Tradizione o innovazione per una buona scuola? Potremmo rispondere a questo interrogativo prendendo in prestito la parola Shuhari. Secondo la cultura giapponese, Shu è il rispetto delle regole, restando fedeli alla tradizioni. Ha indica il contrario, ovvero l’innovare e il creare. Ri allude alla necessità di allontanarsi sia dalle regole (shu) che dall’innovazione (ha).
Il maestro ideale per una buona scuola potrebbe essere rappresentato dal sensei (coach). Egli è una guida e detiene tutta l’esperienza utile a condurre gli allievi verso il percorso intrapreso. Il maestro e l’allievo, insieme, creano l’insegnamento. Questo è il presunto ideale che arriva dall’oriente, dando rilievo al fatto che non si finisce mai di imparare e indicando nell’umiltà la caratteristica fondamentale dell’insegnamento. La vita che conduce un maestro manifesta le sue verità. Egli non offre soluzioni, ma è abile a fornire semplici strumenti per risolvere problemi. Non perde la pazienza e fa dei lunghi silenzi, rimanendo in ascolto e osservando.
La scuola nel mondo sta cambiando perché cambiano i tempi. Il maestro di ogni epoca e luogo detiene un ruolo importante nell’educazione delle generazioni in divenire. Un bravo maestro, anzitutto, deve avere passione per il proprio lavoro, insegnando ai ragazzi come imparare. Deve essere sensibile ed avere un rapporto perfetto tra autorevolezza e flessibilità. Né troppo permissivo, né troppo autorevole. L’autorità rassicurante degli educatori, laddove manchi, crea nel bambino dei disagi che non sempre si manifestano apertamente, e che potrebbero convogliare in vere e proprie malattie psicosomatiche. E’ risaputo che le problematiche sociali del nostro tempo influiscono in maniera negativa sulla famiglia, provocando nei bambini, in particolare, dei condizionamenti sul corpo e sulla mente. Il sintomo di una malattia organica potrebbe convogliare in un disagio psicologico: dietro un mal di pancia, è possibile che si nasconda una richiesta di aiuto.
I bambini manifestano le problematiche anche attraverso i disegni o il gioco. Quando si parla di disturbi specifici, ci soffermiamo poco sul tratto emotivo del bambino. Molti ne soffrono, il mancato riconoscimento di un DSA (disturbi specifici di apprendimento) si ripercuote in maniera importante sui risultati scolastici e, successivamente, nella vita lavorativa. La sfida educativa che va accolta e perseguita con determinazione dalla scuola, in concerto con la famiglia, deve fare in modo che i bambini acconsentano a diventare adulti maturi, capaci di gestire le dinamiche di relazione in modo ottimale ed efficace. Gli educatori hanno il dovere di saper intercettare le fragilità emotive che si possono associare ai disturbi di apprendimento e farsi promotori del benessere dei bambini, per formarli dal punto di vista scolastico, emozionale e di relazione. In questo modo, si consente alle nuove generazioni di diventare adulti maturi e consapevoli.
Ma spesso si tralascia un elemento importante della relazione tra maestro e allievo. L’aspetto comunicativo tra queste due figure dovrebbe rappresentare l’elemento predominante. Il maestro ha il compito precipuo di esortare l’allievo e invogliarlo ad apprendere come in un gioco. Deve essere abile ad accendere nel discente la voglia di avventurarsi attraverso la scoperta, con il piacere di vivere lo studio come uno scambio di saperi e di opportunità di crescita.
Gli insegnamenti dei maestri di discipline orientali ci conducono ad un fondamentale concetto alla base di ogni insegnamento. Kida, che significa rispetto, è la parola di origine ebraica con cui si salutano il maestro e l’allievo. Uno di fronte all’altro, inchinandosi, e gridando a gran voce.