Qual è l’impulso fisso che si scatena nel caso della codificazione del termine “violenza”? Quando si nega che la violenza è una condotta possibile nella democrazia, si scatena la possibilità di esercitarla contro quelli definiti “violenti”. Allo stesso tempo, si nasconde che si sta commettendo un atto di violenza e per questo non si possono sottoporre a revisione o a controllo i propri atti di violenza scatenati in modo riflesso. Per giunta, si nega il fondamento ultimo di qualsiasi regime politico, che è la violenza fisica; per questo non c’è la possibilità di difendere un ordine politico alternativo utilizzando la forza che lo renda possibile quando ci sono oppositori, visto che il monopolio nell’uso della stessa è rimasto nelle mani degli opponenti. Resta oscuro il fatto che la democrazia, quando si trova minacciata, ha un ultimo tentativo per garantire la sua continuità, che è l’esercizio della violenza fisica. Di conseguenza si produce un paradosso tragico, che è la rinuncia all’uso della violenza per rendere possibile la vita in comune, e si traduce in una perdita di sovranità, visto che i poteri dello Stato cessano di essere sottoposti a controllo in virtù di questa conversione delle idee in “idee”. Per quanto riguarda il binomio aggressore/vittima, si attribuisce di nuovo il monopolio della violenza ad una delle due parti, all’uomo, concentrandosi la passività nella donna. La risposta è armare un braccio vendicatore, che punisca l’aggressore e difenda la vittima: non si tratta di togliere la donna dalla sua posizione, né di fermare l’uomo; si tratta, soprattutto, di vendicarsi. Gli uomini difendono le donne degli uomini, in ogni caso le donne continuano a dipendere dagli uomini, e quanto più sono aggredite tanto più hanno bisogno degli uomini per essere difese.
Ritornando alle parole con cui ci riferiamo alle cose, “violenza” è il termine che ci conduce alla qualità di violento, o all’utilizzo della forza in qualsiasi operazione. La violenza ha che vedere con ciò che si fa e in che modo si fa, essendo violenta qualsiasi cosa che si fa o che succede con bruschezza o con straordinaria forza o con intensità. Riguardo al modo di farlo, nel dizionario si contrappone l’utilizzo della forza all’utilizzo della legge o della giustizia. La violenza ha che vedere anche con il sostenere o realizzare le cose contro la loro tendenza naturale.
Esiste un atto di forza molto significativo, che consiste nell’entrare con la forza in qualsiasi luogo, profanare un luogo sacro, o costringere una donna, soprattutto minorenne, a soddisfare il desiderio sessuale di un uomo. Siccome la forza è una componente importante della violenza, vediamo che si dice di essa. Si tratta della capacità di realizzare un lavoro o di muovere qualcosa, di fare o di ottenere qualcosa o di produrre un effetto, di sopportare un peso o di respingere una spinta. La violenza non vuole necessariamente causare del danno, anche se lo causa; l’aggressività, al contrario, vuole causare danno. Tutto sommato sembra che la violenza abbia che vedere più con i mezzi che con i fini, ed è un mezzo per spuntarla. Il termine “violenza” si trova frequentemente associato a quello di aggressività, che è un derivato di aggredire: attaccare, spingersi contro qualcuno per ferirlo, colpirlo o causargli qualche danno. Il danno è l’effetto causato in qualcosa o in qualcuno che lo fa essere o stare peggio. Se ci atteniamo al dizionario, la violenza in sé non può essere condannata né rifiutata moralmente, giacché l’uso della forza in sé non è condannabile. Saranno in ogni caso i risultati che originano il suo uso, o le condizioni in cui hanno luogo gli atti violenti, ciò che ci permetterà di formulare una critica della stessa.
Se accettiamo che negli esseri umani, il più opposto alla sua natura, pur contraddittorio quanto sembra, è il non intervenire su essa stessa, entra a far parte della nostra natura la violenzaa cui la sottoponiamo, trasformandola storicamente. La violenza di oggi su noi stessi e sugli altri, ci converte domani in qualcuno di diverso. Qualcosa di questo accade nel passaggio dai desideri di primo ordine a quelli di secondo ordine: la morale è un esercizio di violenza, visto che sperimentiamo desideri ambivalenti, vogliamo cose che non vorremmo, i desideri entrano in conflitto. Riguardo le nostre relazioni con gli altri, d’altra parte, non sempre, né in tutto, è possibile l’avvicinamento; se accettiamo l’importanza dei conflitti nella vita intra e inter-psichica, la legge ammette necessariamente la violenza legittima.
(I Parte: http://www.internationalwebpost.org/contents/SPECIE,_SESSO_E_GENERE_14003.html#.XWs4Sy4zaUk)