Salvini: “Governo durerà 10 anni, non 5 mesi”
“Non abbiamo niente da invidiare a tedeschi a francesi“. Da Rosarno in Calabria il segretario della Lega, Matteo Salvini parla di governo, Europa e di religione. “Rispondo a tutti, cercherò di metterci meno tempo possibile, per un governo non che duri cinque mesi– ha assicurato -, ma che duri almeno dieci anni, per fare tutto quello che c’è bisogno di fare”. “La settimana scorsa -ha ricordato Salvini- ho chiamato Di Maio, Martina, perché Renzi stava giocando a tennis, Grasso e vediamo di partire il prima possibile”. “Non faro mai parte”, comunque, sottolinea, “di quei classici governi dove ci sono dentro tutti per non fare niente, non avendo paura di andare a votare”.
EUROPA – Merkel e Macron, dice Salvini, “si occupino della Germania e della Francia. Dell’Italia si occupano gli italiani, non abbiamo bisogno di lezioni dagli altri e tantomeno da loro”.”Sull’agricoltura e sulla pesca o a Bruxelles ci danno ragione oppure difendiamo con le unghie, con i denti e con i dazi i frutti del nostro mare e della nostra terra” avverte.
PUTIN – “Spero che i russi democraticamente rieleggano uno degli uomini politici più in gamba che ci sia in questo momento in circolazione”, ha detto Salvini, facendo riferimento alle elezioni presidenziali di domenica in Russia. E “spero che tutti rispettino questo voto”.
TELEVISIONE – “Mi sono tolto la soddisfazione, tra tutti quelli che ci hanno trattato male in campagna elettorale, di dire un no” ammette Salvini, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa. “Uno che non mi aveva invitato in campagna elettorale, stranamente mi ha invitato dopo e gli ho detto: da Fabio Fazio non ci vado, invita qualcun altro non me, un po’ di coerenza”.
RELIGIONE – “Un ragazzo mi ha fatto un bel regalo, un Rosario. Sono l’ultimo dei buoni cattolici, l’ultimo che può dare lezioni di morale: sono divorziato, vado a Messa due volte all’anno, lungi da me spiegare come si sta al mondo da buoni cattolici – conclude il leader della Lega – . Però il nostro è un Paese che ha radici cristiane e guai a chi si vergogna e a chi cancella queste radici cristiane”.
Il più ricco del ’reame’
Politica e redditi, chi è il più ricco… del ’reame’? In attesa dell’insediamento del nuovo Parlamento, con la XVIII legislatura che avrà inizio il prossimo venerdì, 23 marzo, sono stati pubblicati i dati dell’anagrafe patrimoniale aggiornati al 2017.
L’archistar Renzo Piano e il patron della Tosinvest Antonio Angelucci risultano i parlamentari più ricchi, dividendosi la palma tra Senato e Camera.
Il primo (che già lo scorso anno era sul gradino più alto del podio) dichiara un reddito imponibile al fisco francese di oltre 2 milioni di euro, al netto dei redditi dichiarati in Italia che, nel 2016, ammontano a 349,474 euro. Per il secondo, l’imponibile è di 2 milioni 726mila 959 euro.
CAMERA E SENATO – Per quanto riguarda la ’gara’ tra i presidenti uscenti dei due rami del Parlamento, Pietro Grasso si conferma più ricco della collega della Camera Laura Boldrini: 321.195 euro di imponibile dichiarato nel 2017 (relativo al 2016) per lui e 137.337 euro per lei.
GOVERNO – Tra i membri del governo, Valeria Fedeli resta il ministro più ricco dell’esecutivo Gentiloni. La responsabile dell’Istruzione dichiara un reddito di 182.016 euro. A seguire, il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda (166.264 euro) e al terzo posto la ministra dei Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro (151.672).
Al quarto posto il ministro della Cultura Dario Franceschini con 145.044 euro e poi il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, 122.457 euro, che precede il premier Paolo Gentiloni (107.401 euro di imponibile). Al settimo posto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (104.435) davanti al titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio (102.890 euro). Segue il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti (101.006).
SOTTO I 100MILA – I ministri sotto i 100mila euro sono separati da un’incollatura: la titolare della Pa Marianna Madia vanta un imponibile di 99.519 euro, il ministro degli Esteri Angelino Alfano di 98.478, il ministro dello Sport Luca Lotti di 98.471 e l’ormai ex ministro dell’Agricultura Maurizio Martina (dimessosi per essere il reggente del Partito democratico) 98.441 euro.
Ancora, il ministro della Coesione Claudio De Vincenti dichiara 97.607 euro e la ministra della Difesa 96.458 euro. La sottosegretaria alla presidenza Maria Elena Boschi con i suoi 95.971 euro precede di un soffio il ministro della Giustizia Andrea Orlando (94.709). Il ministro dell’Interno Marco Minniti dichiara 92.260 e precede di poco l’esponente più ’povero’ del governo Gentiloni: la ministra della Salute Beatrice Lorenzin (91.888 euro).
I LEADER – Sul versante leader, il reddito imponibile del garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo – in base alle ultime dichiarazioni patrimoniali rese note da Senato e Camera – è pari a 420.807 euro. L’ex segretario del Pd Matteo Renzi è invece fermo a 107.100 euro.
Luigi Di Maio dichiara un imponibile di 98.471 euro mentre Alessandro Di Battista, altro big del M5S che ha deciso di non correre per un secondo mandato, ha dichiarato redditi per 113.417 euro.
Sfogliando le dichiarazioni patrimoniali pubblicate on line sul sito Parlamento.it di deputati e senatori, infine, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha un reddito di 98.421 euro.
Nella sezione del sito del Parlamento dedicata a tesorieri e dirigenti di partito non è invece possibile reperire le denunce 2017 (sempre relative alla situazione patrimoniale del 2016) di Forza Italia, né risulta presente nella parte dedicata alla Lega il segretario Matteo Salvini.
“Crolla il lavoro stabile”
Gli ultimi quattro anni, dall’inizio del 2014 alla fine del 2017, hanno visto una crescita dell’occupazione, ma solo un recupero parziale delle ore lavorate. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto sulla qualità del lavoro della Fondazione Giuseppe di Vittorio, Fdv Cgil.
“Questo – si legge nello studio – è strettamente collegato al carattere dell’occupazione: a dispetto dei proclami che hanno accompagnato il Job Act e l’introduzione del contratto a tutele crescenti, infatti, dal 2015 al 2017 il numero di assunzioni a tempo indeterminato è crollato dai 2 milioni del 2015 (anno dell’esonero contributivo per 36 mesi), ad 1 milione 176mila del 2017 (-41,5%) a fronte di un notevole incremento delle assunzioni a termine (da 3 milioni 463mila del 2015 a 4 milioni 812mila del 2017, pari a +38,9%). La variazione netta totale (attivazioni-cessazioni) nei 12 mesi (gennaio-dicembre) del numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato è passata così da +887mila del 2015 a -117mila del 2017; contestualmente, la variazione netta dei rapporti a termine, negativa nel 2015 (-216mila) è tornata positiva nel 2016 (+248mila) ed è arrivata nel 2017 a +537mila”.
Nel rapporto si rileva come il rapporto a termine non sia, “nella grandissima maggioranza dei casi, una scelta del lavoratore, ma una soluzione imposta. La nuova occupazione a termine, peraltro, è sempre più part-time. Circa la metà dell’incremento delle assunzioni a termine registrato tra il 2015 e il 2017 (+1 milione 349mila), infatti, è imputabile a rapporti a tempo parziale (+689mila): nel 2015 le assunzioni con contratti a termine part-time sono state 1 milione 248mila e nel 2017 sono salite a 1 milione 937mila (+55,2%).
RECORD OCCUPATI IN AREA DISAGIO, SUPERANO 4,5 MLN – Dal rapporto emerge inoltre il record di occupati in area di disagio: sfondano i 4,5 milioni. L’area del disagio – formata dagli occupati in età compresa tra 15 e 64 anni che svolgono un’attività di carattere temporaneo (dipendenti o collaboratori) perché non hanno trovato un’occupazione stabile (temporanei involontari) oppure sono impegnati a tempo parziale (anche autonomi) perché non hanno trovato un’occupazione a tempo pieno (part-time involontari) – continua a crescere e conta nei primi nove mesi del 2017 il numero record di 4 milioni e 571mila persone (di cui 2 milioni 784mila temporanei involontari e 1 milione 787mila part-time involontari). Rispetto ai primi nove mesi del 2013, nell’arco degli ultimi 4 anni, l’aumento dell’area è stimato nell’ordine di +465mila persone, pari a +10,2%.
Il tasso di disagio – rapporto tra l’area del disagio e la totalità degli occupati in età 15-64 anni – è in sensibile aumento dal 2013 e nel 2017, dopo una modesta flessione circoscritta al 2016, si è attestato al 20,4% (media dei primi tre trimestri dell’anno).
ORE LAVORATE – Il numero di ore lavorate, rispetto al primo trimestre 2008, risulta ancora nettamente sotto il picco pre-crisi (-5,8%) pari a 667 milioni di ore lavorate in meno, come anche il numero di unità di lavoro (-4,7%), pari a quasi 1,2 milioni di Ula in meno rispetto al primo trimestre 2008 e occupati -1,2%.
Oltre all’Italia, anche Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda presentano nel quarto trimestre 2017 un numero di ore lavorate inferiore rispetto al numero registrato nel primo trimestre del 2008. Ma anche nei Paesi dove l’occupazione ha superato i livelli pre-crisi, l’incremento delle ore lavorate è meno consistente di quello delle persone occupate.
Nel 2017 in Italia il ricorso agli ammortizzatori sociali è tornato sui livelli del 2008, così come il numero degli occupati è ormai prossimo a quello relativo allo stesso periodo: anche prendendo in esame i dati relativi alla Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro, nel quarto trimestre 2017 il numero di occupati è dello 0,34% inferiore al periodo pre-crisi. Il tasso di occupazione, che risente anche del contestuale aumento della popolazione in età lavorativa, si attesta nel quarto trimestre 2017 al 58,1%, sette decimi di punto sotto il livello raggiunto nella prima metà del 2008. Ma nonostante il recupero in termini di occupati, la quantità di lavoro – espressa in termini di ore lavorate e di unità di lavoro a tempo pieno – è nettamente inferiore al livello pre-crisi.