Traduci

Social, fake e voto: Ue preoccupata

Social, fake e voto: Ue preoccupata

Facebook, Twitter e Google devono fare di più per combattere la disinformazione on line, in vista delle prossime elezioni Europee. Lo sottolineano il vicepresidente della Commissione europea, Andrus Ansip, insieme ai commissari Vera Jourova, Julian King e Mariya Gabriel: “La campagna elettorale per le Europee inizierà appieno in marzo. Esortiamo le piattaforme ad accelerare i loro sforzi, perché la situazione ci preoccupa. Incoraggiamo Facebook, Google e Twitter a fare di più negli Stati membri dell’Ue per contribuire ad assicurare l’integrità delle elezioni Europee nel maggio prossimo”.

La Commissione ha chiesto alle piattaforme di ricevere informazioni dettagliate, per monitorare i progressi fatti nell’esame della collocazione delle pubblicità on line, sulla trasparenza della propaganda politica, sulla chiusura degli account falsi e nella segnalazione dei sistemi per produrre ’bot’ automatici, software che simulano utenti umani sui social network. Per i commissari europei, “dobbiamo vedere più progressi sugli impegni presi dalle piattaforme on line per combattere la disinformazione”. Facebook, Google e Twitter hanno firmato il codice di condotta contro la disinformazione e devono riportare su base mensile su quanto stanno facendo in vista delle elezioni di fine maggio.

Secondo la Commissione, Facebook “non ha riferito circa i risultati delle attività intraprese in gennaio rispetto all’esame della collocazione dei messaggi pubblicitari”. La società di Menlo Park ha presentato alla Commissione un rapporto che “fornisce un aggiornamento su casi di interferenze da parte di Stati terzi negli Stati membri dell’Ue, ma non riferisce nulla sul numero degli account falsi rimossi a causa di attività malevole mirate in particolare all’Unione Europea”.

Facebook, si legge nel rapporto trasmesso alla Commissione che consta di 17 pagine, ha rimosso nello scorso mese di gennaio 364 pagine e account “legati a dipendenti di Sputnik, un’agenzia di stampa con sede a Mosca”. Alcune delle pagine “postavano con frequenza commenti su argomenti come sentimenti contrari alla Nato, movimenti di protesta e anticorruzione”. Gli account e le pagine rimossi erano attivi “in condotte fittizie coordinate (coordinated inauthentic behaviour, ndr) come parte di una rete che aveva origine in Russia e operava nei Paesi Baltici, Asia Centrale, Caucaso e Paesi dell’Europa Centro Orientale”. Gli amministratori delle pagine si presentavano come organi di informazione indipendente su temi come viaggi, sport, economia e politica in Romania, Lettonia, Estonia, Lituania, Armenia, Azerbaijan, Georgia, Tagikistan, Uzbekistan, Moldavia, Russia e Kirghizistan. Facebook ha rimosso anche 783 pagine, gruppi e account legati all’Iran e 207 pagine Facebook, 800 account, 546 gruppi e 208 account Instagram attivi in Indonesia, legati al gruppo indonesiano Saracen.

Per quanto riguarda Google, la società “ha presentato dati sulle azioni intraprese in gennaio per migliorare l’esame della collocazione dei messaggi pubblicitari nell’Ue, divisi per Stato”. Tuttavia, le cifre “non sono sufficientemente specifiche” e “non chiariscono la portata delle azioni intraprese” contro la disinformazione o contro la pubblicità ingannevole. E Mountain View “non ha fornito prove di attuazione concreta delle sue politiche in materia di integrità dei servizi nel mese di gennaio”.

Peggio ha fatto Twitter: il social network “non ha fornito alcuna misurazione circa i suoi impegni per migliorare l’esame della collocazione di pubblicità”. Sulla trasparenza della pubblicità politica, “contrariamente a quanto annunciato nel rapporto di gennaio”, Twitter ha “rimandato la decisione al rapporto di febbraio”. E sull’integrità dei servizi erogati, malgrado abbia aggiunto degli account all’archivio delle potenziali operazioni straniere, archivio che è “pubblicamente disponibile ed esplorabile, non ha riferito sui dati per misurare i progressi fatti”. Il rapporto inviato da Google è lungo 24 pagine, quello di Twitter appena 6 pagine.

I rapporti diffusi oggi dalla Commissione riguardano le attività intraprese in gennaio; i dati relativi alle attività intraprese a febbraio verranno pubblicati il mese prossimo.

Iran: analista, ’su Zarif un voto di fiducia, ora è più forte’

Quello sul ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, prima dimissionario e poi tornato al suo posto dopo gli appelli dell’establishment, è stato “un voto di fiducia” che l’ha “rafforzato”. E’ quanto sostiene in un’intervista ad Aki-Adnkronos International l’esperto di questioni iraniane Adnan Tabatabai, co-fondatore del Center for Applied Research in Partnership with the Orient (Carpo), think-tank basato a Bonn, in Germania.

Numerose ipotesi sono circolate sulle cause che avrebbero spinto Zarif a dimettersi, tra cui le divergenze sorte con l’ufficio del presidente Hassan Rohani per la sua esclusione dal vertice di lunedì a Teheran con il presidente siriano, Bashar al-Assad. “Credo che le rimostranze di Zarif contro il presidente Rohani fossero reali e le sue dimissioni una chiara affermazione: ’Ne ho abbastanza’ “.

Allo stesso tempo, prosegue l’analista, Zarif si attendeva un “ampio sostegno” per quello che stava facendo. “Mettere in mostra la sua insofferenza lo ha rafforzato. Per questo motivo considero ciò che è accaduto come un voto di fiducia” sul ministro, che gode di “popolarità e appoggio dell’establishment politico”, spiega Tabatabai, secondo il quale a breve termine gli “attacchi” contro Zarif da parte degli ultraconservatori “diminuiranno”.

Parlando, infine, dei motivi che hanno convinto Zarif a rimanere al suo posto, l’analista cita gli “appelli in suo favore da tutto arrivati dallo spettro politico iraniano, inclusi quello indiretto della Guida Suprema (Ali Khamenei, ndr) e di persone molto influenti come Qassem Soleimani”, il comandante iraniano della Forza Quds, il corpo di elite dei Guardiani della Rivoluzione. “Finché la sua autorità rimarrà intatta – conclude Tabatabai – Zarif continuerà il suo servizio come miglior diplomatico del Paese”.

Muro Messico, bocciata dichiarazione d’emergenza

La Camera dei Rappresentanti ha bocciato la dichiarazione di emergenza nazionale fatta dal presidente Donald Trump per ottenere i finanziamenti necessari alla costruzione del muro al confine col Messico. La risoluzione che boccia il provvedimento voluto da Trump è stata approvata con 245 voti a favore e 182 contrari.
Tredici deputati repubblicani hanno votato contro il presidente, insieme alla maggioranza democratica. Affinché la risoluzione sia approvata anche dal Senato, i democratici hanno bisogno di 4 voti dalle fila repubblicane e del voto compatto di tutti i loro 47 senatori.

Chiesta incriminazione per Netanyahu

Il procuratore generale di Israele Avichai Mandelblit ha informato il premier Benjamin Netanyahu che intende chiedere il suo rinvio a giudizio per le accuse di corruzione, frode e violazione di obblighi fiduciari a suo carico. Le accuse fanno riferimento a tre diversi casi di presunta corruzione. In un caso, Netanyahu avrebbe ricevuto dei regali da amici miliardari in cambio di favori politici. In un’altra vicenda, il premier avrebbe varato regolamenti favorevoli alla compagnia di telecomunicazioni Bezeq, in cambio di una copertura a lui favorevole da parte del sito Walla, il cui editore Shaul Elovitch è anche maggiore azionista della Bezeq.

Infine, Netanyahu è accusato di aver chiesto una copertura giornalistica a lui favorevole sul quotidiano Yedioth Ahronot, in cambio di misure economicamente dannose per un giornale rivale. Il premier ha respinto ogni accusa, definendo le indagini nei suoi confronti una “caccia alle streghe”. La richiesta di rinvio a giudizio non mancherà di avere un forte impatto sulla campagna elettorale per le elezioni del 9 aprile, dove il premier deve battersi contro il nuovo partito centrista dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz e il suo alleato Yair Lapid. Il premier aveva cercato invano di fare pressioni su Mendelblit perché la decisione sull’incriminazione fosse rimandata a dopo il voto.

Servirò come primo ministro “per molti anni a venire”, ha ribadito Netanyahu in una dichiarazione alla stampa. “Non dipende dai media o dagli analisti, ma solo da te”, ha detto il premier, facendo appello agli elettori chiamati alle urne il 9 aprile per le elezioni anticipate. “Ogni cittadino – ha spiegato – deve capire che l’intento è di abbattere la destra e portare su la sinistra con la distribuzione al pubblico di accuse ridicole. State tranquilli, supererò tutto”. Quindi Netanyahu ha accusato la sinistra di “esercitare pressioni sul Procuratore generale Avichai Mandelblit per prendere la decisione di incriminarmi” e di una “caccia alle streghe” contro di lui e la sua famiglia. “Abbiamo trascorso tre anni infernali”, ha denunciato, ribadendo che confuterà tutte le accuse contro di lui. “Questo castello di carte crollerà. Non ci sarà nulla, perché non c’è nulla”.

Argentina, 11enne violentata costretta a partorire

Si riaccende in Argentina il dibattito sull’aborto, dopo che una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo essere stata violentata dal marito della nonna, è stata costretta a partorire perché le autorità si sono rifiutate di concedergli l’interruzione di gravidanza a cui aveva diritto.

“Quella bimba non solo è stata vittima di stupro e per questo ha già tentato di uccidersi due volte, ma correva gravi rischi per la sua salute nel portare avanti quella gravidanza“, ha denunciato Soledad Deza, rappresentante dell’associazione Women for Women che ha denunciato pubblicamente l’accaduto, ricordando che la ragazzina aveva esplicitamente chiesto di poter abortire. “Toglietemi quello che mi ha messo dentro quel vecchio“, aveva infatti detto in una denuncia presentata alle autorità nella provincia settentrionale di Tucuman.

Le sue richieste di aborto, così come quelle di sua madre e di un certo numero di attiviste, sono state però ignorate e, arrivata alla 24esima settimana di gravidanza, i medici dell’ospedale Eva Peròn l’hanno sottoposta a un taglio cesareo. Il feto di cinque mesi è stato estratto vivo ma i medici dicono che non ha quasi nessuna possibilità di sopravvivere.

Lucia, nome di fantasia, ha scoperto di essere incinta il 23 gennaio nel pronto soccorso nella sua città natale, nella provincia settentrionale di Tucumán. Una settimana dopo, è stata ricoverata nell’ospedale Eva Perón perché per due volte ha tentato di togliersi la vita.

Ma Gustavo Vigliocco, responsabile sanitario di Tucumán, ha insistito affinché non venisse praticato l’aborto. “Sono vicino sia al bambino che a sua madre, il feto vuole continuare la sua gravidanza”, aveva detto in un’intervista radiofonica, spiegando che la ragazza poteva continuare la gravidanza perché pesava più di 50 chili.

Avendo ritardato l’azione legale fino alla 23esima settimana di gravidanza di Lucía, le autorità sanitarie hanno deciso martedì di effettuare un taglio cesareo. La decisione ha seguito un ordine del tribunale di prendere provvedimenti immediati, data la durata della gravidanza.

Cecilia Ousset, la dottoressa che ha eseguito la procedura a fianco del marito e collega medico, Jorge Gijena, ha dichiarato: “Abbiamo salvato la vita di una ragazza di 11 anni che è stata torturata per un mese dal sistema sanitario provinciale”. E ha accusato il governatore di Tucumán, Juan Manzur, di usare il bambino per scopi politici. “Per ragioni elettorali le autorità hanno impedito l’interruzione legale della gravidanza e hanno costretto la bambina a partorire – ha detto – Le mie gambe tremavano quando la vedevo, era come vedere mia figlia più piccola. La bambina non ha capito affatto cosa stava per succedere”.

Il governo locale di Tucuman ha giustificato le sue azioni, affermando di aver messo in atto “le procedure necessarie per salvare entrambe le vite”. Ma gli attivisti per i diritti delle donne in Argentina sono sul piede di guerra. “Lo Stato è responsabile della tortura di Lucia”, ha detto #NiUnaMenos, che significa “non uno di meno”, una delle organizzazioni femministe che guidano la campagna per legalizzare l’aborto. Mariana Carbajal, giornalista e attivista femminista che per prima ha raccontato la storia di Lucía, ha invece scritto su Twitter: “Tucumán l’ha trattata come un recipiente, come un’incubatrice”.

In Argentina, l’aborto è consentito dal 1921 in caso di stupro e in situazioni in cui la salute della donna è in pericolo. Inoltre, nel 2012 è stato stabilito un protocollo per poter praticare queste interruzioni. Tuttavia, l’anno scorso, una legge per legalizzare l’aborto fino a 14 settimane è stata adottata dalla Camera dei deputati ma non è passata al Senato, dietro forte pressione dalla chiesa.

Autore:

Data:

1 Marzo 2019