Traduci

TASSA PIATTA (Flat Tax) ALL’ITALIANA

La  Tassa Piatta (in inglese Flat Tax) è per definizione una tassa che colpisca tutti i redditi di tutti in modo “piatto”, vale a dire con la stessa aliquota.  Hai un reddito di 5.000 euro con aliquota piatta 10%? Allora paghi 500 euro. Hai un reddito di 5.000.000 di euro? Paghi sempre il 10% e te ne restano 4.500.000.

La tassa ad aliquota unica, non progressiva (secondo la Costituzione Italiana le imposte seguono criteri di progressività, quindi ogni ipotesi di “tassa piatta vera” rischia di essere considerata incostituzionale), è una imposta attuata da secoli, “storica”.  Così come plurisecolare è il dibattito fra i fautori e contrarii; che si tratti della “decima” della Tanakh ebraica, o di altre versioni proposte da altre ideologie di gestione della società anche con aspetto  religioso, è un tipo di prelievo fiscale antichissimo,  le cui implicazioni contro l’equità e la giustizia sociale (in generale, ovviamente esistono sempre i casi particolari) sono notissime.

Così come è notissima l’affermazione che una aliquota uguale per tutti libererebbe risorse, poiché i meno tassati (semplificando: i ricchi) potrebbero spendere di più e questo creerebbe di per sé benessere.

Una delle (tante) obiezioni è che, nei periodi storici e nei luoghi in cui le tasse pagate sono scese a livelli bassi o nulli la ricchezza della società, nonché la giustizia sociale, sono anch’essi scesi allo stesso livello.

Un’altra obiezione è che i ricchi non lo sono per qualche legge naturale o soprannaturale, ma perché le norme che la collettività applica a sé stessa lo rendono possibile; la collettività può liberamente modificare le norme per renderlo impossibile. Si obietta che ciò non sarebbe giusto, ma qui si entra in pieno nella distinzione tra “giustizia” secondo la legge (è giusto ciò che è conforme alla legge), “giusto” secondo il comune buon senso che in realtà non è affatto comune e cambia nel tempo e nei luoghi, e “giusto” secondo l’etica, e di etiche possibili ce ne sono molte.

Purtroppo però, nella storia, data la complessità della reale attuazione dei provvedimenti nel mondo reale, è necessario ogni volta ridefinire sia l’oggetto della discussione che le proposte di “tassa piatta” delle varie parti. Va sottolineato che il termine è usato in lingua inglese, dove assume una connotazione più innovativa e apparentemente migliore. E’ un “trucco comunicativo” che in Italia è usatissimo dai media e da moltissimi politici, perché funziona.

Date le conseguenze negative che nella storia hanno avuto, e hanno, idee apparentemente buone applicate nel contesto sbagliato (come la curva di Laffer, una ipotesi che può essere valida in generale, ma forse lo è per i redditi da lavoro “di fatica” ma certamente non per i redditi da  sfruttamento del lavoro; questa ipotesi è stata applicata negli USA per decenni proprio per ridurre le imposte sugli alti redditi), ogni discussione e analisi sul ritorno di  questa “tassa piatta”,  adeguata a oggi,  è  necessaria e benvenuta.

Ogni provvedimento fiscale di ampio respiro, in Italia, deve  tenere conto di alcuni vincoli:

– il terrificante livello del debito pubblico italiano, circa 3.000  miliardi di euro;

– l’essere l’Italia inserita nell’area Euro, il che le consente ben poca libertà di deficit di bilancio:

– la semplice constatazione che ridurre il prelievo fiscale riducendo al contempo i servizi pubblici (per mantenere il pareggio) comporta per i cittadini consumatori che usano codesti servizi una spesa (a fine mese, poiché sono tanto più usati quanto più il reddito è basso, rispetto al reddito medio) addirittura superiore, sia perché i servizi pubblici offrono economie di scala, sia perché ai prezzi non viene aggiunto il profitto delle aziende private;

–  l’unicità del caso italiano  nella storia dell’economia, poiché è un Paese dove sussistono contemporaneamente un  terrificante livello di disoccupazione, una bassissima crescita da decenni, e contemporaneamente un flusso di stranieri  imponente che ha ben superato  il 10% della popolazione autoctona (qui si intende per straniero la definizione usata dal popolo, che corrisponde a “non di origini italiane”, non quella usata dall’ISTAT che definisce straniero chi non ha la cittadinanza italiana) residente, considerando la popolazione straniera che ha acquisito la cittadinanza italiana negli ultimi decenni. Fenomeno che è all’origine dell’apparente calo della popolazione non autoctona in altri Stati euro-occidentali rafforzato dalla volontà di diversi Partiti di  supportare anche economicamente ulteriori flussi migratorii;

– l’unicità dell’Italia nell’Europa occidentale per la presenza storica di una  delinquenza organizzata pervasiva (anche l’evasione fiscale di sistema ne è una parte) mai sradicata, e che non si vuole sradicare sia per i costi pubblici che una reazione adeguata del Governo italiano che sia efficace comporterebbe sia per la collusione mafiosa, provata da tante sentenze dei tribunali, di parte della classe politica italiana;

– la posizione geografica unica della penisola italiana, posta come il ponte di passaggio sul confine tra Europa e Africa.

Ogni confronto con altre economie, nelle scelte politiche italiane,  deve tener conto di questi vincoli italiani. Che sono ben conosciuti, inaggirabili, e continuamente trascurati.

Nell’approccio ideologico neoliberista, imperante in Europa da qualche decennio,  è la “mano invisibile” a cui dobbiamo la ricchezza e il benessere di cui oggi gode l’Homo Sapiens sul pianeta Terra, le analisi e le teorie non sono confrontate con la realtà in un processo infinito in cui il galileiano “provare e rifiutare” rifiuta ogni autorità.

Nella scienza non vi è alcuna affermazione ritenuta valida “per autorità” (l’autorevolezza è altra cosa: ovviamente prima di contestare una affermazione di Fermi o Landau lo studioso approfondirà quanto necessario) né è necessario elencare ricche bibliografie, emerografie, webgrafie, per provare i propri ragionamenti: sono solo necessarie per disporre di fatti. Citeremo qui il libro di Joseph E. Stiglitz “La grande frattura” anche  per provare che oggi la conoscenza è disponibile a quasi chiunque, a basso prezzo; questo significa anche  la conoscenza dell’esperienza, e ignorare l’esperienza significa ripetere gli stessi errori che poi hanno prodotto quell’esperienza.

Secondo Stiglitz: “Uno dei motivi della scarsa performance economica è la forte distorsione provocata nell’economia dal nostro regime tributario.”  Ora, il regime tributario USA è andato ben oltre la  “tassa piatta”: la pressione fiscale è bassissima, in cambio di servizi pubblici bassissimi, e questo comporta inefficienze  gigantesche: il costo pro-capite della sanità negli USA è circa triplo che in Europa, e negli USA vivono decine di milioni di persone che non possono permettersi le cure più elementari: una situazione disperata che l’Italia ha superato più di mezzo secolo fa grazie al Servizio Sanitario Nazionale.

Stiglitz (per chi voglia, può consultarlo alla pagina 208 dell’edizione Einaudi del 2016) è  glacialmente chiaro: “Gli studi degli ultimi anni hanno stabilito un collegamento tra il sistema delle aliquote fiscali, la debolezza della crescita e l’aumento della diseguaglianza.” E’ da chiedersi in che mondo abbiano voluto vivere  tanti studiosi di economia USA, per esserci arrivati “negli ultimi anni”  ma andiamo oltre.

Continua Stiglitz: “La riduzione delle aliquote in cima alla piramide doveva promuovere il risparmio e il duro lavoro, dunque la crescita economica. Ebbene, non l’ha fatto. Al contrario, il tasso di risparmio delle famiglie è sceso a un livello record vicino allo zero dopo il doppio giro di sgravi fiscali concessi nel 2001 e nel 20013 dal presidente George W. Bush”.  La proposta politica della “tassa piatta”  in Italia viene un quarto di secolo  dopo; forse sarebbe il caso di imparare dagli errori altrui. Sembra quasi che molti politici italiani amino ripetere gli errori della generazione passata.

Stiglitz insiste:” I paesi che, contrariamente agli avvertimenti di coloro che vogliono conservare i propri privilegi, hanno aumentato le tasse a chi sta in cima alla piramide non sono cresciuti più lentamente. ….Se gli sforzi fossero impegnati nella ricerca della rendita, all’aumentare del loro reddito quello degli altri deve diminuire. Ed è esattamente quello che sta accadendo. I redditi della classe media, e di quella povera, sono rimasti fermi o sono scesi.” Per chi si fosse distratto: Stitgliz sta parlando degli USA, non dell’Italia.  Stitgliz batte sulla “frattura” (intesa come quella che si crea nel ghiaccio che si divide in due) tra il 99% della popolazione sfruttata e l’1% che si arricchisce sempre più (si riferisce agli USA).

Evidentemente Stiglitz è molto citato, ma pochissimo letto (chi vorrebbe sciropparsi 435 pagine fittissime di economia? Uno studente che lavora per la tesi, un pazzo, un monaco? Un vero studioso?) perché è chiarissimo: ” Al contrario di quel che alcuni di quelli come Romney amerebbero credere (e far credere), nessuno ce la fa da solo. Anche se il loro patrimonio non è frutto di eredità (che è indiscutibilmente un regalo dei genitori, salvo che nelle piccolissime aziende familiari dove anche i figli contribuiscono), per avere successo negli affari bisogna che esistano uno stato di diritto (con determinate leggi), una forza lavoro istruita (e con determinate caratteristiche comportamentali ed economiche), infrastrutture, tutte cose offerte e realizzate dal settore pubblico. Anche “innovatori” (le virgolette sono di Stiglitz) come Google hanno fatto quel che hanno fatto soltanto costruendo sul lavoro di altri (per verificare andare alla pag.215). Prima che Google potesse creare il motore di ricerca più utilizzato in Internet, qualcuno aveva creato Internet, e quel qualcuno era stato il settore pubblico.”

L’errore metodologico  grave non è pero solo nel considerare una  “Tassa piatta” come uno stimolo alla crescita. L’errore di metodo (equamente presente tra tutti i “grandi comunicatori” della politica italiana, dal 1992 in poi), ma fonte di successo elettorale,  è il proclamare che esistono soluzioni semplici che miracolosamente risolveranno ogni problema senza nessun costo per gli elettori. Perché non esistono soluzioni “vere” che siano semplici, e non esistono soluzioni vere “politicamente corrette”.

Per definizione una soluzione, o una affermazione, o una azione, è “politicamente corretta quando non scontenta il 100% dei cittadini elettori. Salvo il caso di crescita gratuita, come quando cade un meteorite d’oro puro, è impossibile  concepire una soluzione che, in campo economico, non tolga a qualcuno per dare ad altri. L’illusione della crescita come panacea di tutti i problemi di disuguaglianza sociale gioca su questo errore: se l’economia cresce abbastanza velocemente l’introito fiscale crescerà da tutti così non si dovranno aumentare i prelievi dai più abbienti (categoria molto ampia, a seconda della definizione) mentre i meno abbienti staranno comunque meglio. Questo però accade solo se le leggi impediscono ai  più abbienti di essere abbastanza veloci da accaparrarsi tutta la crescita, e anche di più. E così non è stato.

Un’altra conseguenza dell’illusione del “politicamente corretto”  è compensare la crescita del debito pubblico italiano: moltissimi politici sperano che l’economia, a un certo punto, cresca così velocemente che tutto si aggiusti senza dover recuperare soldi dalle tasche di chi ne ha ricevuti di più, dato che da chi ne ha ricevuti meno è un po’ difficile togliere ancora. Così non si scontenta nessuno, almeno oggi. Ci si sforza di far dimenticare che anche  in una economia a crescita zero o bassa  l’eguaglianza impone una corretta distribuzione del reddito prodotto, e la distruzione delle posizioni di rendita. Dove si intende per “rendita” ciò che non è guadagnato con il proprio lavoro correttamente retribuito.

Ogni semplificazione fiscale per i redditi bassi non può che dare miglioramenti, così come ogni alleggerimento delle sanzioni fiscali per errori commessi in buona fede o di importo risibile. Deve trattarsi però di politiche discriminatorie, che analizzino accuratamente dove e come agire, discriminando accuratamente tra i diversi casi,  mettendo da parte i principi generici di piacevole declamazione e di impossibile attuazione. Dobbiamo accettare che continuare ad evitare i problemi, sperando di risolvano da soli, è sì politicamente corretto ma certamente dannoso per il 99% della popolazione italiana autoctona.

Il sottotitolo del libro di Stiglitz è: “La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla”, con sottinteso “negli USA”. L’Europa occidentale ha un paio di secoli in più di esperienza degli USA nella guerra alla disuguaglianza, ha una situazione geografica totalmente diversa (è molto più vicina alla frontiera africana), una disponibilità di risorse naturali drammaticamente inferiore, un multilinguismo che rende difficile le migrazioni interne; le soluzioni debbono necessariamente essere diverse, discriminando adeguatamente dove sia necessario e farlo  impegnandosi in modi ben diversi dagli USA. Non ha senso fare paragoni tra diseguali, e in Europa l’Italia “è” diseguale, per i motivi sopra esposti  e per altri. Non è sufficiente discriminare tra soluzioni semplici e complicate, tra facili e faticose; occorre anche discriminare tra soluzione efficaci e inefficaci, discriminando se nel medio e nel lungo periodo.

L’economia italiana non è uscita dalla recessione iniziata nel 2007 grazie alle politiche governative, né per merito di qualche classe particolare della popolazione; anche se molti singoli hanno contribuito con la loro azione a ridurne gli effetti o a non aggravarli. Ne è uscita perché dopo dieci anni tutta l’Europa Occidentale e il Mondo sono ripartiti, e ne è uscita con gli stessi problemi con cui vi è entrata. Con in più tre problemi inesistenti cinquant’anni fa: pressione migratoria che ha prodotto decine di minoranze di origine straniera prima non presenti, effetti del ravvivarsi  dell’islamismo, globalizzazione economica che distrugge l’economia italiana incapace di competere. E con in più un problema già presente nel 1970 che è cresciuto a dismisura: la delinquenza organizzata che si è moltiplicata producendo oltre a mafia siciliana, camorra e ‘ndrangheta le mafie del Sud esportate al Nord, la mafia pugliese, le mafie extra italiane che crescono in continuazione per la carenza di risorse della Polizia, e per un sistema giudiziario inefficace e lento. Non ne è uscita certamente grazie a modifiche del sistema fiscale.

Tuttavia sembra molto più interessante, a fini elettorali, ed efficace lanciare slogan semplicistici. Forse  la responsabilità  è della cattiva informazione resa disponibile agli elettori,  e anche degli elettori stessi che credono che “tanto sono tutti uguali”. Qualunque ipotesi di riforma fiscale deve fare i conti con la necessità di sfruttare le strutture operative e legislative attuali, e attivarne altri (con  i relativi tempi legislativi), e soprattutto con la necessità di “alleggerire” il carico burocratico sulle piccole realtà economiche. Imporre POS, assicurazioni, fatture elettroniche, digitalizzazione forzata e altri vincoli sulle microaziende comporta costi fissi questi sì “piatti” che incidono pesantemente su piccoli fatturati. La somma di tanti piccoli vincoli (ognuno giustificato con un risparmio per la Pubblica Amministrazione, e un maggior controllo sull’evasione fiscale) corrisponde a un carico finanziario pesante;  alleggerirlo richiederebbe non solo modifiche alle normative ma anche l’impedire l’avvento di altre normative che sono prodotte quasi in automatico da persone che credono che tutti vivano in un mondo ipertecnologico e possano permetterselo.

La gestione politica dell’economia italiana sembra ormai  in mano a qualcuno che crede di gestire una piccola impresa privata,  dove il mondo esterno è esigente e i conti debbono sempre quadrare. Dimenticando che la Pubblica Amministrazione e il Potere Esecutivo hanno una forza enorme, sotto ogni aspetto, che nessuna azienda privata oggi in Italia ha, ed è bene che non abbia. E’ indicativo che gli ingressi illegali di stranieri siano crollati di colpo non appena il Governo italiano ha  attivato qualche timida iniziativa che poteva essere tranquillamente attuata decenni fa. Esattamente come accade con le sanatorie, nulla le rende necessarie se non l’insipienza dei governanti. Ed esattamente come per le sanatorie, ogni cedimento  è un invito ad attenderne un altro. Viviamo in un  mondo globalizzato più nell’informazione che nell’industria: se arriva il messaggio che la rotta Libia-Italia è chiusa la pressione migratoria verso l’Europa più ricca cerca altri passaggi per trovare sfogo.

In economia l’incertezza crea sfiducia, mancati investimenti, mancato sviluppo. Proposte di provvedimenti non adeguatamente soppesate  creano un senso di incertezza e di sfiducia, con danni  a lunga scadenza addirittura maggiori di quelli che si crede di eliminare. Questo soprattutto se la forza politica che fa la proposta diventa, alle prossime elezioni,  forza di governo.

Si è quindi diffusa la moda, apprezzata dalle categorie coinvolte, di spacciare per “tassa piatta” una tassazione molto ridotta, non progressiva, che sostanzialmente consente di pagare meno di quel che comporterebbe pagare l’IRPEF sullo stesso reddito.

Esistono partiti la cui principale bandiera è la riduzione delle tasse, che poi è la causa della scarsa disponibilità di fondi da impiegare per la sanità pubblica, l’assistenza pubblica, l’ordine pubblico, il servizio giustizia, le carceri, e quant’altro. Non si risolve il dramma di un prelievo fiscale iniquo che favorissce tanti a discapito di tantissimi riducendo ulteriormente il prelievo fiscale.

Data:

27 Gennaio 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *