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SABINA – RICORDANDO L’ OTTO SETTEMBRE 1943

71 anni or sono, i cittadini di numerosi Paesi della Sabina Reatina e Romana, ospitarono circa 3 mila soldati sudafricani, ex-prigionieri evasi dai Campi di concentramento PG 54 di Borgo S. Maria e di Montopoli (Farfa). Carico di memorie e di azioni umanitarie e coraggiose, quell’8 settembre di settantuno anni fa, rievoca una delle più belle pagine scritte nella storia del popolo sabino. Una giornata topica: al crepuscolo della seconda guerra mondiale che in Sabina viene ricordata con onore non solamente per ciò che ha rappresentato per il Popolo Italiano, ma per la gara di solidarietà con cui i nostri progenitori, hanno sottratto da morte certa gran parte di quegli ex prigionieri evacuati dal Campo PG 54 di Borgo S. Maria. Una data, quindi, questa dell’8 settembre che almeno per questa parte di Sabina, si è concretizzata in una delle più fulgide pagine di alta ed umana generosità. La cui popolazione, benché immiserita dall’inclemenza dei bombardamenti, affamata e sofferente per le troppe morti, trovò la forza per soccorrere i fuggiaschi. Un segno d’Onore per chi si è rimboccato le maniche e, per farsi prossimo, ha spartito con lo sconosciuto quel poco di cui disponeva. Ciò, rischiando la casa, la propria e la vita dei suoi familiari. Stando ai fatti. Quando in quel memorabile 8 settembre 1943 l’Italia firmò l’armistizio con i belligeranti Anglo‑Americani, anche qui fu tutta un’esplosione di gioia. Appena la radio ne diede notizia un’incontenibile frenesia pervase ogni cuore anche perché, nel coinvolgimento dell’entusiasmo, molti confusero l’armistizio con la pace. Un esultanza quella degli italiani condivisa dai circa tremila soldati anglo‑americani e sud africani catturati sul fronte nord africano. Ufficiali e militari, da tempo ristretti nell’angusto campo di concentramento PG 54, situato in località “Baciabove” al km 37 della Salaria, in attesa di essere tradotti -via treno- in Germania. I quali ultimi, ritrovandosi improvvisamente senza la vigilanza dei loro aguzzini dileguatisi dopo l’annuncio della firma dell’Armistizio, si organizzarono. Finché, sfondati i recinti e scavalcati i “tristi” reticolati, gli oramai “ex prigionieri” con l’intento di ricongiungere alle avanzanti truppe alleate, da poco sbarcate a Salerno, sciamarono liberamente nelle campagne circostanti, sulla via Salaria e sulla strada per Ponticelli, Montelibretti, Moricone e Montorio e via dicendo fin sull’alto reatino. Fame di pace da una parte, voglia di libertà dall’altra. Per qualche ora, le strade, furono tutto un brulicar di uomini in maniche di camicia, baldi, sorridenti, felici come tanti uccellini usciti dalla gabbia. Ma l’entusiasmo dei fuggiaschi: sovrastato dalla più cruda realtà, si spense al tramontar del sole sotto la furibonda reazione dei nazisti e dei loro…fiancheggiatori. << Alcuni furono poco dopo ricatturati e spediti nei Campi di lavoro in Germania; 400 dei quali perirono sul treno diretto al Nord ( ? ) bombardato il 28 gennaio 1944 ad Allerona (TR) lungo il tragitto, altri morirono nei campi di prigionia o di stenti. Circa 1500, invece, chiaramente più fortunati, sopravvissero. E se han potuto ritornare alla loro casa ed ai loro affetti lo devono, appunto, perché soccorsi, sfamati e curati, dai braccianti, boscaioli, contadini della Sabina e, con essi, dai sacerdoti, dalle suore e dai fraticelli del Santuario di Santa Maria delle Grazie in Ponticelli…>> Ragazzini, ex militari in trepida attesa di far ritorno alle loro case, dalle loro mamme, mogli, figlioletti lasciati in fasce e fidanzate. Giovani allo sbando, in terra sconosciuta, braccati dal nemico ed insinuati dalle spie. Sui quali, finiti i comprensibili entusiasmi prodotti dalla recuperata libertà, ritornò più imperioso che mai, il problema esistenziale: come sbarcare il lunario ? dove alloggiare? cosa fare ? a chi appoggiarsi ? tutto ciò, sotto l’incubo della entrante stagione invernale che da queste parti è sempre assai rigida. Senza trascurare di essere in territorio occupato e, quindi, ostile e i cui abitanti oramai stremati dalla guerra, sospettosi di tutti ed immiseriti dalle continue razzie, potevano offrire minime prospettive. Un vero inferno! Invece. Strano ma vero, da quel crudo spaccato di storia è scaturito un fantastico capitolo di alta umanità. Protagonista in assoluto di quei 1500 atti di solidarietà, è stata la generosa comunità Sabina.

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E FU UNA AUTENTICA GARA DI SOLIDARIETÀ

Uomini e donne (e perché no ? pionieri del più moderno volontariato) che, esponendosi in prima persona, hanno provvidenzialmente sottratto alle proditorie scorribande degli occupanti nazisti e dei loro fiancheggiatori i fuggiaschi. Uomini in uniforme da essi sconosciuti. E ne è scaturita una vera e propria gara di solidarietà senza confini con cui le pur immiserite famiglie sabine… diedero fondo a quel poco di cui disponevano che “spezzarono “ con quei soldati. Una epopea che coinvolse per oltre dieci mesi quanto e quanti erano rimasti in casa (anziani, malati, donne e bambini, mentre i giovani erano al fronte).Gente umile che, sfidando l’ira dei nazisti, oramai allo sbando e in disordinata ritirata, soccorse spontaneamente quei ragazzi in fuga, a rischio della propria vita. Uno spaccato che merita di essere ricordato non fosse altro per l’esempio che trasferisce e l’inimitabile afflato di civiltà che spinse i nostri nonni: novelli “buoni Samaritani”, ad accogliere, difendere e, talvolta, proteggere dalla prepotenza nemica, qui ragazzi nei quali essi intravidero riflessa la stessa sofferta immagine dei loro figli e congiunti al fronte. Da non dimenticare. Anzi, le genti sabine, senza indugio alcuno, accantonata ogni condivisibile resistenza, si fecero in quattro. Aprirono le loro case: benché immiserite e spoglie, i granai e le cantine, i casolari e le soffitte e perfino i pollai e le capanne. E condivisero quel poco di cui ancora disponevano con l’estraneo; gli aprirono i loro cuori e lo sfamarono portando ad esso… di soppiatto ed a rischio delle loro stessa vita, minestre calde e pastasciutta fatta in casa, pane e companatico e, rivestendolo con indumenti magari rimessi a nuovo, lo tennero sempre pulito. All’occorrenza, lo curarono rifornendolo anche di buoni medicinali e facendolo comunicare da un sacerdote. Un capitolo della guerra di forte intensità storica, ridondante di altissima umanità, purtroppo, obliato. Un’epopea generosa, asseverata dal Governo Sudafricano che, tramite lo stesso Tenente Jhon Mills (ex prigioniero al Campo PG 54) poi divenuto Ambasciatore ed il Gen. Alexander, ha voluto onorare facendo conferire un Attestato di “Gratitudine e Riconoscimento” a molteplici sabini. Inoltre, lo stesso Mills nel 1979, si fece promotore della raccolta di fondi con cui fu realizzata e, quindi, donata in segno di riconoscenza nei confronti dei fraticelli del Santuario di S. Maria delle Grazie -dove fu ospite per i 9 mesi di latitanza- l’artistica vetrata raffigurante San Francesco ed una targa marmorea visibili nel chiostro del Convento. Un segno d’Onore per chi si è si è rimboccato le maniche e, per farsi prossimo, ha spartito con lo sconosciuto quel poco di cui disponeva, ha rischiato la casa, la propria e la vita dei suoi familiari. Senza trascurare anche… che quei contadini, per non incorrere nell’ ira funesta degli invasori, hanno agito cum grano salis. Ricordiamo, ebbene si ?, che in quel tempo le truci rappresaglie nei confronti di chi nascondeva … il nemico, erano all’ordine del giorno. Un lampo di luce che squarcia le tenebre della tremenda Guerra. Una vicenda, purtroppo, sconosciuta che vorremmo venisse riconfigurata ed ufficialmente riconosciuta a tutti i Comuni in generale ed ai cittadini in particolare che si son resi protagonisti attivi di questo straordinario spaccato di storia, magari con il conferimento di una Onorificenza al Merito Civile. Un premio virtuale per un comportamento umanitario ed encomiabile, quasi eroico che illustra ed esalta la sensibilità dei nostri progenitori. E sarebbe senz’altro un esempio, soprattutto per i giovani, un bell’esempio da ricordare nel tempo.

Data:

10 Settembre 2014