Dopo il colpo di stato dello scorso 25 ottobre, la situazione politica del Sudan sembrava aver trovato un relativo equilibrio. Ma negli ultimi giorni è nuovamente precipitata: domenica 2 gennaio il primo ministro Abdalla Hamdok ha dato le dimissioni, ammettendo di non essere riuscito a gestire il trasferimento dei poteri dai militari ai civili. Ricordiamo che all’epoca del golpe Hamdok finì in manette, per poi tornare a vestire i panni del primo ministro a novembre, dopo l’accordo con il generale Abdel Fattah al Burhan, che aveva guidato il colpo di stato.
La drastica decisione di Hamdok avrà pesanti ripercussioni non solo sulla scena politica del paese ma anche sulla vita della popolazione, di 44 milioni di abitanti, già fortemente provata dai drammatici avvenimenti che si susseguono da troppo tempo. Il potere, a questo punto, va direttamente ai militari, facendo precipitare il Sudan nell’anarchia e in un clima di pesante violenza. “Il Sudan è a un bivio pericoloso, che minaccia la sua stessa sopravvivenza. Ho fatto del mio meglio per garantire sicurezza, pace, giustizia e per evitare che la situazione politica del paese diventasse un disastro, ma questo non è accaduto” aveva dichiarato Hamdok in un’intervista televisiva. Gli accordi prevedevano che Hamdok dovesse restare a capo di una squadra di governo composta da tecnici civili e militari sino alle prossime elezioni, in programma per luglio 2023.
Le prime manifestazioni contro il governo militare si sono consumate già nella giornata di domenica, quando migliaia di cittadini si sono riversati in piazza e in strada sia nella capitale Khartoum che a Omdurman. Le rimostranze sono state messe a tacere dalle forze di polizia con lacrimogeni e persino con atti violenti, tanto che si sono registrate ufficialmente 3 vittime. Un’associazione di medici, tuttavia, ha parlato di un bilancio ben più pesante, dichiarando che i manifestanti assassinati sarebbero stati almeno 57.