di Sardegna, lo resero intollerante verso le convenzioni sociali, le gerarchie militari e l’assolutismo monarchico.

Uscito dall’Accademia, tra il 1766 e il ’67 Alfieri iniziò una serie di viaggi in Italia e in Europa, ispirati più da un’«insofferenza dello stare» che dal desiderio di istruirsi. Lontano dall’attività politica e militare, nel 1772 decise di interessarsi al mondo teatrale e letterario. Formatosi secondo i codici culturali del Regno di Sardegna, utilizzò il francese per scrivere le sue prime opere: l’Esquisse du jugement universel (1773) e il Journal (1775). Nel 1775 scrisse e mise in scena la tragedia Antonio e Cleopatra. Gli anni tra il 1775 e il ’77 furono fondamentali per la sua scelta letteraria e per l’elaborazione del suo pensiero politico: nel 1777 scrisse «d’un fiato» il trattato Della tirannide, decise di liberarsi della lingua francese e di «spiemontizzarsi»; nel 1778 donò alla sorella tutto il suo patrimonio in cambio di un vitalizio (appunto).

Cominciò a intraprendere uno studio serrato dei classici italiani e latini e si trasferì a Firenze dove si legò alla contessa d’Albany (anche gli amori, talvolta, furono un impedimento a pensare). In questo periodo lavorò alle tragedie Filippo, Antigone, Polinice, Agamennone e Oreste. Nel 1780 si trasferì a Roma dove cominciò a comporre il Saul. Nel 1783 fece stampare i primi due volumi delle Tragedie. Dal 1785 si stabilì in Alsazia, a Colmar, alternando a questa residenza lunghi soggiorni parigini. Da qui fino al 1792 svolse un intenso lavoro, curando la stesura e l’edizione di varie opere: il trattato Del principe e delle lettere (1789), il poema l’Etruria vendicata (1786), le Rime (1789). Tra il 1787 e il 1789 pubblicò la nuova edizione delle Tragedie e nel 1790 ultimò laVita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, pubblicata postuma nel 1804. Si entusiasmò per la Rivoluzione francese, durante il suo soggiorno parigino, nel 1789, ma ben presto, a causa del degenerare della rivoluzione dopo il 1792, il suo atteggiamento favorevole si trasformò in una forte avversione per la Francia.

Tornò in Italia, dove continuò a scrivere, opponendosi idealmente al regime di Napoleone, e dove morì, a Firenze, nel 1803; fu sepolto tra i grandi italiani nella Basilica di Santa Croce. Già dagli ultimi anni della sua vita Alfieri divenne un simbolo per gli intellettuali del Risorgimento, a partire da Ugo Foscolo. Tragedie, prose politiche, satire, commedie, rime, traduzioni: questo il lascito di Vittorio Alfieri, tra Illuminismo e Romanticismo, figura quasi leggendaria durante tutto il periodo risorgimentale. Ma abbiamo anche una curiosità: il poeta che più di una volta confessò di essere sensibile alle bellezze naturali, davanti alle opere artistiche manifestava una certa «ottusità d’intelletto». A Firenze, per la prima volta nel 1766, dichiarò che le visite alla Galleria e a Palazzo Pitti, si svolgevano forzatamente, con molta nausea, senza nessun senso del bello, e del Louvre gli interessò «solo la facciata». “Alfieri assegna la penna non come surrogato della spada, ma come autentico strumento di lotta contro le degenerazioni di ogni tipo di potere. Di qui, il mito risorgimentale di Alfieri, da leggere senza enfasi, oggi, in chiaroscuro, per le sue contraddizioni e fragilità.” (Carla Forno) “Vittorio Alfieri: libertario o codino? E’ ancora attuale l’interpretazione di Alfieri come precursore degli ideali del Risorgimento?”: era questo il tema che gli organizzatori del XI Certame Nazionale Alfieriano proposero agli studenti delle scuole medie superiori che parteciparono al concorso (parliamo del 2010). Sono innumerevoli le tesi di laurea, i saggi critici, gli studi comparati su Vittorio Alfieri. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Non c’è solo la toponomastica nella vita.

Sonetto CVIII

Le pene mie lunghissime son tante,
ch’io non potria giammai dirtele appieno.
D’atri pensieri irrequïeti pieno,
neppure io ‘l so, dove fermar mie piante.

Misera vita strascìno ed errante;
dov’io non son, quello il miglior terreno
parmi; e quel ch’io non spiro, aere sereno
sol chiamo; e il bene ognor mi caccio innante.

S’anco incontro un piacer semplice e puro,
un lieto colle, un praticello, un fonte,
dolor ne traggo e pensamento oscuro.

Meco non sei: tutte mie angosce conte
son da quest’una; ed a narrarti il duro
mio stato, sol mie lagrime son pronte.

Data:

27 Aprile 2022