La storia che vi racconto inizia dalla splendida foto che ritrae una bellissima ragazza afgana. Fu scattata dal fotoreporter Steve McCurry nel 1984. Fu lui stesso a raccontare il momento dell’incontro con la bambina che, all’epoca, aveva forse 12 anni. Si trovava nel campo di Nasir Bagh in Pakistan quando, passeggiando, udì delle voci chiassose provenire da una tenda, che immaginò ospitare una classe scolastica. Entrato, e ricevuta l’autorizzazione per fotografare le alunne dall’insegnante, fu immediatamente colpito dallo sguardo magnetico ed enigmatico di una delle ragazzine:
«Mi accorsi subito di quella ragazzina […]. Aveva un’espressione intensa, tormentata e uno sguardo incredibilmente penetrante – eppure aveva solo dodici anni. Siccome era molto timida, pensai che se avessi fotografato prima le sue compagne avrebbe acconsentito più facilmente a farsi riprendere, per non sentirsi meno importante delle altre»
Nella classe si respirava un’atmosfera molto rilassata e informale.
Dopo aver fotografato alcune alunne, McCurry si precipitò sul soggetto che effettivamente lo interessava:
«La classe era composta da una quindicina di ragazze. Erano tutte giovanissime e facevano quello che fanno tutti gli scolari del mondo, correvano, facevano chiasso, strillavano e alzavano un sacco di polvere. Ma quando ho cominciato a fotografare Gula (il suo nome, tuttavia, lo si scoprirà solo nel 2002, n.d.r.) , non ho sentito e visto più nient’altro. Mi ha preso completamente […] Suppongo che fosse incuriosita da me quanto io lo ero da lei, poiché non era mai stata fotografata prima e probabilmente non aveva mai visto una macchina fotografica. Dopo qualche minuto si alzò e si allontanò, ma per un istante tutto era stato perfetto, la luce, lo sfondo, l’espressione dei suoi occhi»
Orfana dei genitori, rimasti uccisi in uno degli attacchi sovietici, era riuscita a raggiungere il campo insieme alla nonna ed ai fratelli. L’espressione del suo viso, con i suoi occhi di ghiaccio, resero ben presto l’immagine celebre in tutto il mondo.
Gli abiti logori e questi stessi occhi bellissimi e terrorizzati, rivelano il trauma della guerra.
Lo scatto (per cui fu utilizzato un obiettivo manuale Nikkor 105mm f/2.5 su una Nikon FM2), fu poi sviluppato al ritorno del fotografo a New York.
In un primo momento la foto non piacque al redattore iconografico della National Geographic, che ne preferì un’altra: in questa seconda foto a essere ritratta era sempre la medesima ragazzina, nell’atto di coprirsi la parte inferiore del viso con lo scialle. Lo scatto originario, dunque, venne incluso nelle «seconde scelte», ovvero l’insieme di immagini non gradite dall’editor principale.
Bill Garrett, al tempo direttore della rivista e uomo di profonda intuizione oltre che di capacità manageriali, si oppose immediatamente alla sua derubricazione “. Non appena l’ho vista, ho capito che era formidabile». Ebbe a dichiarare. E fu così che la foto finì sulla copertina del National Geographic del giugno 1985, vol. 167, n. 6. L’immagine divenne un emblematico simbolo dei conflitti afgani degli anni ottanta. Nessuno sapeva il suo nome e furono in tanti a definirla la “Monna Lisa afgana”.
Nel gennaio 2002 il National Geographic organizzò una spedizione dello stesso McCurry con un team al seguito con lo scopo di ritrovare ed identificare la ragazza afghana dagli occhi di ghiaccio che aveva ormai reso celebre il fotografo in tutto il mondo.
Steve McCurry tornò al campo di Nasir Bagh, ma non riuscì a ritrovarla. Fortunatamente, dopo qualche falsa pista, un uomo, a cui fu mostrata la foto della copertina, raccontò che con la ragazzina avevano vissuto al campo come fratelli e che era tornata in Afghanistan anni prima e viveva tra le montagne vicino a Tora Bora.
Dall’operazione di ricerca la National Geographic produsse il documentario “Search for the Afghan Girl” andato in onda per la prima volta il 9 marzo 2003 oltre a ridedicare una prima di copertina alla donna che per 17 anni era stata ignara della fama conquistata nel mondo dalla sua immagine. Il team con l’aiuto di Rahimullah Yusufzai, un giornalista pakistano che faceva loro da guida e interprete, riuscì a ritrovare la ragazza, ormai trentenne e con tutti i segni di guerre, invasioni e difficoltà vissute, e a darle finalmente un nome dopo quasi vent’anni di anonimato. Da allora fu possibile finalmente chiamare la ragazza afghana con il suo vero nome: Sharbat Gula.
Sharbat Gula, acconsentì a farsi fotografare di nuovo, e le sue immagini furono riprodotte nel numero dell’aprile 2002 del National Geographic, simbolicamente intitolato «Ritrovata» (Found).
McCurry riuscì a garantire a Sharbat un servizio medico adeguato, le donò una macchina da cucire, in modo da offrire alla figlia la possibilità di un lavoro sicuro, e le diede i mezzi necessari per effettuare il pellegrinaggio a La Mecca, tanto desiderato dalla donna.
L’eco di Sharbat Gula, tuttavia, è stata ancora più vasta, e ha concorso all’istituzione dell’Afghan Children’s Fund, ente che si occupa di garantire ai bambini afgani il diritto di andare a scuola e di ricevere un’istruzione. Sempre McCurry commentò:
«Riceviamo ancora moltissime lettere, oltre a dipinti e disegni basati sulla fotografia. C’è chi si offre di mandarle denaro o vestiti; qualcuno vorrebbe addirittura sposarla. Da quando è stata pubblicata, abbiamo ricevuto quasi ogni giorno richieste da persone che volevano utilizzare la foto per vari scopi o desideravano entrare in contatto con la ragazza».
Arrestata nel 2015 in Pakistan con la pretestuosa motivazione di essere in possesso di documenti falsi Sharbat Gula riuscì a salvarsi grazie allo stesso Steve McCurry che denunciò pubblicamente la cosa dando il via a una forte campagna mediatica.
Nel 2016 espulsa dal Pakistan e restituita all’ Afghanistan poteva essere dichiarata, la sua, una delle rare storie finite bene ma il 25 novembre 2021, a seguito del ritorno al potere dei talebani, la vita di Sharbat Gula tornò ad essere in pericolo.
Ma il suo essere la “Afghan girl” conosciuta in tutto il mondo ancora una volta le è stato di aiuto: è riuscita ad arrivare in Italia attraverso il programma organizzato dal Governo italiano di accoglienza e integrazione dei cittadini afghani sfuggiti alle tragedie della guerra.