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STATI UNITI D’AMERICA

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Il Senato e la Camera americani hanno votato sì all’accordo sull’aumento del tetto del debito del Paese. “Abbiamo raggiunto il compromesso per alzare il tetto del debito e riaprire il governo”, aveva detto in precedenza il senatore democratico, Harry Reid, leader della maggioranza in Senato. Anche il Tea Party aveva annunciato la resa all’ostruzionismo.

Il Tea Party molla la presa – Il Senatore Ted Cruz, leader del Tea Party, non ha intenzione di andare avanti con manovre ostruzionistiche nei confronti dell’intesa. Era caduto così ultimo scoglio verso l’intesa finale.

Boehner: “Giovedì stop allo shutdown” – Alla fine anche lo speaker della Camera, John Boehner, aveva ceduto, annunciando che i deputati repubblicani non avrebbero bloccato l’intesa e che giovedì sarà posto fine allo shutdown. “Abbiamo combattuto una buona battaglia, ma non abbiamo vinto”, ha ammesso sottolineando però come la lotta contro l’Obamacare continuerà. “Bloccare ora questo accordo bipartisan – ha aggiunto Boehner – non sarebbe una buona strategia”.

Il default spostato di quattro mesi – La riapertura dello Stato Federale sino al 15 gennaio e l’innalzamento del debito sino al 7 febbraio. Oltre a modifiche fiscali marginali alla riforma sanitaria, la Obamacare. E’ quanto prevede, in sintesi, l’accordo bipartisan raggiunto al Senato.

Repubblicani spaccati -Tra i favorevoli nessuna defezione tra i 198 democratici presenti in Aula alla Camera. Spaccato invece il gruppo repubblicano che alla House ha la maggioranza, con 87 favorevoli e 144 contrari

Obama plaude all’intesa – Il presidente Usa Barack Obama plaude l’intesa raggiunta al Senato e incoraggia la Camera a andare avanti su quella strada. Il presidente crede che l’accordo bipartisan possa servire a riaprire il governo e ad eliminare la minaccia del default per le famiglie e le imprese americane e per il mondo intero.

Anche Wall Street festeggia – Sulla scia dell’accordo bipartisan al Senato, Wall Street ha chiuso in forte rialzo. Il Dow Jones ha guadagnato l’1,35% a 15,373,38 punti, il Nasdaq è salito dell’1,20%, a 3.839,43 punti, mentre lo S&P 500 ha registrato un +1,38% a 1.721,47 punti.

Dopo la marcia indietro della Camera per ben due volte e la sospensione delle trattative, il leader dei repubblicani in Senato Mitch McConnell e il leader dei democratici in Senato Harry Reid sono tornati a sedersi al tavolo. ’’Stanno lavorando ai dettagli, stanno facendo buoni progressi’’ afferma il senatore democratico Dick Durbin.

La riapertura delle trattative che appare come una sconfitta per lo speaker della Camera, John Boehner, il cui piano dopo un confronto fiume è stato respinto dai repubblicani stessi, che hanno deciso di non portarlo in aula nonostante gli annunci. Una bocciatura che spacca il partito repubblicano. Il tempo stringe. Un accordo deve essere approvato entro oggi, quando è in programma un incontro fra il presidente americano Barack Obama e il segretario al Tesoro Jack Lew. Incontro che segue la messa in guardia di Fitch: il rating degli Stati Uniti potrebbe essere tagliato. Fitch per ora lo mette sotto osservazione con implicazioni negative dopo che il Congresso non ha aumentato il tetto del debito in modo tempestivo. ’’La decisione di Fitch mostra l’urgenza con cui il Congresso deve agire per rimuovere la minaccia del debito’’ afferma il Tesoro.

È una vittoria, “ma non ci sono vincitori”. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha commentato così la chiusura del periodo di shutdown, resa possibile “grazie ai democratici e ai repubblicani responsabili“.

Il default è stato evitato, ma questo non significa che qualcuno ne sia uscito rafforzato.

Anzi, l’economia ha subito “danni assolutamente non necessari. E la crescita è rallentata“. Effetti che non minano “la buona fede e la reputazione degli Stati Uniti”, che sono comunque “fuori discussione”.

Ma ripercussioni si sono sentite anche su un altro livello. “Gli americani – ha detto Obamasono stufi di Washington“. Per questo la politica deve “mettersi al lavoro per riguadagnare la loro fiducia“.

Washington deve arrivare a una legge di bilancio e il presidente chiede una norma “responsabile” e “un approccio equilibrato” in Congresso. Ci sono poi i nodi della riforma dell’immigrazione e della riforma agricola.

Obama ha chiesto a chi si è opposto all’accordo sul debito di “lavorare insieme” invece che trattare il governo “come fosse un nemico”. Non vi piace una particolare politica? – ha aggiunto – Allora vincete le elezioni”.

Barack Obama ha visto il premier Enrico Letta. In un incontro a Washington, ha sottolineato che l’Italia sta andando nella giusta direzione con le riforme. Alla Pbs il presidente del Consiglio non aveva negato i problemi in casa, sottolineando però come positiva l’ultima legge di stabilità appena approvata.

Obama si è detto “molto impressionato dall’integrità e leadership di Letta”. Il premier ha ricordato gli effetti internazionali dell’accordo americano, che ha definito “anche il nostro successo”. Ricordando che “la prossima legislatura europea deve essere basata sulla crescita”, il presidente del Consiglio ha promesso: “Lavoreremo sodo”.

Obama ha poi sottolineato l’importanza strategica delle basi americane in Italia, dove sono impiegati oltre 30mila unità delle Forze armate, ringraziando Roma per il sostegno in Libia e in Siria.

In conferenza stampa, Letta si è detto “soddisfatto per la disponibilità americana a partecipare all’Expo 2015“. Incassando l’apprezzamento di Obama per la strada riformista, ha detto che i due Paesi sono “pronti a lavorare insieme” e sottolineato “l’ottima accoglienza” ricevuta.

Il premier ha concluso ricordando l’importanza dell’appoggio statunitense, ora che è al via il semestre di legislatura in Unione Europea.

Al nostro Paese, in affanno per fare tornare i conti, arrivano parole di incoraggiamento dall’alleato americano, che fino a poche ore fa non poteva certo dirsi tranquillo, dopo avere scongiurato in extremis il rischio di default. I leader dei due Paesi hanno avuto un colloquio alla Casa Bianca. “Mi congratulo con il premier Enrico Letta per il voto si fiducia e per la legge di stabilità“, ha sottolineato Obama, aggiungendo che la manovra si muove nella “direzione giusta”: “Le riforme economiche portate avanti dall’Italia sono di grande aiuto per portare il Paese fuori dalla recessione“. Ma i convenevoli non finiscono qui: “Sono impressionato dalla leadership dimostrata dal premier Letta e dalla sua integrità”. E sull’impegno militare italiano a fianco degli Usa, Obama ha detto che le truppe italiane sono state “straordinarie” per contribuire a rendere l’Afghanistan più sicuro. Il presidente americano ha poi aggiunto: “Gli italiani hanno aiutato l’America a essere quello che è in ogni aspetto della sua vita. La vicinanza tra Italia e Stati Uniti non dipende solo dall’amicizia fra due leader ma dalla storia e dalla vicinanza fra i due Paesi”.

Da parte sua, Enrico Letta incassa l’apprezzamento di Obama per la recente manovra. “Abbiamo bisogno di stabilità perché abbiamo un debito elevato e ieri abbiamo avuto tasso di interesse più basso dal 2011 – ha affermato il premier- . Siamo sulla strada giusta e per proseguire su questa strada ci serve una alleanza di crescita”. E ha parlato di nuove misure, in realtà già annunciate più volte, in campo economico: “Nel prossimo bimestre presenteremo un piano di privatizzazioni a investitori internazionali con obiettivo di riduzione del debito pubblico, che nel 2014 fermerà la sua crescita e comincerà la discesa”. Ed è tornato sulla questione immigrazione. “L’Italia partecipa con 50 milioni di dollari in aiuti ai rifugiati – ha spiegato il presidente del Consiglio -. La situazione drammatica a Lampedusa ha bisogno dell’intervento delle Nazioni Unite. Per questo abbiamo partecipato con questa cospicua donazione ai progetti dell’Onu”. E ancora: “Per quanto riguarda il Mediterraneo ho presentato al presidente Obama il problema dei migranti e l’iniziativa ‘Mare Nostrum‘. Non vogliamo che il Mediterraneo sia mare di morte, ma mare di vita”. Il presidente del Consiglio ha accolto poi come “una grandissima e buona notizia” la partecipazione degli Usa a Expo 2015, specificando che non si tratta di una partecipazione pubblica ma “di privati che però sono guidati da un percorso che il Dipartimento di Stato ha iniziato oggi”.

Il premier ha poi commentato l’intesa che ha scongiurato il default negli Usa: “L’accordo raggiunto negli Stati Uniti sul tetto del debito è positivo per l’Italia”. E sul tema, ha aggiunto: “Il mio sogno sarebbe di poter firmare accordo anti-default con Obama prima della fine del prossimo anno e prima della fine della presidenza italiana in Europa”. Letta vorrebbe estendere la collaborazione con gli Usa anche ad altri ambiti: “La lotta al protezionismo è molto importante e ci auguriamo di collaborare con gli Usa in tal senso”. Infine, il presidente del Consiglio ha parlato del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea: “Quello con gli Usa sarà un futuro di amicizia e la prossima legislatura europea dev’essere legislatura di crescita, noi italiani lavoreremo a fondo per questo. Soprattutto sul fronte del lavoro per i giovani. Questa è la missione della presidenza italiana in Europa”. Il premier, che ha invitato Obama a Bruxelles, si è però detto preoccupato che il prossimo parlamento di Strasburgo “sia il più antieuropeo della storia europea”. I colloqui Italia-Usa proseguiranno anche martedì, quando il segretario di Stato John Kerry arriverà a Roma. In quell’occasione si parlerà anche di Medio Oriente, ha fatto sapere Letta nella conferenza stampa successiva al vertice con Obama. “Sembra che non siamo lontani da svolta positiva”, ha spiegato il premier, aggiungendo che il governo è pronto a destinare 50 milioni di euro per gli aiuti umanitari in Siria.

WASHINGTON – Soddisfazione per l’accordo che permette di evitare il default e di riprendere le attività federali ferme da 16 giorni. Ma anche, e soprattutto, un richiamo al Congresso affinché riconquisti “la fiducia” dei cittadini dopo questo durissimo scontro che ha rappresentato la più grave crisi politica del suo secondo mandato. Nella breve dichiarazione rilasciata dopo l’approvazione dell’intesa da parte del Senato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha utilizzato toni fermi e incisivi.

Obama ha invitato il mondo politico a smettere di governare “attraverso le crisi” e ha auspicato che la prossima volta la soluzione non venga trovata “all’ultimo minuto”. Al contempo ha assicurato che subito dopo il voto della Camera dei rappresentanti avrebbe firmato il provvedimento, cosa che ha fatto nella notte.

“Possiamo cominciare – a sollevare questa nube di incertezza e disagio che grava sulla nostra economia e sul popolo americano”, ha affermato Obama. Il capo della Casa Bianca ha poi accennato agli impegni più urgenti che attendono l’amministrazione e il Congresso, citando le leggi sull’immigrazione, quelle sull’agricoltura e un bilancio che venga incontro alle esigenze della classe media. “C’è molto lavoro davanti a noi, a cominciare dalla necessità di riconquistare la fiducia degli americani perduta nelle ultime settimane”, ha detto lanciando una stoccata ai repubblicani.

Il compromesso raggiunto dal leader dei senatori democratici Harry Reid e da quello repubblicano Mitch McConnell ha avuto come primo effetto un netto rialzo degli indici di Wall Street. Quindi è stato approvato prima al Senato con 81 sì e 18 no e poi alla Camera dei rappresentanti con 285 voti favorevoli (fra i quali quelli di 87 repubblicani) e 144 contrari. Poco più tardi la firma di Obama.

È stato così scongiurato il rischio di default che sarebbe scattato alle 23.59 di oggi, ora statunitense. E la Casa Bianca ha potuto annunciare l’immediata ripresa delle attività federali sospese e la possibilità di tornare al lavoro per tutti coloro che erano stati messi in congedo. Il direttore dell’ufficio budget della Casa Bianca, Sylvia Mathews Burwell, ha emanato una direttiva appena pochi minuti dopo la firma da parte di Obama della legge che ha posto fine allo shutdown e che ha elevato il tetto del debito statunitense. Chiaro il messaggio: tornate al lavoro regolarmente, si riaprano gli uffici “in maniera rapida e ordinata”.

In base al testo, il Tesoro potrà continuare a indebitarsi fino al 7 febbraio e le attività federali potranno proseguire fino al 15 gennaio. Inoltre più di due milioni di dipendenti dell’amministrazione centrale – sia quelli rimasti in questi giorni al lavoro sia quelli che erano stati sospesi dal servizio – riceveranno regolarmente lo stipendio. Nel testo non si fa cenno all’abolizione o al ridimensionamento della riforma della sanità voluta da Obama, obiettivo principale della battaglia condotta in queste settimane dai repubblicani. L’accordo accoglie sostanzialmente le condizioni dettate dal presidente e lascia con l’amaro in bocca l’ala più intransigente del Gop, in particolare il Tea Party. Come ha riconosciuto lo speaker della Camera dei rappresentanti, John Boehner: “Abbiamo combattuto la battaglia giusta. Semplicemente, non abbiamo vinto”.

Secondo un sondaggio di Wall Street Journal-Nbc, solo il 42% degli americani e’ favorevole al suo lavoro, in calo rispetto al 47% dell’inizio di ottobre e al 53% di fine 2012. Il sondaggio evidenzia come l’ottimismo degli americani per il sistema governativo americano e’ ai minimi degli ultimi 40 anni.

Il presidente afro-americano si è attirato critiche sia da parlamentari del Partito Repubblicano sia da quello Democratico per colpa per esempio della mancata crescita economica e l’eccessiva spesa pubblica.

Gli Stati Uniti sono un paese sviluppato e ha la più grande economia nazionale del mondo, con una stima nel 2012 del PIL di 15.600 miliardi dollari – il 19% del PIL mondiale a parità di potere d’acquisto, a partire dal 2011. Il PIL pro capite degli Stati Uniti è stato il sesto più alto del mondo dal 2010, anche se la disparità di reddito dell’America è stata anche classificata la più alta all’interno dell’OCSE e i paesi dalla World Bank. L’economia è alimentata da una abbondanza di risorse naturali, numerose infrastrutture ed elevata produttività. Il paese rappresenta il 39% della spesa militare mondiale, essendo la prima potenza economica e militare, una forza politica e culturale di primo piano nel mondo e leader nel settore della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica.

Il ruolo di leadership assunto dagli Stati Uniti e dei suoi alleati, la Guerra del Golfo sotto la guida del Presidente George H.W. Bush, e la guerra in Jugoslavia sotto la guida del Presidente Bill Clinton– contribuì a preservare la propria posizione di superpotenza. La più lunga espansione economica nella storia moderna degli Stati Uniti coprì il periodo tra marzo 1991 e marzo 2001, prevalentemente sotto l’amministrazione Clinton.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 che colpirono il World Trade Center di New York e il Pentagono uccisero quasi tremila persone. In risposta, il Presidente George W. Bush lanciò la guerra contro il terrorismo. Alla fine del 2001 le forze americane invasero l’Afghanistan, rovesciando il governo dei talebani che però continuarono le operazioni di guerriglia. Nel 2002 l’amministrazione Bush iniziò a premere per il cambiamento del regime in Iraq. Sebbene senza il sostegno della NATO o di un esplicito mandato delle Nazioni Unite si arrivò all’invasione dell’Iraq nel 2003 che portò alla cattura del presidente Saddam Hussein. La guerra in Iraq vide l’opposizione dalla maggior parte degli americani. Nel 2005 l’Uragano Katrina ha causato gravi distruzioni lungo la Costa del Golfo e devastato New Orleans. Il 4 novembre 2008 il senatore democratico Barack Obama è stato eletto presidente (il suo mandato è iniziato il 20 gennaio 2009), primo presidente afro-americano nella storia degli USA, battendo il senatore repubblicano John McCain. Inoltre, il 9 ottobre 2009, Obama è stato insignito del Premio Nobel per la pace. Con l’approvazione della riforma sanitaria Obama ha mostrato anche la sostanza del proprio mandato.

Gli Stati Uniti hanno un sistema economico capitalista di tipo misto, con un grande contributo delle imprese private nelle decisioni microeconomiche, regolate però dalle scelte del governo. Caratterizzata da alta produttività, alimentata da abbondanti risorse naturali, e da una sviluppata rete di infrastrutture, secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia degli Stati Uniti genera un PIL annuo di 16.245 miliardi di dollari, che costituisce il 22% del prodotto interno lordo mondiale ai prezzi di mercato, e quasi il 20% del prodotto mondiale lordo a parità di potere d’acquisto (PPA). È la più grande economia statuale del pianeta in termini di PIL, con circa lo stesso PIL combinato di tutti i paesi dell’Unione europea a PPA generato nel 2012. Il PIL pro capite è il decimo in termini nominali e il sesto in termini di parità di potere d’acquisto. Gli Stati Uniti sono il più grande importatore di merci e il terzo maggiore esportatore, anche se le esportazioni pro capite sono relativamente basse. Canada, Cina, Messico, Giappone e Germania sono i principali partner commerciali. Le principali merci di esportazione sono macchinari elettrici, mentre i veicoli costituiscono la principale voce delle importazioni.

Il settore privato costituisce la maggior parte dell’economia, mentre le attività governative partecipano al 12,4% del PIL. L’economia è prevalentemente postindustriale, con il settore dei servizi che contribuisce al 67,8% del PIL. Il principale settore in termini di giro d’affari è quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio; in termini di reddito netto è quello della finanza e assicurazioni. A causa del voluto mancato controllo sulle banche e una speculazione di borsa trentennale gli Stati uniti hanno avuto un collasso economico a partire dal 2009 e con loro anche gran parte delle nazioni del pianeta. Il debito estero a settembre 2012 ammonta a 16.000 miliardi di dollari, il più alto del mondo. Gli Stati Uniti restano una potenza industriale, dietro alla Cina, con produzioni nell’industria chimica e manifatturiera leader nei rispettivi settori.

Risorse naturali

Petrolio

Gli Stati Uniti sono il terzo più grande produttore di petrolio del mondo, così come il più grande importatore di questa materia prima.

Acqua e altri minerali[

È leader nella produzione di energia elettrica e nucleare, nell’estrazione di gas naturale, zolfo, fosfati e sale.

Agricoltura

Sebbene l’agricoltura rappresenti poco meno dell’1% del PIL, gli Stati Uniti sono i migliori produttori mondiali di mais e soia.

Industria

Nel 2005 la forza lavoro retribuita era pari a 155 milioni di persone, di cui l’80% a tempo pieno. Secondo stime del 2009, la maggioranza della forza lavoro, ossia il 77% del totale, era impiegata nel settore dei servizi.

Grazie alla ricchezza di risorse minerarie, gli USA sono un Paese autosufficiente per quanto riguarda la maggior parte delle materie prime. I principali centri dell’industria meccanica sono Chicago e Detroit. In California, oltre all’industria cinematografica di Hollywood, si trova un’alta concentrazione di aziende specializzate nel comparto delle nuove tecnologie e dell’informatica.

Servizi

Gli Stati Uniti d’America sono, insieme al Sud Africa e la Cina, le sole nazioni industrializzate a non avere una copertura sanitaria universale. Questo è causa di un forte dibattito in America sulla possibilità di ampliare a tutti le cure sanitarie.

Il 25 marzo 2010 il presidente Barack Obama firma la legge della riforma sanitaria. Tra i cambiamenti che si dovrebbero verificare con la riforma vi sono: l’aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario (32 milioni in più), la diminuzione della spesa governativa per la sanità (pari al 4% del pil nel 2007, il doppio della media delle nazioni facenti parte dell’OCSE). Inoltre si stima come la metà delle bancarotte individuali siano cagionate da spese mediche improvvise e non coperte da tutela assicurativa: tale fenomeno dovrebbe pertanto subire un decremento.

Con circa 15,5 milioni di persone, il settore dell’assistenza sanitaria e assistenza sociale rappresentava il principale settore di occupazione. Circa il 12% dei lavoratori è sindacalizzato, contro il 30% dell’Europa occidentale. La Banca Mondiale classifica gli Stati Uniti nel primo posto per facilità nell’assunzione dei lavoratori. Tra il 1973 e il 2003, le ore lavorative medie per un lavoratore americano è cresciuto di 199 ore. Come risultato, gli Stati Uniti mantengono la più alta produttività del lavoro del mondo, sebbene non in termini di produttività per ora lavorata come fino ai primi anni novanta: i lavoratori di Norvegia, Francia, Belgio e Lussemburgo si trovano meglio piazzati in questo indicatore. Rispetto all’Europa, negli Stati Uniti le tasse su proprietà e reddito delle società sono in genere più elevate, mentre il lavoro sconta in genere aliquote fiscali più basse.

Il tasso di disoccupazione negli USA dovrebbe restare stabile nel 2012 ed essere intorno all’8,4% a fine anno.

Reddito e sviluppo umano

Secondo lo United States Census Bureau, il reddito medio lordo delle famiglie americane nel 2007 è stato di 50.233 $, con medie che variano dai 68.080 $ nel Maryland ai 36.338 $ del Mississippi. A parità di potere d’acquisto la media è simile ai quella delle maggiori nazioni sviluppate. I tassi di povertà, dopo essere scesi bruscamente durante la metà del XX secolo, si sono stabilizzati dai primi anni settanta, ma sono decisamente aumentati dalla fine degli anni novanta. Ora la povertà affligge oltre il 30% della popolazione. Lo stato sociale è ormai tra i più austeri nel mondo sviluppato, ma mentre esso tutela e riduce la fascia debole tra la popolazione anziana, in proporzione poco è fatto per la fascia più giovane. Uno studio 2007 dell’UNICEF sul benessere dei bambini tra le 21 nazioni più industrializzate, pone gli Stati Uniti tra gli ultimi posti.

Nonostante i forti aumenti di produttività, la bassa disoccupazione e la bassa inflazione, gli incrementi di reddito a partire dagli anni ottanta hanno avuto una crescita lenta rispetto ai precedenti decenni, oltre ad essere stato meno ampiamente condivisi, e accompagnati da una maggiore insicurezza economica.

Tra il 1947 e il 1979 il reddito medio è aumentato di oltre l’80% nell’insieme di tutte le classi di reddito, con i redditi più bassi cresciuti ad un ritmo più elevato rispetto a quelli elevati. Il reddito familiare medio è aumentato dal 1980 in gran parte a causa di un doppio reddito all’interno delle famiglie, la riduzione del divario tra i sessi e per il maggior numero di ore lavorate, ma la crescita è stata più lenta e maggiormente concentrata nei redditi più elevati. Di conseguenza, i redditi di gran lunga più elevati, che corrispondono all’1% dei redditi, hanno generato il 21,8% del reddito totale prodotto nel paese nel 2005, cifra che è più che raddoppiata dal 1980, rendendo gli Stati Uniti uno dei paesi con la maggiore disparità di reddito tra nazioni sviluppate. La ricchezza, come reddito, è estremamente concentrata: il 10% della popolazione, la fascia più ricca, possiede il 69,8% della ricchezza del paese, la seconda quota più elevata tra le nazioni sviluppate. L’1% posto al vertice possiede il 33,4% del patrimonio netto.

Secondo le statistiche del 2012, il 24% degli statunitensi è ricco (ha cioè un reddito superiore ai 200.000 dollari annui), il 61% appartiene al ceto medio (ha un reddito che oscilla tra i 199.999 e i 28.000 dollari) e il 15% è povero (cioè guadagna in un anno meno di 28.000 dollari). La povertà colpisce soprattutto una parte degli afroamericani e gli immigrati arrivati da poco (ispanici, albanesi, slavi arrivati dopo il crollo del Muro di Berlino e Arabi.

Inquinamento

L’inquinamento negli Stati Uniti è sottoposto a controllo da parte di Uffici Federali come l’Environmental Protection Agency, o EPA.

Inquinamento atmosferico

Il governo degli Stati Uniti nel 2012 intende regolare le emissioni di CO2 dalle centrali elettriche. Il nuovo piano si chiama Greenhouse Gas New Standard Performance. L’Environmental Protection Agency, o EPA, ha segnalato come inquinanti, più di 450 aziende statunitensi.

Inquinamento delle acque

Il mercurio emesso da fabbriche e centrali elettriche, si deposita nei laghi e nei fiumi degli Stati Uniti, provocando un inquinamento idrico che rende i pesci non commestibili.

Inquinamento del suolo

L’inquinamento del suolo causato principalmente dai rifiuti solidi urbani, secondo il World Watch Institute di Washington, nell’ambito del suo programma Vital signs, «segni vitali», segnala che gli Stati uniti producono, 621000 tonnellate al giorno di rifiuti solidi urbani, non totalmente riciclabili, che causano un inquinamento delle acque, che si ripercuote sui suoli agricoli e portando nella catena alimentare metalli pesanti, non biodegradabili, che si accumulano nel corpo umano, causando tumori, come il cadmio, lo stronzio, il nichel, il cromo.

Politica

Ordinamento dello stato

Il sistema politico degli Stati Uniti d’America comprende il sistema federale che unisce gli stati, e il sistema di ciascuno stato.

Nonostante la possibilità teorica di ampia indipendenza, gli stati tendono ad assomigliarsi nei sistemi di governo, e generalmente sono basati sul sistema federale con un capo dello stato (il presidente degli Stati Uniti, o il governatore di ciascun Stato), un’assemblea legislativa (di solito bicamerale, con un Senato e una Camera dei Rappresentanti – “House” o “House of Representatives”) e un sistema di giudici e tribunali, federali e statali, ciascuno con una propria giurisdizione.

Il rapporto fra il governo federale e gli stati è regolato dalla costituzione americana, interpretata dalla Corte Suprema.

Il governo federale, per Costituzione, ha il solo potere di regolare il commercio fra gli stati, di proteggere i diritti dei cittadini, e di difendere il paese. Di fatto e con l’avallo della Corte Suprema, col tempo ha acquisito grandi poteri, che esercita attraverso organismi federali i quali, ad esempio, regolamentano la circolazione delle droghe o la cattura dei criminali, ma anche l’educazione e i diritti dei disabili.

Ogni stato elegge al congresso due senatori e un numero di rappresentanti proporzionale alla popolazione (almeno uno), un sistema che offre un maggiore peso agli stati più piccoli.

Il sistema politico statunitense è bipolare e assegna il potere a chi ha ricevuto più voti tra i due partiti maggiori, il Partito Democratico (di centro-sinistra e di tendenze progressiste) e il Partito Repubblicano (di centro-destra e di tendenze conservatrici).

L’elezione del presidente avviene ogni quattro anni, il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre. L’elezione del Presidente avviene in modo indiretto. I cittadini eleggono i grandi elettori che a loro volta si riuniscono ed eleggono il Presidente. Ogni stato possiede un numero di grandi elettori pari al numero di deputati e di senatori che lo stato esprime.

Con rare eccezioni in ciascuno stato i grandi elettori vengono assegnati alla lista che prende il maggior numero di voti (the winner takes all). Il meccanismo elettorale spinge i candidati a concentrare i propri sforzi per ottenere i voti di pochi decisivi stati nei quali il risultato è incerto, trascurando invece gli stati nei quali con ragionevole certezza il risultato finale è scontato. La scelta del candidato alla presidenza avviene attraverso elezioni primarie che avvengono nel corso di diverse settimane, secondo un calendario che rispecchia la tradizione e vede nell’Iowa e nel New Hampshire i primi stati interessati da questo tipo di voto.

Nel senato una maggioranza di tre quinti è necessaria per porre fine al dibattito. Questo permette a una sostanziale minoranza di bloccare leggi particolarmente sfavorevoli, con un processo chiamato “filibuster”. Inoltre, se il presidente si rifiuta di firmare una legge (ponendo il suo diritto di “veto”), maggioranze di due terzi sia nella Camera sia nel Senato possono approvare una legge senza la firma del presidente, superandone il suo “veto”. Talvolta, le leggi passate dal Senato e dalla Camera sono diverse. In tal caso, un comitato formato da senatori e rappresentanti (“conference committee”) si riunisce per cercare un compromesso accettabile ad entrambe le camere: compromesso che spesso esprime più le preferenze del comitato che delle due camere. Ciononostante le leggi, molto spesso, vengono approvate comunque. In tali battaglie politiche spesso il conflitto non è a viso aperto: infatti, spesso il presidente firma una legge approvata dai due terzi di ciascuna delle due camere (“a veto-proof majority”) pur dichiarandosi contrario.

Per quanto riguarda la costituzione, questa può essere emendata, mediante due procedure:

con la prima, il Congresso, con l’approvazione di due terzi di ciascuna delle Camere, propone agli Stati l’emendamento in questione;

con la seconda (che non è stata mai applicata) il Congresso, dietro richiesta delle assemblee legislative di due terzi degli Stati, convoca una Convenzione nazionale per discutere e presentare l’emendamento.

A questo punto, in entrambi i casi, è necessario che tre quarti degli Stati approvino l’emendamento. Questa approvazione può essere opera dell’assemblea legislativa dello Stato, o di un’apposita convenzione. Tranne in un caso, l’approvazione degli emendamenti è sempre stata opera delle assemblee legislative degli stati.

Vari emendamenti si sono succeduti nella storia statunitense. Sono famose le modifiche dopo la guerra civile intese a proibire la schiavitù. Clamoroso il XVIII emendamento che proibisce il consumo dell’alcool, successivamente abrogato dal XXI, emendamento che è stato l’unico ad essere approvato mediante convenzioni statali, e l’unico ad abrogare un precedente emendamento (il XVIII, appunto).

Politica estera

Gli Stati Uniti esercitano a livello globale una grande influenza economica, politica e militare. Sono membro permanente delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e la città di New York ospita la sede dell’ONU. Quasi tutti i paesi hanno ambasciate a Washington e numerosi consolati sono presenti in tutto il paese. Allo stesso modo quasi tutte le nazioni ospitano missioni diplomatiche americane. Tuttavia Cuba, Iran, Corea del Nord, Bhutan, Sudan e Taiwan non hanno formali relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti.

Gli uomini del governo degli USA percepiscono le minacce poste dai governanti di alcuni di questi stati come una giustificazione per le proprie iniziative militari e di politica estera, come nel caso dei programmi per il missile anti-balistico, iniziative fondate sul timore che questi stati non sarebbero (in ipotesi infausta di aggressione) dissuasi dalla cosiddetta distruzione mutua assicurata. Di conseguenza, si giustifica, nei confronti di questi stati, misure di difesa preventiva, regolamentata dalla Strategia di Difesa Nazionale (National Defense Strategy).

Gli Stati Uniti godono di un rapporto speciale con il Regno Unito e mantengono forti legami con Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Israele, e tutti i membri della NATO. Lavorano inoltre a stretto contatto con i vicini continentali tramite l’Organizzazione degli Stati Americani e accordi di libero scambio come il NAFTA con Canada e Messico. Nel 2005 gli Stati Uniti hanno speso 27 miliardi di $ in aiuti pubblici allo sviluppo, il maggior paese contributore del mondo. Tuttavia, relativamente al reddito interno lordo, gli Stati Uniti contribuiscono con il 0,22%, classificandosi al ventesimo posto tra i ventidue principali stati donatori. Enti non governativi, come fondazioni private, imprese e istituzioni religiose donano 96 miliardi di dollari. Il totale complessivo sale così a 123 miliardi di $, il settimo in percentuale del reddito interno lordo.

Difesa

Con la caduta dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni novanta del XX secolo, gli Stati Uniti sono rimasti l’unica superpotenza militare al mondo. Nonostante gli innumerevoli tagli di fondi destinati al settore Difesa, le forze armate degli Stati Uniti rimangono, ad oggi, il più potente ed avanzato sistema militare del pianeta. Nel corso degli anni (in particolar modo dopo la fine della seconda guerra mondiale), grazie alla ricerca di una sempre maggiore efficienza e superiorità tecnologica (piuttosto che numerica) nei confronti dei potenziali nemici, le forze armate statunitensi hanno raggiunto una capacità operativa estremamente elevata. I corpi militari sono così suddivisi:

United States Navy: unica Marina Militare al mondo dotata di ben 11 “superportaerei” (più decine di sottomarini nucleari e varie tipologie di navi da battaglia) in grado di “proiettare” il potenziale militare americano in qualsiasi parte del globo in poche ore (o giorni);

United States Army: l’Esercito, composto da più di un milione di soldati altamente addestrati e dotati di materiali di prim’ordine;

United States Air Force: l’Aviazione Militare, dotata di migliaia di aerei ed elicotteri, unica al mondo ad essere dotata di aeromobili con tecnologia Stealth;

United States Marine Corps: Corpo Militare elitario, gestito come una piccola forza armata a sé stante, con navi dedicate, fanteria sbarcabile ed una propria forza aerea d’appoggio. Il Corpo dei Marines dispone di una “Forza di Intervento Rapido” in grado di raggiungere in poche ore qualsiasi punto del globo terrestre;

United States Reserve: Riserva Militare, corpo composto da cittadini civili che, in caso di necessità possono essere richiamati in servizio.

United States National Guard: Guardia Nazionale, una branca dell’esercito, principalmente indicata per agire in situazioni di crisi interna al paese.

Il presidente detiene il titolo di comandante in capo della forze armate e nomina i suoi leader, il Segretario della Difesa e i comandi congiunti del personale. Il Dipartimento della Difesa gestisce le forze armate, compresa Esercito, Marina, Corpo dei Marines, e l’Air Force. La Guardia Costiera è gestito dal Dipartimento di Sicurezza della Patria in tempo di pace e dal Dipartimento della Marina in tempo di guerra. Nel 2005 i militari erano 1,38 milioni di personale in servizio attivo,[90] insieme a diverse centinaia di migliaia di riserva, oltre alla Guardia Nazionale, per un totale di 2,3 milioni di soldati. Il Dipartimento della Difesa impiega inoltre circa 700.000 civili. Il servizio militare è volontario, anche se la coscrizione può verificarsi in tempo di guerra. Le forze americane possono essere impiegate rapidamente grazie alla grande flotta di aerei da trasporto e aerei cisterna di rifornimento dell’Air Force, e alle undici portaerei attive nelle flotte dislocate nell’oceano Atlantico e Pacifico. Al di fuori degli Stati Uniti, i militari americani sono schierati su 770 basi e strutture presenti in ogni continente, tranne l’Antartide. La spesa totale in campo militare nel 2006 ammontava a più di 528 miliardi di $, cioè quasi il 46% della spesa militare globale. La spesa pro capite è di 1.756 $, circa dieci volte la media mondiale. Nel 2010 la spesa militare statunitense è stata pari al 4,60% del PIL.

Forze di polizia

Negli Stati Uniti vi sono forze di polizia in ambito federale, statale, di contea e di città.

Le agenzie federali, con competenza in tutto il territorio nazionale, sono il Federal Bureau of Investigation, il Federal Bureau of Narcotics, gli US Marshals, la Drug Enforcement Administration e l’US Secret Service. Ogni Stato ha poi una State police, mentre nelle contee la giurisdizione è dello Sheriff. Nelle città vi sono i dipartimenti di polizia, i più conosciuti sono: Los Angeles Police Department, Chicago Police Department, New York City Police Department e Miami-Dade Police Department.

Le due guerre mondiali

Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, gli Stati Uniti rimasero neutrali. La maggior parte degli americani simpatizzava per i britannici e i francesi, anche se molti erano contrari all’intervento. Nel 1917 gli Stati Uniti si unirono agli alleati, contro gli Imperi Centrali. Dopo la guerra il Senato non ratificò il trattato di Versailles, che istituiva la Lega delle Nazioni. Il paese perseguì una politica unilaterale di quasi isolazionismo. Negli anni venti un emendamento costituzionale concesse il suffragio alle donne. La prosperità dei ruggenti anni venti si concluse con il crollo di Wall Street del 1929 che diede inizio alla Grande depressione. Dopo la sua elezione a presidente nel 1932, Franklin Delano Roosevelt diede inizio al New Deal, una serie crescente di politiche di intervento del governo nell’economia. Il Dust Bowl a metà degli anni trenta impoverì molte comunità agricole e stimolò una nuova ondata migratoria verso occidente.

Gli Stati Uniti, effettivamente neutrali durante la seconda guerra mondiale dopo l’invasione nazista della Polonia nel settembre 1939, iniziarono la fornitura di materiali agli Alleati nel marzo 1941 tramite il programma Lend-Lease. Il 7 dicembre 1941 gli Stati Uniti entrarono in guerra con gli Alleati contro le potenze dell’Asse in seguito ad un attacco a sorpresa su Pearl Harbor da parte del Giappone. La seconda guerra mondiale ebbe un costo economico superiore a qualsiasi altra guerra nella storia americana, ma favorì l’economia, fornendo capitali e garantendo l’occupazione.

Tra i grandi paesi combattenti, la federazione è stata l’unica a diventare più ricca (di gran lunga) in conseguenza alla guerra. Le conferenze di Bretton Woods e Jalta delinearono un nuovo sistema nelle organizzazioni internazionali, ponendo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica al centro del mondo. Con la vittoria in Europa, nel 1945 venne tenuta una conferenza internazionale a San Francisco che portò alla Carta delle Nazioni Unite, divenuta attiva dopo la guerra.

Gli Stati Uniti, dopo aver sviluppato le prime armi nucleari, sganciarono la bomba atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Il Giappone si arrese il 2 settembre, ponendo fine alla guerra.

Guerra fredda e dei diritti civili

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si spartirono il potere dopo la seconda guerra mondiale, durante la Guerra Fredda, e dominarono gli affari militari dell’Europa attraverso la NATO e il Patto di Varsavia. Gli Stati Uniti promossero la democrazia liberale e il capitalismo, mentre l’Unione Sovietica promosse il comunismo e un’economia pianificata a livello centrale. Le truppe americane combatterono le forze comuniste nella Guerra di Corea del 19501953, e si sperimentò la crisi missilistica di Cuba.

Al lancio sovietico del primo equipaggio umano nello spazio nel 1961 risposero gli Stati Uniti con il primo uomo sulla Luna nel 1969. Il paese conobbe una forte espansione economica. Un crescente movimento dei diritti civili, guidata da afro-americani, come Martin Luther King, combatterono la segregazione e la discriminazione razziale. Dopo l’assassinio di Kennedy nel 1963 vennero approvati il Civil Rights Act de

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Data:

1 Giugno 2014