Tim Bergling, conosciuto anche come Avicii, è stato un dj e produttore discografico. Nato e cresciuto a Stoccolma, Avicii ha iniziato a fare musica all’età di 18 anni.
Nel 2014 la dipendenza dall’alcool, accompagnata da feste sfrenate e da tanto stress, portano Avicii sul tavolo operatorio. Avendo subito l’asportazione della cistifellea e dell’appendice dopo una pancreatite acuta, Tim decide di ritirarsi dai live e dai tour, ma continua a produrre musica.
Pochi giorni fa, viene annunciata la sua morte nella città di Mascate, in Oman, all’età di 28 anni. La famiglia di Tim all’inizio si chiude nel suo silenzio, ma poi, sollecitata dalle richieste dai fan, pubblica una lettera aperta (rintracciabile sul sito di AFP):
“Il nostro amato Tim era un cercatore, un’anima artistica fragile alla ricerca di risposte a domande esistenziali.
Un perfezionista che ha raggiunto troppo, che ha viaggiato e lavorato duramente a un ritmo che lo ha portato a uno stress estremo.
Quando aveva smesso con i tour, voleva trovare un equilibrio nella vita per essere felice e poter fare ciò che amava di più – la musica.
Si era trovato a confrontarsi con pensieri sul Significato, Vita, Felicità.
Non poteva più andare avanti.
Voleva trovare la pace.
Tim non era fatto per quella macchina di business in cui si è trovato coinvolto; era un ragazzo sensibile che amava i suoi fan ma evitava le luci della ribalta.
Tim, sarai per sempre amato e ci mancherai.
La persona che eri e la tua musica manterranno viva la tua memoria.
Ti vogliamo bene,
La tua famiglia”
Una lettera, questa, che ci induce a una riflessione. Come può un giovane che viaggia e svolge il lavoro che più gli piace, ammirato da tutto il mondo, con un patrimonio netto di 85 milioni di dollari, sentire che non vale più la pena continuare la sua esistenza? Quello che lo coinvolge è un fenomeno terribile e preoccupante, pronto a ricordarci che “i soldi non fanno la felicità” e a sottolineare la gravità dei problemi mentali che si insinuano nelle pieghe di una vita “normale”.
L’amato dj, infatti, non è l’unico ad essersi suicidato nel campo dell’arte, in particolare della musica. Kurt Cobain, Amy Winehouse e Robin Williams sono solo alcuni degli esempi più famosi. In una ricerca condotta da Help Musicians UK, in cui hanno partecipato oltre 2.000 musicisti, è stato scoperto che circa il 70% di loro ha sperimentato i sintomi della depressione.
In un’ottica generale, secondo MHA (Mental Health America), circa 54 di milioni di americani soffrono di malattie mentali. I sintomi includono sbalzi di umore, disturbi di personalità, cambiamenti di abitudini personali e/o ritiro sociale. I problemi mentali sono spesso collegati allo stress eccessivo, anche se non è ancora chiaro il ruolo dei fattori genetici e dell’ambiente. Come cancro e diabete, dicono i ricercatori, le malattie mentali non presuppongono solo una crisi del cervello, ma anche del corpo.
La dipendenza è una questione molto dibattuta. Negli ultimi anni, l’abuso di sostanze ed altri desideri compulsivi che sviluppano comportamenti problematici sono stati definiti come malattie primarie. Questo significa che la dipendenza è l’origine di altri disturbi e non è creata o generata da problemi psichiatrici. La definizione incontra l’opposizione del professore di psicologia dello sviluppo Mark Lewis: “Vedere la dipendenza come una malattia implica il fatto che la persona sia priva del senso della propria potenza e responsabilità. Se hai una malattia, sei un paziente. Se sei un paziente, devi ascoltare le istruzioni dal medico e fare ciò che ti dice. Quindi, le persone si mettono in fila per i centri di riabilitazione e spesso devono aspettare a lungo – intanto perdono la motivazione di bloccare davvero l’abuso” riferisce il professore al The Guardian.
Dalla trappola delle dipendenze non è riuscito a sfuggire neanche Ben Affleck. L’attore e regista aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook: “Ho completato il trattamento per la dipendenza da alcool: è un problema che ho avuto in passato e con cui continuerò a confrontarmi. Voglio vivere la vita al massimo ed essere il miglior padre che possa essere. Vorrei che i miei figli sappiano che non c’è bisogno di provare vergogna nel chiedere aiuto quando ci si serve e neanche nell’essere quello che aiuta qualcuno che vuole aiuto, ma gli fa paura fare il primo passo. Io sono molto fortunato ad avere amore nella mia vita, grazie alla mia famiglia ed i miei amici, e soprattutto grazie a mia moglie Jen, che mi ha sostenuto sempre e si è presa cura dei nostri figli. Questo è stato il primo di molti passi verso una ripresa positiva” (https://www.facebook.com/benaffleck/posts/1425085557565867).
Com’è evidente, malattia o no, ammettere che c’è un problema, che stiamo soffrendo, è il primo passo per riuscire a superarlo.