Spazzacorrotti, via libera al Senato
L’aula del Senato ha votato la fiducia posta dal governo sul ddl anticorruzione. I sì sono stati 161, 119 i voti contrari e un astenuto. Il provvedimento torna all’esame della Camera. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, parla di “passo avanti molto importante: adesso manca l’approvazione della Camera per cui la maggioranza si impegna entro Natale“. L’approvazione dello ’Spazzacorrotti’ da parte del Senato “è un messaggio importante – dice Bonafede – C’è uno Stato e un governo dalla parte dei cittadini onesti in questo Paese”.
“Lo abbiamo promesso ai cittadini italiani e andiamo avanti. Oggi lo Spazzacorrotti è stato approvato al Senato e torna alla Camera dei Deputati per la definitiva approvazione – si legge in una nota del M5S – Abbiamo corretto l’emendamento vergognoso sul peculato, che voleva alleggerire la gravità del reato. Stiamo dimostrando che quando c’è la volontà politica una legge non necessita di anni per essere approvata, soprattutto quelle che sono necessarie per la vita democratica del Paese”.
“Lo Spazzacorrotti – proseguono i 5 Stelle – è la prima vera legge anti corruzione che viene varata in Italia da dopo Tangentopoli. Una legge che introduce il daspo per i corruttori che non potranno più avere a che fare con la Pubblica Amministrazione, l’agente infiltrato, la possibilità di avere sconti di pena per chi collabora con la Giustizia e restituisce quanto rubato. Passi importanti per ridare fiducia nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione, passi importanti per ricostruire un tessuto economico sano. Gli investimenti in Italia sono difficili perché siamo avvertiti come uno dei Paesi più corrotti in Europa”. “E’ il tempo di dire basta, di invertire la rotta e di creare un’economia sana e onesta. Un’economia di vera concorrenza che produce posti di lavoro, che crea occupazione stabile. La corruzione ha devastato l’economia e la fiducia. Questa è una legge che ha una portata storica e di cui i benefici saranno subito avvertiti con la definitiva approvazione nei prossimi giorni”, conclude il Movimento.
Sul Blog delle Stelle è stata pubblicata ’La mappa della corruzione in Italia’. “Pubblici ufficiali, manager, imprenditori, politici di ogni livello: nel nostro Paese, il malaffare ha mille volti, eppure i corrotti che scontano la loro pena in carcere sono pochissimi – si legge nel post – Stando ai numeri nel 2013, la percentuale di detenuti con condanne definitive per reati contro la pubblica amministrazione era talmente esigua da risultare irrilevante ai fini statistici: un paradosso, per una nazione in cui la corruzione è all’ordine del giorno! La realtà è che per decenni la politica, invece di preoccuparsi di fare leggi giuste ed efficaci a tutela dei cittadini onesti, si è impegnata soprattutto per garantire ogni tipo di impunità per sé stessa e per gli ’amici’”.
E ancora: “Con la legge anticorruzione voluta dal Governo del Cambiamento, la svolta sarà epocale: pene più severe, daspo per corrotti e corruttori, strumenti migliori per inquirenti e investigatori, stop alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio, agenti sotto copertura nella p.a., e trasparenza nei finanziamenti ai partiti. Per i furbi e i disonesti non ci sarà più spazio”. Il post si sofferma poi sui casi più eclatanti degli ultimi anni, raccolti in una infografica che rappresenta la cartina dell’Italia.
Di Maio: “Manovra? Cambiano decimali, non la sostanza”
“E’ un passo nella giusta direzione ma voglio comunque dire che non ci siamo ancora, che resta ancora da fare, forse da una parte e dall’altra”. Lo ha detto il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, parlando della manovra italiana nel corso di un’audizione al Senato francese, all’indomani dell’annuncio del governo sulla riduzione del rapporto deficit/pil al 2,04%. Riduzione promossa dal governo giallo-verde dopo mesi di duri scontri con l’Europa con l’intento di evitare l’apertura della procedura d’infrazione europea mantenendo però invariate le misure già inserite nella legge di bilancio 2019. Riduzione che, secondo il ministro Di Maio, non inciderà sulle misure promesse: “Cambiano i decimali – dice -, ma non cambia la sostanza“.
MOSCOVICI – Uno “sforzo”, quello del governo, giudicato “ veramente consistente e apprezzabile”, da Moscovici dopo aver incontrato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. L’incontro è stato occasione per Moscovici per una precisazione: sulle parole pronunciate stamani a Parigi davanti al Senato “sono stato frainteso. Ho detto che bisogna fare degli sforzi, ma in che senso? Degli sforzi di dialogo, degli sforzi di discussione, non ho parlato di cifre”. “Non ho voluto parlare di uno sforzo di bilancio aggiuntivo – ha continuato – non parlo mai di cifre, salvo che nella discussione. Ho parlato di uno sforzo di comprensione, di chiarimento e ho detto che siamo in un lavoro che è intenso, costruttivo e positivo. E che non desideriamo arrivare alla procedura, che dobbiamo preparare ma che non è la nostra prospettiva”.
Comunque, aggiunge Moscovici, “chiarisco perché non ci siano malintesi: quando ho detto che non ci siamo ancora, questo vuol dire che non abbiamo ancora concluso la discussione. Niente di più. Rispetto lo sforzo fatto dal governo italiano, ho partecipato a questo momento ieri che è stato estremamente costruttivo”.
“Abbiamo fatto un buon progresso e salutiamo con favore le proposte. Resta del lavoro tecnico da fare, con la volontà condivisa di arrivare ad una posizione comune. Lavoriamo e continuiamo a lavorare”, conclude.
“Ho incontrato Giovanni Tria – ha aggiunto – . E’ stato un incontro estremamente costruttivo, nello stesso spirito positivo che è il nostro, sui parametri tecnici della proposta italiana. Le due parti lavorano con una volontà condivisa”, che è quella “veramente di arrivare ad una posizione comune, e farlo rapidamente”.
DI MAIO – Sulla riduzione del rapporto deficit/pil è quindi intervenuto il ministro Di Maio, che su Facebook ha parlato di giorni “molto importanti” per l’Italia. “Stiamo portando a casa – scrive il vicepremier – una manovra che punta sullo sviluppo e, allo stesso tempo, tampona l’emergenza sociale. Per fare queste cose non abbiamo aspettato che le piazze si riempissero di milioni di persone come è successo in Francia, ma abbiamo agito immediatamente. E di questo sono orgoglioso. La trattativa va avanti, cambiano i decimali, ma non cambia la sostanza”.
“Le misure fondamentali della manovra restano tutte – rivendica -, blocco dell’aumento Iva che avrebbe frenato i consumi e che da sola ci costa 12 miliardi, l’aumento delle pensioni minime e di invalidità, lo smantellamento della Riforma Fornero con quota 100, ovviamente il Reddito di Cittadinanza mantenendo invariata la platea e la somma erogata che resta 780 euro. Gli aggiustamenti di bilancio presentati ieri a Bruxelles dal nostro presidente Conte permettono però di evitare la procedura d’infrazione e di abbassare lo spread: gli effetti si vedono già da questa mattina. Ieri a cena Giuseppe era soddisfatto, sa che sta facendo quello che è giusto senza tradire gli impegni che abbiamo preso in campagna elettorale. Stateci vicino. Uniti si vince”.
TRIA – Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, rimane a Bruxelles a trattare sulla manovra economica con la Commissione europea, finché non arriverà a un’intesa. “Sì certo, finché non arriviamo all’accordo”, risponde il ministro lasciando palazzo Berlaymont, dove ha incontrato il commissario Moscovici e il vicepresidente Dombrovskis, alla domanda se avrà altri incontri. “Stiamo discutendo sulla nostra proposta, che quella è”, aggiunge. Quella è e quella rimane? “Quella che vi hanno detto, sì”, taglia corto.
CONTE – “Sono soddisfatto della proposta che ho lasciato sul tavolo della Commissione. Noi non voltiamo le spalle agli italiani: lavoriamo nell’interesse degli italiani e riteniamo che sia un’ottima proposta anche nell’interesse degli europei” ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Sulla stessa linea i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. “Continuiamo a sostenere con convinzione la nostra proposta. Piena fiducia nel lavoro di Conte – spiegano il ministro del Lavoro e il titolare del Viminale in una nota congiunta – Siamo persone di buon senso e soprattutto teniamo fede a ciò che avevamo promesso ai cittadini, mantenendo reddito di cittadinanza e quota 100 invariati”.
Toninelli: “Terzo Valico andrà avanti”
Il totale dei costi del recesso per lo stop al Terzo Valico “ammonterebbe a circa 1 miliardo e 200 milioni di euro di soldi pubblici. Di conseguenza il Terzo Valico non può che andare avanti”. Ad annunciarlo è il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli, in un post su Facebook. “Ma farlo andare avanti non significa condurlo a termine così com’è, bensì rendere l’opera efficiente rispetto agli scopi”, puntualizza. “Se vogliamo rimediare almeno in parte ai danni del passato, rendendo il Terzo Valico una infrastruttura utile dal punto di vista logistico e adatta a migliorare anche il servizio regionale sulla tratta parallela – ha sottolineato il ministro -, bisogna innanzitutto che esso sia davvero ben collegato con Genova: dunque, i binari devono arrivare fin dentro il porto“.
“Sapete – ha aggiunto – quanto Genova conti nei pensieri e negli sforzi del Governo. Allora facciamo in modo che il Terzo Valico sia veramente utile alla città”.
Il ministro Toninelli ha annunciato la decisione, riferendo l’esito dell’analisi costi-benefici che ha interessato il Terzo Valico. “Stiamo parlando – spiega- della nuova linea ferroviaria per merci e passeggeri che collegherà Genova con Milano e Torino e che fa parte del corridoio europeo Reno-Alpi. Il Terzo Valico è lungo circa 53 chilometri, prevalentemente in galleria, oltre a 14 chilometri di linee di interconnessione con la rete che già esiste. L’opera è divisa in sei lotti e i lavori dovrebbero essere completati nel 2023. Complessivamente il Terzo Valico costa 6,2 miliardi, di cui 1,5 miliardi già spesi. Quattro lotti su sei sono in corso di costruzione. Il primo lotto è vicino al 90%, gli altri dal 60% al 20%. Per il quinto lotto i lavori non sono partiti, il sesto deve invece essere ancora finanziato”.
“Come potete capire da questi numeri, si tratta di un’opera complessa e molto onerosa, interamente pagata con soldi pubblici, sulla quale il MoVimento 5 Stelle ha posto sin dal suo avvio forti dubbi. Dalla nascita, negli anni 90, tante vicissitudini hanno riguardato il progetto: dalla sua bocciatura, per ben due volte, da parte del Ministero dell’Ambiente, sino agli scandali giudiziari che hanno portato al commissariamento di Cociv. Insomma, siamo di fronte a uno dei tanti dossier avvelenati – denuncia il titolare del Mit – che ci hanno lasciato i professionisti della politica, ma che abbiamo affrontato senza pregiudizi. Ecco a cosa serve una seria, rigorosa e finalmente obiettiva analisi costi-benefici”.
“Non è un vezzo o un escamotage per prendere tempo, ma l’unico metodo attendibile – afferma Toninelli – per dare trasparenza e supportare scientificamente le decisioni pubbliche in materia di investimenti, così da utilizzare al meglio i soldi dei cittadini. Il danaro non può essere sprecato, va usato bene e il volano infrastrutture è fondamentale per far ripartire l’economia”.
Oggi, riferisce Toninelli, “l’analisi costi benefici, che insieme alla connessa analisi giuridica verrà a breve pubblicata integralmente, ci dice questo: il costo dell’opera a finire, attualizzato a 30 anni, supererebbe i benefici per una cifra di 1 miliardo e 576 milioni. Dentro questo miliardo e mezzo ci sono varie voci, per esempio i minori ricavi dei concessionari autostradali oppure 905 milioni di euro di accise sulla benzina che non verrebbero incassate dallo Stato per via del cambio modale da strada a ferrovia”.
“Poi – prosegue Toninelli – c’è il versante giuridico, e l’analisi svolta fa una previsione sui costi di abbandono dell’opera. Al miliardo e mezzo già speso, per lavori già eseguiti, che non è contemplato nell’analisi giuridica, ma che a quel punto sarebbe speso per nulla, va aggiunto almeno un decimo del valore residuo del contratto: parliamo quindi di 463 milioni da risarcire al contraente generale che sta costruendo l’infrastruttura, ossia Cociv. Abbiamo detto almeno un decimo, perché si tratta di una stima prudenziale”.
“Poi – aggiunge Toninelli – ci sono i lavori che il contraente generale affida a terzi, visto che realizza l’opera in proprio soltanto per il 40%: qui i costi, i danni e i mancati utili da pagare potrebbero attestarsi su una somma superiore a un decimo e ricadrebbero su rete ferroviaria italiana, quindi in definitiva sullo Stato. Dunque, stiamo parlando almeno di un altro mezzo miliardo. Rimanendo prudenti, siamo già di fronte a 1 miliardo di costi stimati derivanti da un eventuale recesso contrattuale unilaterale, a cui si sommano circa 200 milioni per il ripristino dei luoghi”.
Pd, la corsa è a sei
“Francesco Boccia, Dario Corallo, Roberto Giachetti, Maurizio Martina, Maria Saladino, Nicola Zingaretti: sono questi i candidati che oggi hanno consegnato le firme e che, ultimate le operazioni della Commissione per il Congresso, si contenderanno la leadership del Pd”. E’ quanto si legge in un tweet del Pd. Il primo a depositare le firme in mattinata nella sede del Nazareno è stato Francesco Boccia. Il regolamento prevede la presentazione di un numero di firme da 1500 a un massimo di 2000 raccolte in almeno cinque regioni. Il termine per la presentazione delle firme scadeva alle 18.
“Grazie, grazie, grazie! In 24 ore tutte queste ragazze, tutti questi ragazzi, Anna Ascani e io abbiamo raccolto più firme di quante mai avremmo potuto immaginare. Pronti? Si parte!”, si legge in un post Giachetti la cui candidatura insieme ad Anna Ascani era stata ufficializzata solo martedì. “2680 firme raccolte in tutte le venti regioni. E oltre 500 email che non abbiamo neanche fatto in tempo ad aprire. In meno di 24 ore. Uno scatto di passione. Un popolo che non vuole che l’Italia arretri e che il Pd torni indietro. #SempreAvanti con Roberto Giacchetti e Anna Ascani”, scrive su Twitter Luciano Nobili, deputato del Partito democratico.
Nel frattempo alla fine Lorenzo Guerini, con Luca Lotti in stretto collegamento telefonico da Washington, è riuscito a tenere buona parte dell’area dei renziani sulla candidatura di Maurizio Martina al Congresso. Il presidente del Copasir ha incontrato l’ex segretario e poi ha riunito i ‘suoi’ parlamentari per spiegare i termini dell’intesa. Intesa che, assicurano fonti renziane, non dovrebbe comprendere una lista per il Congresso: “Non c’è tempo”, si spiega. Anche se del tema non si è parlato alla riunione del pomeriggio. Alla fine dovrebbero essere circa 80 i parlamentari renziani a ritrovarsi sulla candidatura Martina. Perché una parte ha scelto di schierarsi con Giachetti/Ascani, mentre altri hanno optato per tenere le mani libere. Come Teresa Bellanova, a lungo nel totocandidati alla segreteria, e Gianni Pittella. La stessa posizione che potrebbe assumere anche Maria Elena Boschi.
“Non ho mai avuto l’ossessione del 51%, non mi interessa. Mi interessa il profilo unitario, aperto e di prospettiva del mio partito. Guardo avanti, il Pd deve rinnovare la sua sfida democratica”, ha detto Maurizio Martina a Porta a Porta. “Con Matteo Renzi abbiamo lavorato insieme, continuo a stimarlo, ma sono differente da lui. Da quanto non lo sento? Non mi sembra un tema”, ha aggiunto. Augurandosi che Renzi non faccia un suo partito: “Considero questa scelta un errore: quando si divide il campo alternativo alla destra si fa un favore alla destra”. “Io parlo delle mie proposte e del lavoro per il Pd, chiedo a tutti di dare una mano e anche rispetto per la comunità del Pd”, ha detto ancora. “O cambiamo, voltiamo pagina o non saremo più credibili per una alternativa” di governo, ha detto dal canto suo Nicola Zingaretti che poco dopo aver depositato le firme aveva detto: “Faccio un appello: venite tutti a discutere e ascoltare, anche a protestare se serve, e poi il tre marzo tutti ai gazebo perché può rinascere una speranza per l’Italia”. “Ce la metterò tutta, mi prenderò cura di questo partito -ha detto il governatore del Lazio-. Aiutatemi a cambiare il Pd, a ricostruire una alternativa credibile. Non possiamo permettere che l’Italia sia governata da questo manipolo di incapaci che mette a rischio il Paese e gli italiani”.
Renzi debutta in tv
Matteo Renzi in una nuova veste, quella di presentatore televisivo. Mentre è appena iniziato il percorso congressuale per eleggere il nuovo segretario del Pd, l’ex premier debutta sul piccolo schermo sabato prossimo, alle ore 21.25, su La Nove, con la prima puntata di “Firenze secondo me”. “Sarò contro corrente, ma continuo a credere nella bellezza e nella cultura”, spiega l’ex segretario del Pd in un post su Facebook. Il format, in quattro prime serate, è stato creato da Renzi per raccontare la bellezza di Firenze, da Palazzo Vecchio agli Uffizi. Ma non solo arte e cultura nel docu-film di Renzi: in tutte le puntate ci sarà qualche riferimento alla politica, alla sua idea di politica.
“Per me è un sogno che si realizza dopo settimane di scrittura e lavoro. Grazie a chi ha reso possibile questo progetto”, dice Renzi, che su Facebook posta anche un video “con i primi due minuti, un semplice assaggino” del suo programma.