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SCACCO ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE? – Cosa significa il Mandato d’Arresto di Putin e la mancata cooperazione della Mongolia?

L’omissione e lo scandalo

Il 3 settembre 2024, il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin è andato in visita ufficiale in Mongolia seguito da una delegazione di ministri non indifferente (tra cui Sport, Trasporti, Energia ed Esteri). Dopo essere stato accolto con picchetto d’onore e le formalità proprie del trattamento di un capo di Stato, Putin ha incontrato il presidente mongolo Ukhnaa Khurelsukh. Una foto di loro due insieme che si stringono la mano prima di una giornata di colloqui nel Palazzo di Stato ha fatto tanto scalpore, forse più del contenuto stesso dei colloqui (in cui si è parlato di cooperazione politico-economica).

La ragione dello scandalo è che la Mongolia si è rifiutata di arrestare il presidente russo e di eseguire il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) a suo carico. Difatti, in quanto membro dello Statuto della CPI (Statuto di Roma), la Mongolia avrebbe dovuto cooperare con la Corte, quindi, procedere alla cattura di Putin e al suo trasferimento a L’Aja, dove ha sede la Corte. Al contrario, il presidente Khurelsukh ha sottolineato la vicinanza tra Mongolia e Russia nello scenario internazionale attuale, e ha affermato l’intenzione di migliorare i rapporti commerciali tra i due paesi. Nel giustificare la decisione presa riguardo il mandato d’arresto, la Mongolia ha poi sottolineato la sua dipendenza energetica dalle importazioni della Federazione Russa e la posizione geografica del paese, circondato dagli alleati di Mosca.

Il Mandato d’arresto internazionale della CPI e i suoi limiti

Il mandato d’arresto in questione è stato emesso il 17 marzo 2023 dalla Seconda Camera preliminare della Corte Penale Internazionale, composta dalla giudice giapponese Tomoko Akane, dall’italiano Rosario Salvatore Aitala e il costaricano Sergio Gerardo Ugalde Gordínez. Alla luce delle prove fattuali e delle informazioni trasmesse dall’ufficio del Procuratore generale, i tre giudici hanno esaminato i due requisiti necessari per emettere un mandato d’arresto (prescritti nell’art. 58 Statuto CPI). Innanzitutto, hanno accertato che sussistessero ragionevoli motivi per ritenere che l’individuo in questione avesse commesso un crimine internazionale rientrante nella giurisdizione della Corte. Poi, hanno considerato l’arresto una misura necessaria, da un lato, per assicurare la presenza dell’indagato in giudizio di fronte la Corte penale; e dall’altro, per prevenire l’ulteriore commissione degli stessi crimini.

Sebbene non abbia pubblicato integralmente il mandato, la Corte ha reso comunque pubblici i capi di imputazione. Entrambi rientrano nella categoria dei crimini di guerra, e sono: (i) la deportazione illegale della popolazione (e bambini) e (ii) il trasferimento illegale della popolazione (e bambini) da aree occupate (rispettivamente previsti all’art. 8 par. 2 let. a comma VII e all’art. 8 par. 2 let. b comma VIII dello Statuto). In teoria, questo mandato d’arresto avrebbe una grande rilevanza internazionale, poiché la CPI è stata costituita nel 1998 con lo specifico obiettivo di essere un’istituzione permanente con autorità giurisdizionale (con il potere di giudicare) sulle persone fisiche imputate dei “più gravi crimini di portata internazionale”.

Tuttavia, uno strumento di cooperazione internazionale penale come il mandato d’arresto internazionale trova un serio ostacolo nell’arresto di capi di Stato. Infatti, oltre a sollevare una questione giuridica di diritto internazionale, la richiesta di cattura di un capo di Stato si deve scontrare con la realtà politico-diplomatica delle relazioni internazionali del XXI secolo. Da una prospettiva di diritto internazionale, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), che si occupa principalmente di controversie tra Stati, ha in parte risolto la questione. Infatti, nel 2002, ha affermato che “l’immunità (giurisdizionale)” delle più alte cariche di uno Stato non si deve tradurre in “impunità” (Caso riguardante il Mandato d’arresto del 11 aprile 2000, (Rep. Democratica del Congo c. Belgio), 2002, para. 60-62) e ha aggiunto che queste potrebbero essere soggette a procedimenti penali dinanzi tribunali penali internazionali, menzionando tra questi la CPI, laddove essi abbiano giurisdizione. Rimane però il problema che disporre l’arresto di un capo di Stato sul proprio territorio è una scelta politica forte a cui potrebbe conseguire non solo un incidente diplomatico, ma anche il peggioramento delle relazioni bilaterali tra due paesi.

Prendendo il caso della Mongolia, una simile scelta, qualora disposta, avrebbe portato il paese a perdere l’approvvigionamento di gas russo, dunque a ridurre e a rendere più costosa la produzione di energia nel paese proprio a ridosso dell’inverno. Inoltre, circondata da paesi alleati o comunque non ostili alla Russia, la Mongolia si sarebbe ritrovata isolata nella regione. Allora, per quanto discutibile, la scelta della Mongolia risulta quantomeno ponderata sulla valutazione e sull’apprezzamento del proprio interesse nazionale al di sopra di quello condiviso con la comunità internazionale.

Le conseguenze per la Mongolia e per il mondo intero

Per quanto si sia trattata della prima visita ufficiale del Presidente Putin in un paese membro dello Statuto della CPI dopo l’emissione del mandato d’arresto, però, non si potrebbe dire che la Mongolia abbia realmente creato un precedente, quanto piuttosto che abbia confermato quanto già prevedibile.

La ragione di questa affermazione si fonda su più argomenti. In primo luogo, sulla lista di membri della CPI, le assenze di Federazione Russa, Cina e Stati Uniti hanno un gran peso. Questi tre paesi non sono infatti in alcun modo tenuti a cooperare con la CPI allo stesso modo dei suoi membri (nel modo prescritto dagli articoli 89 e 92 dello Statuto). In secondo luogo, l’attività della CPI prima del 2022 si è concentrata molto su crimini internazionali commessi durante conflitti internazionali e non internazionali avvenuti nel continente africano. Dunque, l’emissione e l’esecuzione di mandati d’arresto a carico di signori della guerra africani sembrava essere più coerente con un principio disinteressato di giustizia internazionale condiviso a livello globale. Tuttavia, tra il 2022 e il 2024 la CPI ha adottato per la prima volta mandati d’arresto nei confronti di individui non appartenenti all’establishment del cosiddetto “Sud globale”, e ne sono esempi proprio Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu, e Yoav Gallant. A ciò, è naturalmente conseguito che siano divenuti meno i leaders disponibili ad arrestare il capo di Stato di uno dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza o quello di un paese strettamente collegato.

Tralasciando la valutazione politica del gesto, però, ciò che conta da un punto di vista giuridico è che la Mongolia non ha rispettato i suoi obblighi in quanto parte dello Statuto di Roma. Tuttavia, le conseguenze di questa violazione sembrano comunque essere solo politiche, poiché non è prevista nello Statuto la possibilità di prendere provvedimenti sanzionatori concreti. L’unica alternativa possibile in questo caso sarebbe informare dell’accaduto l’Assemblea degli Stati Parti, come previsto dall’art. 87 par. 7 dello Statuto. Quest’ultima al termine di un esame approfondito della questione potrebbe adottare una decisione, comunque non vincolante, attestando la mancata cooperazione, ma nulla di più. Dunque, nell’esito più nefasto, si potrebbe prolungare la discussione sulla questione, mentre nell’esito più virtuoso, si potrebbe discutere della possibilità di introdurre misure sanzionatorie con una modifica dello Statuto. Ciò potrebbe avere un senso per il futuro, ma sicuramente non riguarderebbe la Mongolia che sarebbe comunque tutelata dal più classico principio di irretroattività.

In conclusione, il caso della Mongolia con il mandato d’arresto a carico del presidente russo non va considerato come un precedente negativo nella storia della CPI. Al contrario, sembra essere un promemoria su una tematica molto complessa del diritto internazionale, cioè l’esecuzione delle decisioni di tribunali internazionali. In questo caso, il promemoria ci ricorda che nello scenario internazionale corrente, la CPI ha una rilevanza limitata. Ed il limite dipende dalla misura in cui gli Stati parti dello Statuto di Roma non condividono i mezzi e gli obiettivi di una reale cooperazione internazionale in materia penale, e precisamente sul tema della repressione di gravi crimini internazionali.

Data:

1 Ottobre 2024

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