Se è vero il detto “anno bagnato, anno fortunato”, allora il 2017 può dirsi davvero lontano dalle grazie della dea bendata. Tra i record che hanno animato gli ultimi 365 giorni compare infatti l’allarme siccità, che ha raggiunto il picco nel periodo compreso tra il dicembre del 2016 e quello dell’anno che sta per volgere al termine. E’ il Cnr (Centro nazionale ricerche) a denunciarlo, in una nota pubblicata qualche giorno fa: “A partire dal mese di dicembre del 2016 (primo mese dell’anno meteorologico 2017) si sono susseguiti mesi quasi sempre in perdita. Fatta eccezione per i mesi di gennaio, settembre e novembre, tutti gli altri hanno registrato un segno negativo, quasi sempre con deficit di oltre il 30% e, in ben sei mesi, di oltre il 50%. A conti fatti, gli accumuli annuali a fine 2017 sono risultati essere di oltre il 30% inferiori alla media del periodo di riferimento 1971-2000, etichettando quest’anno come il più secco dal 1800 ad oggi. Per trovare un anno simile bisogna tornare indietro al 1945: anche allora, 9 mesi su 12 scesero pesantemente sotto media (il deficit fu -29%, quindi leggermente inferiore)”.
L’allarme si è fatto sentire specialmente in estate, quando un caldo anomalo e asfissiante è calato sulle nostre città, facendoci rimpiangere i primi freddi autunnali e le tanto odiate piogge. Eppure, pare che non si sia trattato dell’anno più caldo in assoluto: il 2017 guadagna il quarto posto in classifica, dopo il 2003, il 2014 e il 2015. Tra l’altro, le temperature registrate nella bella stagione appaiono molto simili a quelle del 2001, del 2007 e del 2016, indice di una tendenza ormai ben radicata. In effetti, la situazione in cui versa oggi la Penisola è il risultato dei tanti deficit idrici che si sono sedimentati nel tempo, a cui dobbiamo l’assenza di ben 47 miliardi di metri cubi d’acqua. A testimoniarlo chiaramente sono le tristi immagini estive dei nostri fiumi a corto d’acqua, primo fra tutti il Tevere, ridotto ai minimi storici nell’agosto scorso.
In un’Italia tutta assorta nei sui problemi economico-politici, i temi legati all’ambiente non ottengono l’attenzione che meriterebbero. Quanto ci vede coinvolti l’allarme siccità? Nell’immediato futuro forse relativamente poco, ma il passare degli anni darà sempre più spazio alla voce della natura, ormai da troppi anni sofferente sotto i colpi di un’umanità scellerata ed egoista. “Servono con urgenza piani di investimento pubblici e privati per ammodernare la rete di distribuzione e per accelerare l’adozione di innovazioni sul fronte dell’agricoltura e dell’allevamento di precisione che aiutino nel risparmio idrico e nel riutilizzo della risorsa. Noi abbiamo avviato un primo piano da 700 milioni di euro. È un tema non solo agricolo, ma di sostenibilità complessiva del nostro modello produttivo” promette il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina.
Per quanto virtuose possano essere tali prospettive, non sono certo destinate a risolvere la situazione, bensì a tamponare un problema che mette in discussione l’esistenza stessa del nostro Paese. Se le difficoltà in agricoltura e allevamento, già evidenti da parecchio tempo a questa parte, possono incontrare risoluzioni pianificate, gli altri pericoli in cui incorriamo potranno rivelarsi fatali e pressoché irreversibili. Paola Mercogliano, responsabile della divisione modelli regionali e impatti al suolo del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, ha parlato di un “punto di non ritorno” per il Belpaese: “Questa siccità ormai non si recupera. – ha spiegato con rammarico ai microfoni dell’Ansa – Per i prossimi anni gli scenari climatici indicano che si registrerà, specialmente d’estate, una siccità importante e una tendenza alla diminuzione anche del 20% delle piogge”.
Siccità è sinonimo di aumentato rischio idrogeologico, vegetazione gravemente indebolita e desertificazione. Prospettive che mettono a repentaglio non solo le riserve naturali, ma anche la nostra incolumità. Il terreno risponde alla mancanza di riserve idriche con una progressiva impermeabilizzazione, che lo predispone a facili spaccature: si producono così frane e smottamenti improvvisi, specie in concomitanza con i violenti temporali che si scatenano dopo giorni di siccità assoluta. Questo fenomeno è peraltro destinato ad acuirsi, complice l’aumento della temperatura superficiale del Mar Mediterraneo: una maggiore evaporazione delle acque darà origine a perturbazioni sempre più violente, sebbene circoscritte a pochi periodi dell’anno e quasi del tutto assenti in estate.
Il nostro assetto territoriale potrebbe subire gravi mutilazioni in questo scontro aperto tra uomo e natura: stando all’ultimo rapporto Wwf, il 21% della Penisola rischierebbe la desertificazione entro la fine del secolo in corso. Le prime ad essere chiamate in causa saranno le regioni del Sud (in particolare Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia), ma anche Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Abruzzo non possono tirare un sospiro di sollievo. Già il 4,7% dell’Italia Meridionale ha assunto i connotati tipici delle aree desertiche, così come molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ciò ha compromesso buona parte della biosfera, riducendo progressivamente flora e fauna di quelli che erano territori meravigliosi e incontaminati. Sottovalutare la questione e rimandare a domani cambiamenti concreti in favore dell’ecosistema sarà come condannarci a un futuro forse più tecnologico, ma certamente meno felice perché privo della bellezza che Madre Natura ha voluto donarci.