E’ un rapporto corposo, 276 pagine, quello che l’ex giudice capo dell’Alta Corte australiana, ha presentato per proporre l’esclusione dai social media degli utenti sotto i 14 anni, nonché l’obbligo per le società che gestiscono i social, di ottenere il consenso dei genitori per l’accesso dei figli a questo tipo di piattaforme, comprese quelle per i videogiochi. Tutto parte da un’iniziativa del primo ministro australiano che ha preannunciato una vera e propria stretta sui social con una decisione del governo che potrebbe, nel breve, attivare un piano nazionale di controllo dell’età degli utenti dei social media e delle piattaforme di gaming. L’idea è di imporre un’età minima (tra i 14 e 16 anni) per dare accesso alle piattaforme per gli adolescenti, nel tentativo di rispondere alle paure dei genitori e delle famiglie di fronte alla crescente diffusione di pornografia, deepfake e bullismo online. La proposta fa un diretto riferimento a uno studio da parte dell’Australian Psychological Association, secondo il quale gli adolescenti passano sui social o di fronte e a giochi virtuali in media 3,3 ore al giorno, con conseguenze importanti non solo sulla psiche ma anche sulla propria autostima.
La decisione del governo trovato terreno fertile tra tutti i partiti, una scelta bypartisan che ha visto le opposizioni aderire alla proposta spinti anche loro dalle preoccupazioni crescenti di madri e padri sotto il giogo di una dipendenza social dei loro figli che potrebbe causare danni alla loro sicurezza e alla loro salute fisica. Nonostante l’appoggio trasversale di tutta la politica nazionale, non sono mancate però le voci contrarie, come quelle di alcuni accademici, i quali hanno sottolineato come la proposta sia troppo precipitosa e non tenga conto di come le tecnologie che operano nella gestione delle piattaforme, siano in grado comunque di far aggirare agli utenti ogni tipo di controllo identitario. Sta di fatto che la proposta proveniente dal governo australiano, si va a inserire in un ampio contesto internazionale di un cammino ormai lungo di regolamentazione dei social e delle piattaforme di gaming. Gli Stati Uniti, per esempio, attraverso il Senato, hanno approvato un disegno di legge che fissa l’età minima di accesso alle piattaforme di condivisione a 13 anni; in Francia, lo stesso presidente Macron ha dato il suo parere favorevole a sostegno di misure che non permettano l’iscrizione ai minori di 15 anni; nel nostro Paese la politica si sta muovendo a più livelli, politico e culturale, per cercare di limitare e proibire (a partire dalle scuole medie) l’uso dello smartphone.
Governi di tutto il mondo, chi più chi meno, si stanno muovendo dunque in un’unica direzione, cioè verso una limitazione, se non in alcuni casi di vero e proprio divieto, dell’utilizzo dei social network. Zoomers e Alpha sono le generazioni che più di altre vengono monitorate, ovviamente a causa della loro crescita fianco a fianco con le tecnologie digitali. La discriminante con le generazioni precedenti, Millenialis e GenX, è legata a un approccio da parte di quest’ultime al rapporto con i media, vecchi e nuovi, maggiormente equilibrato, un uso di una dieta mediatica composta da un dosaggio mai eccessivo di un mezzo rispetto a un altro (con le dovute eccezioni). L’ambito culturale, l’humus che ha permesso a chi è nato nel corso degli ultimi 20/30 del Novecento, di avere una certa elasticità mentale che possa loro permettere un approccio bilanciato e transmediatico da un mezzo a un altro, oggi manca alle nuove generazioni. È come se fossero sotto una continua ipnosi tecnologica che fa apparire la razionalità imperfetta rispetto invece alla perfezione degli oggetti artificiali nelle loro mani. Reagire all’ipnosi tecno-digitale collettiva di un’intera generazione è forse ancora possibile, magari ricorrendo a ciò che le macchine non conoscono e forse mai conosceranno: il lato irrazionale dell’essere umano. L’irrazionalità, l’imprevedibilità, l’illogicità sono ancora, e probabilmente lo saranno per sempre, ambiti oscuri per le macchine ma non per noi che possiamo invece usarli come risorse per uscire fuori dagli schemi del calcolo e del controllo.