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Sul set de “La Grande Cena”. Intrighi e retroscena dell’opera prima

Abiti sontuosi, posate d’argento e paramenti di lusso. Alla Casa Bianca è andata in scena “La Grande Cena”, l’ultimo evento di Stato per il presidente Barack Obama e signora. Toni ambrati, riverberati dai candelabri in cristallo ed esaltati dal menu tutto italiano dello chef Mario Batali. Agnolotti di patata dolce, insalata di zucca al pecorino, braciole con cremolata di rafano e friarielli. In bottiglia Vermentino e Sangiovese.

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Colonna sonora: un mix di jazz e Dixieland, accostato alle note rielaborate in versione classicheggiante di Funiculi funiculà e all’aria del Nessun Dorma.Sul set d’eccezione si è mossa disinvolta l’era “Renzi”, con personaggi noti e meno noti, ma tutti magistralmente impegnati nell’opera prima “Rottamiamo la Costituzione”.

cms_4743/foto_3.jpgTra gli attori, scritturato Roberto Benigni. Colui che in scena per tanti spettacoli aveva portato proprio Lei: la Costituzione più bella del mondo. Che strano gioco del destino. Dopo così tanto impegno riversato nel tesserne le lodi, proprio l’ex comico si è trovato ad interpretare il ruolo di chi invece vuol cambiarla. E non poco! 47 articoli in un colpo solo.Già. “La Grande Cena” parlava proprio di questo, svelando le trame dei segreti accordi tra Matteo Renzi, premier italiano e Barack Obama, presidente uscente degli Stati Uniti d’America, in una storia d’amicizia, fatta di abbracci, passeggiate in giardino tra signore, brindisi e brillanti conversazioni, moderate ad arte dal magnifico John Kerry che – lo si capisce per chi ha seguito da vicino la preparazione della sceneggiatura negli ultimi anni – non sempre con la linea presidenziale è andato d’accordo.

Unica proiezione, della quale non resterà che qualche foto di scena e fiumi di cronache. Recensioni più negative che positive.

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Nessun Premier italiano prima di Matteo era riuscito ad arrivare a tanto, incassando, non solo l’endorsement più potente del mondo alla sua campagna, ma parlando davanti a quattrocento invitati che lo hanno applaudito calorosamente. Tutta la Washington che conta. Dal capo del Pentagono Ash Carter, alla consigliera per la sicurezza nazionale Susan Rice, dalla presidente dell’opposizione democratica alla Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi, al vicepresidente Joe Biden.Tra gli italiani, oltre a Benigni e sua moglie, Nicoletta Braschi, c’erano Paolo Sorrentino, Bebe Vio, Giusi Nicolini, Raffaele Cantone, Giorgio Armani, il consigliere di Renzi Giuliano Da Empoli, amico dello spin doctor Jim Messina, il commissario di Bagnoli Salvo Nastasi e il neocommissario per il digitale Diego Piacentini. Invitati da Obama erano presenti anche il presidente della Fiat Chrysler Automobiles John Elkann con la moglie, l’attore italo-americano John Turturro.“Una volta ero io quello giovane, ora è lui, stimo il suo ottimismo, la sua energia e la sua visione”, ha detto Barack Obama al momento del brindisi, ricordando gli esordi di un Matteo adolescente alla Ruota della Fortuna.

Poi ancora: “Il governo di Matteo Renzi sta portando avanti riforme coraggiose, noi sosteniamo il referendum per un sistema politico più responsabile” .

Renzi non è stato da meno quando a Michelle ha detto: “il tuo ultimo discorso in sostegno di Hillary Clinton è stato migliore dei tuoi pomodori”.Un film a tratti comico dunque, ma pur sempre amaro.Sì perché quei segreti accordi non sono in realtà che una joint venture tra gli States e quella cara vecchia colonia che è il Bel Paese.

cms_4743/foto_5.jpgFu saggiata qualche mese fa nella dichiarazione servita dall’ambasciatore John Phillips che tanto adirò Bersani, Di Maio e le opposizioni tutte.

“Il NO al referendum sulla riforma costituzionale sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia” aveva detto.Ingerenza negli affari interni di un altro Stato. Non v’è dubbio. Rude, diretta quali i modi ereditati da un retaggio novecentesco ormai démodé.Vuoi mettere con due presidenti dall’aria simpatica e dai modi disinvolti che stridono con l’etichetta, ma soprattutto con l’austerità?È una battaglia all’ultimo voto quella del referendum. D’accordo, è probabile – anzi sicuro – che vinca il NO, ma cosa non si farebbe per una manciata di voti…? E considerando che in giro c’è ancora qualche indeciso, il gioco val bene la candela.

Ancor più se si considera “La Grande Cena” come l’affermazione dell’area morbida su quella dura della Merkel. Una presa di posizione che reca in sé il presupposto della discordia. Non sarebbe la prima volta…

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Germania e paesi alleati contro il Sud dell’Europa che guarda al Medioriente, sostenuto dagli Usa.

Divario che va sempre più conclamandosi all’interno del fronte liberista ora che il welfare pubblico è stato sbandellato e il sistema del lavoro stravolto. Le intese tra America e Germania oggi non trovano più la loro ragion d’esistere. Se la prima, al pari di altri paesi europei, ha capito che le politiche di austerity non potrebbero che far crescere ulteriormente la destra populista e la stagnazione, la seconda premia la rigidità in nome dei “supremi” interessi che muovono la sua politica.

Fu proprio Stéphane Hessel, diplomatico e scrittore tedesco, a dire che “la crisi delle democrazie risulta aggravata dalla crisi economica, e la somma di queste crisi alimenta gli estremismi spesso malcelati dietro la parola populismo.”Renzi, guardando alle insidie che potrebbero venirgli dal vicinato ha dunque preferito rivolgersi al padre forte che, carta geografica alla mano, due conti se li è fatti. Perché, al di là della dietrologia, ciò che fa muovere il mondo è sempre l’interesse.

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Via libera allora all’utilizzo, non tanto dell’esercito, ma del territorio italiano ai fini della ridefinizione degli assetti in Medioriente, sempre che negli accordi before dinner non rientrasse l’appoggio incondizionato nel caso di una guerra fredda contro la Russia. Purché resti “fredda”. Chissà…Purtroppo a chiarirci le idee sarà solo il tempo.

Ciò che ha lasciato sgomenti è il giro di complimenti che i due si sono rivolti per l’andamento dei rispettivi Paesi.

Guardando ai fatti, nessuno dei due va bene. Complice sempre lei: la sperequazione fagocitata dal modello neoliberista.Giusto due giorni fa sono stati divulgati i dati allarmanti sul numero dei licenziamenti in Italia e sul crollo dei contratti a tempo indeterminato. Su di essi – stando alle evidenze – ha pesato il Jobs act, voluto fortemente da Matteo Renzi, in un quadro già difficile di stipendi e investimenti dimezzati.Allora, l’errore di fondo – che si tratti di Merkel o di Obama – sta nel concetto del neoliberismo, preferito alle politiche Keynesiane, nelle quali va cercata la chiave di volta per uscire dalla stagnazione. Si guardi al modello svedese.

Ma, c’è da chiedersi se dalla crisi si voglia uscire davvero. Non esiste cambiamento che non passi per la distruzione.

Data:

20 Ottobre 2016