Si inizia a fare luce sul caso dell’avvelenamento dell’oppositore del regime russo Aleksej Navalny. È una luce che illumina un caso profondamente oscuro, certo non il primo della storia del Paese a nord-est. Pochi giorni dopo che Vladimir Putin aveva detto, in conferenza stampa, che “se avessimo voluto uccidere Navalny, avremmo portato a termine l’opera”, emergono prove evidenti del fatto che, in realtà, lo Stato russo ha fatto tutto il possibile per eliminare l’oppositore senza fare troppo clamore, fallendo soltanto grazie alla tempestività del personale dell’aereo sul quale Navalny si è sentito male e dei medici che lo hanno soccorso. Il giornalista bulgaro Christo Grozev, che ha aiutato Navalny nelle indagini (lo Stato russo non muove un dito, lasciando il fardello alla vittima, ndr), avrebbe infatti ottenuto l’accesso ad un database dove i poliziotti russi vendono in cambio di denaro i dati dei cittadini che utilizzano aerei e treni. Da questi dati è emerso che tre persone, esponenti dei piani alti del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (FSB), avrebbero seguito passo dopo passo l’ultimo viaggio di Navalny in Siberia, fino a Tomsk, dove è stato avvelenato.
Così, appreso il fatto, la vittima ha deciso di fingersi un alto ufficiale dell’FSB, per riuscire a parlare al telefono con uno degli agenti coinvolti, Konstantin Kudryavtsev, il quale ha quindi a sua insaputa confessato tutto. In particolare, l’incarico di Kudryavtsev nella vicenda sarebbe stato quello di eliminare le prove dell’attentato, eliminando le tracce del veleno. “Se avesse volato un po’ più a lungo e non fosse atterrato così improvvisamente, magari tutto sarebbe andato diversamente” è una delle frasi incriminanti pronunciate al telefono dall’agente. Dalla conversazione, durata oltre 40 minuti, è anche emerso che l’agente nervino Novichok (il cui utilizzo è un crimine internazionale) non sarebbe stato messo nel tè che Navalny aveva bevuto in aeroporto, bensì direttamente sui suoi vestiti, in particolare “nelle mutande”, contaminate sfruttando il fatto che la vittima fosse in piscina.
Il metodo utilizzato, spiega Kudryavtsev nella telefonata, sarebbe stato deciso “dai superiori”. Frasi, queste, inequivocabili, che evidenziano ancora una volta, semmai ce ne fosse ulteriore bisogno, il palese coinvolgimento dello Stato russo nel tentato omicidio dell’uomo che più di tutti mette a repentaglio il dominio di Putin e dell’élite che lo circonda. Nonostante le prove schiaccianti, il Governo russo continua a negare, arrivando ad affermare, tramite il portavoce del Presidente (che però ha specificato si tratti di un “punto di vista personale”), che Navalny soffra di “manie di persecuzione e di grandezza”. L’FSB, da par suo, ha affermato che la telefonata di Navalny sarebbe “un falso, supportato da intelligence straniere”. Per chi volesse approfondire meglio la confessione involontaria dell’agente dell’FSB, questo è il link al video di YouTubepubblicato da Navalny con i contenuti principali della conversazione.