Un recente articolo pubblicato sulla rivista Addictive Behaviors Reports ha indagato il rapporto che c’è tra l’uso dei social network e le forme di narcisismo patologico derivanti dalla sempre più intensa attività di molti utenti di condividere foto e selfie. Oggettivizzare il proprio corpo oggi è divenuta una pratica consueta quando ci si riferisce al mondo dei social; in particolare tra gli utenti più giovani ciò che i ricercatori hanno definito un nuovo modo di essere e di mostrarsi agli altri, è divenuto un passatempo (spesso per alcune categorie di social addicted un lavoro), dai risvolti spesso pericolosi. L’uso eccesivo dei mezzi di comunicazione social, hanno alimentato negli utenti più giovani una forte dipendenza dalle piattaforme di condivisione, tanto da arrivare a riconoscere soprattutto in età adolescenziale comportamenti patologici e disfunzionali. Si pensi, solo per fare un esempio, all’attività di pubblicare foto e selfie nelle stories di Instagram, un’attività continua di divulgazione del proprio Sé e della propria immagine che spinge gli stessi utenti a monitorare l’andamento dei feedback sotto forma di cuoricini e like. I programmatori delle piattaforme social come i responsabili delle aziende che sviluppano videogiochi è risaputo facciano ricorso a studiosi del comportamento per analizzare come i meccanismi del gioco del mostrarsi e della competizione influenzi il comportamento delle persone, spesso con l’obiettivo di invogliarle a pubblicare e giocare di più. Il meccanismo psicologico dietro tutto ciò è il condizionamento operante studiato da Burrhus Skinner, in cui si impara ad associare un’azione alle sue conseguenze, e si tenderà sempre più alla coazione a ripetere quelle azioni che sono state seguite da un rinforzo di tipo positivo. Rimanendo nell’ambito del postare selfie e foto di se stessi, si può dire che queste due azioni portano a soddisfare sia il bisogno di autopresentazione, sia la necessità di appartenere a qualcosa.
Ecco spiegato il grande lavoro di “montaggio” della propria immagine prima che essa venga pubblicata sul proprio profilo (effetti, sfondi, correzione dei difetti, ecc.). Saranno dunque gli utenti con una maggiore propensione al narcisismo a utilizzare con maggiore frequenza i social a causa della loro tendenza a volersi mostrare, e la ricerca di cui sopra lo conferma: i quasi 600 giovani adulti selezionati per la ricerca, rispondendo a un sondaggio online, hanno evidenziato nei loro feedback un livello elevato in quella che è l’auto-oggettivazione corporea e un’aspettativa positiva per le risposte pubblicate sotto i propri selfie, ovvero un numero elevato di like e di commenti. A preoccuparsi maggiormente del proprio aspetto (per come si appare nelle foto dopo averle ritoccate) risultano essere le donne rispetto agli uomini, confermando uno stereotipo di genere che vede il pubblico femminile attento all’apparenza. La ricerca dunque sembrerebbe confermare ciò che negli Stati Uniti è conosciuta come “Selfie Syndrome”, un disordine della personalità che si manifesterebbe nelle persone troppo preoccupate della propria immagine digitale, una patologia confermata da uno studio della California State University che afferma come un uso eccessivo dei social network può essere collegato alla depressione, alla schizofrenia, all’ipocondria, alla sindrome da deficit di attenzione, al disordine ossessivo compulsivo e al voyeurismo.
Sul banco degli imputati salirebbe l’uso eccessivo di Facebook che, sempre secondo la ricerca californiana, risulterebbe maggiore nelle persone insicure e narcisiste, persone che sarebbero più propense a cambiare il proprio status, postare continuamente foto di se stesse, e scrivere spesso di se nei post. Studi e ricerche spingono il selfie e l’autorappresentazione come una deriva narcisistica patologica della nostra società dell’immagine, ma generalizzare non è il percorso migliore per spiegare invece come i media tutti tendano invece ad assecondare la nostra personalità e la nostra identità. La tecnologia tutta, sin dai primordi, ha contribuito in maniera decisiva a democratizzare pratiche estetiche e sociali che un tempo appartenevano in via esclusiva a categorie sociali nette e precise. Il successo intergenerazionale del selfie come pratica sociale ed estetica è la conseguenza della democratizzazione delle tecnologie fotografiche, sempre più miniaturizzate all’interno dei nostri telefoni. Oggi nell’era della postfotografia tutti siamo potenziali fotografi davanti a uno specchio che è lo schermo del telefono e l’immagine riprodotta è più diretta, immediata, meno mediata, più sporca e dunque più vera.