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RISCALDAMENTO GLOBALE – Limite 1,5°C l’UE suona l’allarme

Il riscaldamento globale non è più una questione di previsioni o scenari futuri, ma una realtà presente che condiziona sempre più la vita di milioni di persone. Il limite di 1,5°C, fissato dall’Accordo di Parigi nel 2015, è diventato una delle soglie più discusse e cruciali nel dibattito internazionale sui cambiamenti climatici. Ma cosa significa davvero rimanere sotto questo limite e perché è così essenziale? La risposta è semplice: superare questo valore rischia di innescare fenomeni irreversibili e devastanti che minacciano non solo gli ecosistemi, ma anche la stabilità economica e sociale globale.

Mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali significa contenere il danno che il cambiamento climatico sta già causando. È una soglia simbolica, ma al contempo concreta: oltre questo punto, gli scienziati avvertono che l’innalzamento del livello dei mari, l’intensificazione di eventi meteorologici estremi come siccità, ondate di calore e uragani, e la perdita di biodiversità accelereranno drasticamente. Inoltre, superare i 2°C comporterebbe il rischio di trasformazioni catastrofiche nei sistemi naturali e sociali, rendendo il pianeta un luogo meno ospitale per l’umanità.

Il tempo sta per scadere

Il riscaldamento globale è già a quota circa 1,1°C rispetto ai livelli preindustriali. Questo significa che ci troviamo pericolosamente vicini alla soglia di 1,5°C, con un margine di tempo sempre più ridotto per intervenire. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), senza un’azione urgente e concertata a livello globale, il mondo potrebbe superare questa soglia entro pochi decenni. Se questo dovesse accadere, le conseguenze sarebbero irreversibili.

Tra gli effetti più preoccupanti ci sono l’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, con un conseguente aumento del livello del mare che minaccia isole e coste densamente popolate. Anche la sicurezza alimentare globale è a rischio: siccità più frequenti e prolungate potrebbero ridurre drasticamente la produzione agricola, aggravando la fame nel mondo e creando nuove ondate di migrazioni climatiche.

Un aspetto fondamentale del dibattito sul limite di 1,5°C riguarda l’iniquità degli impatti del cambiamento climatico. I Paesi in via di sviluppo, che hanno contribuito in misura minore alle emissioni globali di gas serra, sono spesso quelli che subiscono le conseguenze più gravi. Regioni come l’Africa sub-sahariana, l’Asia meridionale e il Pacifico, già vulnerabili per condizioni economiche e sociali, affrontano fenomeni climatici estremi con risorse limitate per l’adattamento.

Per questo motivo, oltre all’impegno a ridurre le emissioni, le nazioni più ricche hanno la responsabilità di fornire supporto economico ai Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo è quello di aiutare queste nazioni a mitigare i danni e ad adattarsi a un clima che cambia, promuovendo al contempo lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, gli impegni finanziari finora presi non sono stati sufficienti a garantire una transizione equa e sostenibile per tutti.

L’obiettivo ambizioso dell’Unione Europea

L’Unione Europea, tra i principali sostenitori dell’obiettivo di 1,5°C, si è fatta portavoce di un messaggio chiaro: se non si agisce subito e con decisione, il mondo rischia di avviarsi verso scenari di riscaldamento ben superiori a quelli attuali, con conseguenze che nessuno potrà evitare. Questo limite non è una scelta arbitraria, ma il frutto di analisi scientifiche che sottolineano quanto sia stretto il margine d’azione per evitare il collasso di interi ecosistemi e delle economie mondiali.

L’Unione Europea ha fatto del limite di 1,5°C un punto focale della sua agenda climatica e ha adottato politiche audaci per ridurre le emissioni di gas serra e promuovere la sostenibilità.

Il Green Deal europeo, lanciato nel 2019, è una delle iniziative più ambiziose mai intraprese da un ente politico per affrontare il cambiamento climatico. Questo piano mira a trasformare l’Europa nel primo continente climaticamente neutro entro il 2050, con obiettivi intermedi che puntano a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’UE non solo si è impegnata a raggiungere questi obiettivi, ma ha anche messo in atto una serie di meccanismi per garantire che tali impegni vengano rispettati.

L’Unione Europea ha assunto un ruolo di leadership nel panorama internazionale delle politiche climatiche, facendo pressione su altri grandi emettitori di gas serra affinché intensifichino i loro sforzi per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C. La posizione dell’UE è chiara: non si tratta solo di raggiungere i propri obiettivi, ma di garantire che il mondo intero collabori per affrontare questa crisi. In occasione della prossima COP 29, che si terrà a Baku nel novembre 2024, l’UE intende portare avanti un messaggio di solidarietà, invitando le nazioni più sviluppate a sostenere i Paesi in via di sviluppo nella loro lotta contro i cambiamenti climatici.

Uno dei principali punti all’ordine del giorno della COP 29 sarà la questione dei finanziamenti per il clima. Il Consiglio europeo ha sottolineato l’importanza di stabilire un nuovo obiettivo collettivo quantificato in materia di finanziamenti, realizzabile e adatto agli scopi della transizione ecologica. Questo nuovo obiettivo deve essere ampio e trasformativo, coinvolgendo non solo i finanziamenti pubblici, ma anche quelli privati. L’Unione Europea sta già lavorando su meccanismi per incentivare gli investimenti privati nel settore verde. La convinzione è che i finanziamenti pubblici, sebbene essenziali, non saranno sufficienti a garantire i livelli necessari per conseguire un’economia climaticamente neutra. La creazione di un ambiente favorevole agli investimenti privati è quindi fondamentale per facilitare la transizione verso pratiche sostenibili in tutti i settori economici.

Un altro aspetto cruciale dell’approccio dell’Unione Europea è l’invito ai singoli Stati membri a presentare piani nazionali ambiziosi. I contributi determinati a livello nazionale (NDC), che ogni Paese deve presentare per dimostrare il proprio impegno nella lotta ai cambiamenti climatici, devono riflettere una massima ambizione possibile. L’Ue, in questo senso, non solo fissa obiettivi per sé stessa, ma esercita anche pressione sui suoi Stati membri affinché facciano altrettanto. L’importanza di questi piani non può essere sottovalutata: devono includere obiettivi di riduzione delle emissioni in tutti i settori dell’economia e devono essere trasparenti, consentendo una verifica efficace dei progressi compiuti. L’Unione Europea sta guidando l’esempio, dimostrando che è possibile conciliare la crescita economica con la sostenibilità ambientale.

L’Unione Europea non si limita a cercare soluzioni a breve termine, ma punta a una visione a lungo termine per la sostenibilità globale. Ciò implica anche il riconoscimento dell’importanza dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Le politiche di adattamento devono essere integrate nelle strategie nazionali e locali, assicurando che le comunità siano preparate ad affrontare gli impatti inevitabili del cambiamento climatico. In questo contesto, l’Ue sta lavorando per promuovere un dialogo costruttivo con i Paesi partner e per monitorare i progressi collettivi. La transizione verso un’economia a basse emissioni deve essere accompagnata da un approccio giusto ed equo, garantendo che le vulnerabilità non vengano amplificate dalle politiche climatiche.

(da AdnKronos)

Data:

21 Ottobre 2024

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