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Rosatellum va spedito, ma è bagarre

cms_7559/grillo_di_maio_di_battista_bendati_afp.jpgTra spintoni e grida l’aula del Senato ha detto sì ai 5 articoli della legge elettorale su cui il governo aveva messo la fiducia. Il primo ok all’articolo 1 con 150 voti a favore, 69 contrari e nessun astenuto. La fiducia sull’articolo 2 è passata con 151 voti a favore, 61 contrari e nessun astenuto. Il Senato ha approvato l’articolo 3 del Rosatellum con 148 voti favorevoli, 61 contrari e nessun astenuto. E’ passata anche la fiducia sull’art. 4 con 150 voti favorevoli, 60 contrari e nessun astenuto. Via libera all’unico articolo della legge elettorale, il quinto, con la clausola di invarianza finanziaria, sul quale non è stata posta la questione di fiducia. E’ iniziata quindi la chiama per l’ultimo voto di fiducia sull’articolo 6.

La seduta è stata abbastanza movimentata. Il presidente Pietro Grasso ha richiamato i senatori e minacciato di far sedere ognuno al proprio scranno invece di seguire il voto in piedi nell’emiciclo. “Verdini diventa il dominus della maggioranza” ha dichiarato in una nota il deputato di Mdp, Alfredo D’Attorre. Contemporaneamente alle votazioni del Senato, c’è stata la manifestazione di protesta del Movimento 5 stelle (FOTO). “Stiamo per fare una battaglia per tutto il popolo italiano” ha detto Beppe Grillo dal palco, presentando Di Maio come “il premier…” e dando “la parola a quello che cambierà l’Italia”. “Il presidente del Senato Grasso, se non pensa alla poltrona – attacca dal palco il deputato del M5S Danilo Toninelli -, dovrebbe dimettersi per bloccare tutto questo”. “Grasso dimettiti, se hai la schiena dritta, se vuoi ancora dare un minimo di dignità al tuo ruolo di arbitro terzo – chiede dal palco del M5S il senatore Vito Crimi – . Devi dimetterti, come fece nel 1953 il presidente del Senato Paratore. Questo non è un appello ma una richiesta legittima. E’ l’unico che può fermare tutto. Gli chiediamo di non rendersi complice di questa massa di farabutti”.

“Può essere più duro resistere che abbandonare con una fuga vigliacca” replica del presidente del Senato Pietro Grasso al pentastellato Vito Crimi che gli chiede di dare le dimissioni per non rendersi “complice” dell’approvazione, con la fiducia, della legge elettorale.

“Mi pronuncio per la fiducia al governo Gentiloni, per salvaguardare il valore della stabilità, per consentire, anche in questo scorcio di legislatura, continuità nell’azione per la riforme e per una più coerente integrazione europea, e mi pronuncio per la fiducia per sostenere scelte del presidente del Consiglio fondate sulle prerogative attribuitegli dalla Costituzione”. Così il presidente emerito Giorgio Napolitano in aula al Senato durante la discussione. L’ex capo dello Stato, tuttavia, nel suo intervento ha ribadito le perplessità sul testo e soprattutto sul ricorso alla fiducia: “Si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida del Parlamento fino a comprimerne drasticamente ruolo e diritti sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori?”.

Singolare e sommamente improprio ho giudicato il far pesare sul presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti. Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire – e me ne rammarico- a quella convergente richiesta”, ha detto ancora Napolitano al Senato.

Fondo Usa vuole Alitalia

cms_7559/Alitalia_finestrino_Fg.jpgAl di fuori delle offerte giunte per Alitalia, al fianco delle ipotesi di ’spezzatino’ avanzate da più parti (come la tedesca Lufthansa e la ’low cost’ Easyjet), sarebbe giunta una proposta per l’acquisizione integrale della compagnia: a sottoporla, il fondo americano Cerberus Capital Management, con una mossa che – secondo fonti vicine al dossier – “potrebbe modificare la corsa per il controllo dell’aerolinea”. Lo scrive oggi il Financial Times secondo cui Cerberus avrebbe giudicato la gara pubblica “troppo restrittiva” scegliendo di sottoporre una propria proposta, dal valore compreso fra i 100 e 400 milioni di euro, a patto di una “completa ristrutturazione”.

Le fonti del quotidiano riferiscono di una lunga analisi del dossier Alitalia da parte del fondo, i cui rappresentanti avrebbero avuto incontri con i commissari designati dal governo. Peraltro, sempre secondo il ’Financial Times’ Cerberus proporrebbe il mantenimento di una quota pubblica nell’azionariato di Alitalia mentre ai sindacati sarebbe sottoposta una forma di “condivisione dei profitti”. A favore del fondo americano, l’esperienza maturata con la ristrutturazione di Air Canada, acquisita nel 2004 dopo il fallimento e rivenduta anni dopo con profitto.

Secondo le fonti, Cerberus avrebbe indicato ai commissari la possibilità di rendere Alitalia dal punto di vista economico “sostenibile, competitiva e indipendente”, senza “scegliere gli asset più pregiati, limitandosi ad acquisire aerei o rotte ma tenendo insieme il business come compagnia nazionale italiana”.

Il fondo Usa, che gestisce asset per oltre 40 miliardi di dollari, si sarebbe anche offerto di intervenire senza oneri per la riorganizzazione addirittura prima di completare il proprio investimento così da sfruttare gli ampi poteri assegnati alla gestione commissariale.

Ma il FT riferisce anche del possibile scetticismo da parte delle autorità italiane anche per le difficoltà di uscire dalla procedura di vendita avviata, oltre che per l’intenzione più volte ribadita di uscire completamente dal capitale della compagnia aerea al termine del processo.

Avendo evitato di sottoporre una propria proposta – proprio perché la procedura pubblica è stata giudicata “troppo restrittiva” – tecnicamente quella di Cerberus non è una vera e propria offerta ma una ’ipotesi’ sulla quale lavorare. Ma, proprio l’irritualità della procedura sembra essere uno dei principali ostacoli alla ’opzione Cerberus’. “Ci sono regole e vanno rispettate” ha sottolineato una delle fonti al Financial Times, lasciando intuire come una eventuale proposta del fondo non possa essere valutata a meno di una cancellazione dell’asta pubblica. Un’altra ipotesi suggerita è quella secondo cui Cerberus potrebbe entrare nella partita affiancando una delle parti che hanno già presentato un’offerta ufficiale.

Pensione, com’è cambiata fino a oggi

cms_7559/inps_pensioni_.jpgNel sistema italiano, il meccanismo automatico dell’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita porta a neutralizzare gli effetti della longevità sui conti previdenziali. Ovvero: se si vive più a lungo, si andrà in pensione più tardi. E l’innalzamento dell’età a 67 anni a partire dal 2019 è oggi il tema centrale del nodo pensioni.

C’è infatti una norma che sovraintende all’’aggiustamento’ triennale dell’età pensionabile che nel 2016, come confermato ieri dall’Istat, ha registrato un aumento della speranza di vita rispetto al 2013, aprendo di fatto a un nuovo ’scatto’ nell’accesso alla pensione che, dal 2019, potrebbe così essere possibile solo a 67 anni compiuti.

Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (ad esempio, Inps e Inpdap) è strutturato secondo il criterio della ripartizione: i contributi che lavoratori e aziende versano agli enti di previdenza sono utilizzati per pagare le pensioni di chi ha lasciato l’attività.

LA VITA MEDIA – In un sistema così organizzato, si ricorda in un documento pubblicato sul sito della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (LEGGI), il flusso delle entrate rappresentato dai contributi deve essere in equilibrio con l’ammontare delle uscite, cioè le pensioni.

Il progressivo aumento della vita media ha fatto sì che si debbano pagare le pensioni per un tempo più lungo. Per ottenere un progressivo controllo della spesa pubblica per le pensioni, come si è evoluto il nostro sistema previdenziale negli ultimi 30 anni?

ANNI ’70-80 – “L’Italia è stata interessata da un forte rallentamento dell’economia, determinato principalmente dalla crisi petrolifera” del 1973-1976, ricostruisce il documento della Commissione sui fondi. “Lo Stato ha dovuto affrontare una maggiore spesa a sostegno di coloro che non riuscivano a trovare un’occupazione e delle imprese, anch’esse in crisi”.

Negli anni ’80 è così maturata la consapevolezza riguardo alla necessità di provvedere al riequilibrio dei conti pubblici attraverso il ridimensionamento della spesa corrente. Poi, a partire dai ’90, sono state avviate riforme strutturali che hanno toccato anche le pensioni.

ANNI ’90 – “Fino al dicembre 1992 il lavoratore iscritto all’Inps riceveva una pensione il cui importo era collegato alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Con una rivalutazione media del 2% per ogni anno di contribuzione, per 40 anni di versamenti, veniva erogata una pensione che corrispondeva a circa l’80% della retribuzione percepita nell’ultimo periodo di attività” ricorda la Covip. Inoltre, la pensione veniva rivalutata negli anni successivi tenendo conto di due elementi: aumento dei prezzi e innalzamento dei salari.

RIFORMA AMATO – Con la riforma del 1992 (decreto legislativo n. 503/1992), si innalza l’età per la pensione e si estende gradualmente, fino all’intera vita lavorativa, il periodo di contribuzione valido per il calcolo della pensione; le retribuzioni prese a riferimento per determinare l’importo vengono rivalutate all’1%, percentuale nettamente inferiore a quella applicata prima della riforma; la rivalutazione automatica delle pensioni viene limitata alla dinamica dei prezzi (e non anche a quella dei salari reali).

Da qui la necessità di introdurre una disciplina organica della previdenza complementare con l’istituzione dei Fondi pensione ad adesione collettiva negoziali e aperti (decreto legislativo n. 124/1993).

RIFORMA DINI – Con la riforma del 1995 (legge 335/1995) dal sistema retributivo si è passati al contributivo. La differenza tra i due è sostanziale:

– nel retributivo la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del lavoratore; dipende da anzianità contributiva e retribuzioni, in particolare quelle percepite nell’ultimo periodo, che tendenzialmente sono le più favorevoli;

– nel contributivo, invece, l’importo della pensione dipende dai contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa.

ANNI 2000 – Con il decreto legislativo n. 47/2000 viene migliorato il trattamento fiscale per chi aderisce a un Fondo pensione e sono previste nuove opportunità per chi desidera aderire in forma individuale alla previdenza complementare, iscrivendosi a un Fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (il cosiddetto PIP).

RIFORMA MARONI – Con la riforma del 2004 (legge delega n. 243/2004) vengono stabiliti incentivi per chi rinvia la pensione di anzianità.

NEL 2005 – Con il decreto legislativo n. 252/2005 viene data attuazione alla predetta legge delega, sostituendo interamente il decreto legislativo n. 124/1993.

RIFORMA PRODI – Con la riforma del 2007 (legge n. 247/2007) si introducono le cosiddette ’quote’ per l’accesso alla pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.

NEL 2009 – Con la legge n. 102/2009 arrivano altre innovazioni: dal 1° gennaio 2010 l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta progressivamente fino ai 65 anni; all’1 gennaio 2015, inoltre, l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere collegato all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istat e validato dall’Eurostat.

RIFORMA FORNERO – Con la manovra ’Salva Italia’ (legge n. 214/2011) varata dal governo Monti, il quadro previdenziale si rinnova ancora. A partire dal 2012 cambiano:

– il sistema di calcolo delle pensioni; il metodo contributivo ’pro rata’ si estende a tutti i lavoratori, anche a quelli che avendo maturato a dicembre ’95 almeno 18 anni di contributi potevano fruire del più favorevole sistema retributivo; il ’pro rata’ si applica sui versamenti successivi al 31 dicembre 2011;

– i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia, ferma restando l’anzianità contributiva minima di 20 anni;

– per le lavoratrici dipendenti del settore privato, l’età sale a 62 anni e viene ulteriormente elevata a 63 e 6 mesi nel 2014, a 65 nel 2016 e a 66 a partire dal 2018;

– per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici di rette) l’aumento è di tre anni e 6 mesi (si passa quindi da 60 a 63 anni e mezzo). La soglia sale ulteriormente a 64 e 6 mesi nel 2014, a 65 e 6 mesi nel 2016 fino a raggiungere i 66 anni da gennaio 2018;

• i lavoratori del settore privato devono aver compiuto 66 anni.

2019 – Infine, dal 1° gennaio 2019, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia si adeguerà in funzione dell’incremento della speranza di vita con un adeguamento che avrà periodicità biennale.

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26 Ottobre 2017