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TRADURRE E’ TRADIRE?

Premessa – Problematiche – Esperienza poetica a Cento Incroci

Tradurre è tradire?

L’affascinante e noto interrogativo, che probabilmente molti avranno sentito, si tramanda nel tempo, frutto anche di evidenti affinità etimologiche dei due vocaboli. E su tale tema si sono cimentati nel passato e tutt’oggi la stragrande maggioranza di studiosi, critici letterari, traduttori, scrittori, drammaturghi e poeti italiani di altissima levatura: quali (ma l’elenco non è certamente esaustivo) Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Antonio Gramsci, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Cesare Pavese, Tommaso Landolfi, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Mario Luzi, Franco Fortini, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco. Mentre, per citare solo qualche esempio di illustri figure non italiane, Martin Heidegger, Walter Benjamin e Jacques Derrida, Jorge Luis Borges e Fernando Pessoa.

L’annoso dubbio può articolarsi in due opposti: l’opera del traduttore, la traduzione da una lingua in un’altra, è una mera copia in un’altra lingua di un testo oppure si tratta di un’opera di scrittura (e interpretazione) vera e propria?

In ogni caso deve presupporre (condizioni necessarie, anche se non esaustive) una conoscenza di entrambe le lingue e i loro contesti e usi, il periodo storico ed estetico.

Nel caso sovente (ma non solo) di scrittori e poeti potremmo talora essere propensi a ritenere la loro opera, addirittura, come una “riscrittura” del testo, spesso per rendere attuale un’opera risalente, circostanza che può essere ritenuta inevitabile o meno, rivelando le sue insidie e problematiche particolarmente a livello letterario, soprattutto nell’ambito della poesia.

In tale contesto, d’altra parte, l’opera del traduttore è oltremodo delicata, dovendo tener conto – tra gli altri – dei due elementi fondamentali di una lirica: vale a dire la struttura del testo, ovvero quello che si suole definire “il significante”, da un lato, e il contenuto del testo, vale a dire “il significato”, dall’altro.

Il primo elemento attiene alla stessa punteggiatura del verso, ai suoi spazi bianchi o rientri di paragrafo, alle figure retoriche (metafore, anafore …), alla metrica, alle rime, alle assonanze e alle consonanze, alla tipologia del verso, delle strofe, al ritmo, presente comunque anche nei cc.dd. “versi liberi”. Importante poi è la posizione delle singole parole, delle frasi e degli enjambement.

Per i non “addetti ai lavori”, con questo procedimento stilistico, anche detto in italiano “inarcamento” o “inarcatura”, si verifica un’alterazione, una interruzione nel verso. Si crea allora la continuazione del periodo logico, e dunque del significato, nel verso successivo oltre la pausa ritmica del verso precedente. Ciò al fine di accentuare il ritmo dei versi o per far risaltare una parola ritenuta particolarmente importante, separandola. Tra gli esempi più noti: “Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo” (Giacomo Leopardi, L’infinito).

Gli elementi accennati sono presenti, in varia misura, in ogni componimento poetico e in ogni periodo storico e indubbiamente, in intima simbiosi con il significato dei versi medesimi, ma distinti, generalmente, tra una lingua e un’altra.

Circostanza quest’ultima che reca al traduttore un dilemma iniziale e di estrema difficoltà avendo presenti i due elementi (il significante e il significato) caratterizzanti un componimento poetico: come giungere ad un compromesso tra i due, rispettando la lingua originale, ma, nel contempo, facendo riferimento alla lingua nella quale viene operata la traduzione? ed eventualmente quale elemento dovrà avere una qualsivoglia prevalenza nella traduzione di una poesia?

Il traduttore, indubbiamente, alle parole originarie dovrà sostituirne altre della lingua in cui effettua la traduzione, opera per la quale occorre un’estrema perizia, sensibilità, creatività.

Certo soprattutto nel caso che il traduttore sia uno scrittore o un poeta si può insinuare un dubbio: ma non è che “il prodotto finale”, la poesia tradotta, sia, in qualche modo, frutto del traduttore e dunque anche un quid novi rispetto alla poesia originaria?

Situazione questa che apparirebbe allora in contrasto con la c.d. “fedeltà al testo” (parametro di norma richiamato in tema di traduzione). E tale fedeltà come consente dunque un accettabile compromesso nella trasposizione in un’altra lingua, considerato, per di più, che sussistono sovente frasi, espressioni idiomatiche, parole, intraducibili in modo letterale da una lingua all’altra?

È stato peraltro anche osservato che “La traduzione trova la sua più intima condizione di possibilità proprio nella sua impossibilità” (vedi Luca Illetterati nel suo saggio: WHO IS AFRAID OF TRANSLATION? CONTRO IL MITO DELLA PUREZZA, nel n. 2 dell’anno 2020 della rivista semestrale “Filigrane. Culture letterarie”, sul tema Traduzioni e tradimenti).

Ritorneremo comunque, alla fine di questa disamina, ad accennare al dilemma della concezione del traduttore e delle sue affinità e caratteristiche rispetto alla figura dello scrittore, in modo peculiare del poeta.

Certo l’ideale sarebbe leggere la poesia nel testo originario, opera possibile per chi ha a disposizione una conoscenza linguistica (direi approfondita) di varie lingue.

Ma, accanto alle lingue indoeuropee e soprattutto a quelle “romanze” (francese, spagnolo, portoghese …), ramificazioni delle lingue italiche, appartenenti all’albero delle lingue indoeuropee, tale lettura è resa molto più ardua per lingue straniere che utilizzano rispetto all’alfabeto latino (peraltro utilizzato nella maggior parte dei sistemi di scrittura del mondo), particolari alfabeti, quali il greco, il cirillico (utilizzato in varie lingue slave, come il russo, e lingue non slave parlate in alcune delle ex repubbliche sovietiche), l’arabo, l’ebraico; o ancor più, scritture che utilizzano ideogrammi quali il cinese o il giapponese.

È evidente, allora, la grande utilità dei traduttori e il loro prezioso lavoro, che ci consente di conoscere le letterature straniere (narrativa, teatro, poesia …), che altrimenti non potremmo gustare.

Ad es. senza i bravissimi traduttori italiani Antonietta Pastore e Giorgio Amitrano come potremmo conoscere gli splendidi romanzi dello scrittore giapponese Murakami Haruki, un autore con milioni di lettori in tutto il mondo e sempre in lizza ogni anno per il premio Nobel della letteratura?

Occorre considerare – continuando in questa brevissima premessa di tipo linguistico – che le differenze sussistono indubbiamente – nonostante le indubbie affinità e caratteri comuni – anche nell’ambito dello stesso ceppo linguistico, come, per restare vicini al tema di questo articolo, quello delle lingue romanze, ovvero quelle derivate dal latino (donde la definizione di lingue “neolatine”): le principali, accanto il nostro italiano, il francese, lo spagnolo (o meglio il castigliano), il catalano, il gallégo o galiziano, il rumeno.

Naturalmente, nel tempo, ognuna delle varie lingue romanze (quelle citate e le altre minori) si è man mano allontanata dalla lingua comune d’origine, il latino, e dunque dalle altre lingue del comune ceppo linguistico, sia per incontri con altre lingue ed altri accadimenti specifici sia per altre ragioni, come il c.d. “sostrato”: vale a dire “lo strato linguistico al quale si è sovrapposto e sostituito, a seguito della conquista o del predominio politico e culturale di un altro popolo, uno strato linguistico diverso, e che ha provocato nella lingua sovrappostasi particolari cambiamenti grammaticali e lessicali” (dal “Vocabolario on line Treccani”: vedi in merito l’approfondimento nella voce a cura di Alberto Zamboni nell’Enciclopedia on line Treccani).

Per venire all’esperienza culturale e letteraria, cui si intende far riferimento, un significativo esempio è quello del rapporto, in ambito poetico, tra il francese e l’italiano, e in tale affascinante impresa si è cimentato il Laboratorio Poetico de “Il Piccolo Teatro della Parola”, diretto mirabilmente dal poeta e studioso dell’amplissimo universo della poesia Giuseppe Spinillo.

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Più specificatamente, è stata affrontata nello scorso mese di maggio 2023 la lettura e lo studio (in larga parte, certo non dell’opera completa, vastissima) di una tra le opere francesi moderne più famose e tradotte nel mondo, e dunque anche in miriadi di versioni in italiano, da critici e poeti: parlo de Les Fleurs du Mal, I fiori del male, del grandissimo poeta francese Charles Baudelaire.

Un progetto “da far tremare le vene e i polsi”, avrebbe detto il compianto professore Gabriele Di Giammarino (anche per ricordarci il grande Dante, nel suo canto I dell’Inferno, verso 90), quando ci si accingeva ad iniziare un’impresa di grande portata.

“Per leggere, per comprendere Baudelaire – come è stato evidenziato – occorre anzitutto rendersi conto del posto ch’egli occupa nella storia della poesia, non solo francese […] una pietra miliare nel cammino della poesia moderna”, “il più grande libro di poesia dell’era moderna” (rispettivamente, Massimo Colesanti, Introduzione, Cap. 1, pag.7, in Charles Baudelaire I fiori del male e tutte le poesie, a cura di M. Colesanti, trad. Claudio Rendina, Roma, Newton Compton Editori, 2021 e Nicola Muschitiello, I versi ritrovati. Note sulla traduzione, pag. 1, in Charles Baudelaire I fiori del male, trad. Nicola Muschitiello, Milano, BUR – Rizzoli, 2022).

Una dovuta precisazione è d’obbligo qui evidenziare, data la sua significatività.

La lettura de I Fiori del male di Baudelaire, sotto la direzione del poeta e studioso Giuseppe Spinillo, si è svolta nel centro culturale “Cento Incroci”, nel cuore del quartiere di Centocelle a Roma, in Via delle Palme n. 158.

Tale spazio culturale, fortemente voluto dalla Regione Lazio, è subentrato alla Libreria caffetteria “La Pecora Elettrica”, fatta oggetto il 25 aprile e il 5 novembre 2019 di ben due incendi dolosi.

Gli ex gestori del locale, Danilo Ruggeri e Alessandra Artusi, per due anni e mezzo avevano creato infatti uno spazio culturale in Via delle Palme: un luogo di incontri, dibattiti, aggregazione, presidio sociale e culturale che chiaramente con la sua attività aveva disturbato altri “interessi”. Basti pensare che nella stessa zona, a poche centinaia di metri dalla Pecora Elettrica erano stati fatto oggetto di vandalismo e dati alle fiamme tra ottobre e novembre 2019 i locali della Pinseria Cento55 e del Baraka bistrot.

Dopo il primo incendio del 25 aprile 2019 i gestori avevano cercato di riaprire, ma poi è succeduto il secondo incendio proprio nel giorno della ripresa dell’attività, per cui nel dicembre 2019 vi è stato purtroppo l’annuncio di Danilo e Alessandra della chiusura de La Pecora Elettrica.

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Ma la Pecora Elettrica, dopo varie manifestazioni di protesta e solidarietà, è invece diventata ora un polo culturale gestito dalla Regione Lazio, tramite la società regionale “Laziocrea”, alla quale ha affidato la gestione del locale ristrutturato. Un punto di riferimento culturale per il quartiere Centocelle, perché il valore di quel progetto doveva proseguire in continuità coi valori perseguiti: la risposta all’ignoranza, alla criminalità e alla violenza è infatti la cultura e l’aggregazione sociale.

” Non potevamo accettare il vuoto lasciato dalla Pecora Elettrica – [… aveva commentato] Zingaretti – Dopo la serie di attacchi violenti alla libreria e ad altri esercizi commerciali a Centocelle, abbiamo destinato risorse (circa un milione di euro, ndr), a locali vittime di minacce da parte della criminalità e siamo stati i primi in Italia a farlo. Ora aprirà un nuovo spazio sociale e culturale proprio dove si trovava la libreria. Oggi ancora più di prima, dopo la tempesta coronavirus e il rischio di nuove solitudini e povertà, Roma ha bisogno di ripartire con nuove energie, spazi sociali e culturali” (da “La Repubblica” – Roma – La Pecora Elettrica di Centocelle gestita dalla Regione Lazio. “Patrimonio salvato” articolo del 10 giugno 2020 di Marina De Ghantuz Cubbe)”.

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Come si legge sul sito ufficiale, si tratta di uno spazio di rinascita e crescita culturale colorato, moderno e condiviso: “CENTO INCROCI” è sala lettura, spazio coworking e aula studio con Wi-Fi gratuito, con una biblioteca di quartiere che si arricchisce ogni giorno grazie al bookcrossing. Tanti sono i laboratori artistici, di musica, arte e fotografia differenziati per fasce d’età, con piccoli concerti, conferenze, presentazioni, letture, spettacoli, laboratori e piccoli eventi spettacoli, dibattiti e incontri. La programmazione di attività di animazione culturale e sociale all’interno degli spazi avviene anche con il coinvolgimento attivo delle associazioni del territorio.

Ritornando agli incontri di poesia, l’attività poetica a Cento Incroci del Laboratorio di lettura poetica ha avuto inizio da una preliminare presentazione, il 21 maggio 2021, con la partecipazione di Roberto Deidier, poeta, saggista e professore ordinario presso l’università di Palermo. Mentre il primo incontro vero e proprio del Laboratorio ha avuto luogo il successivo 20 settembre 2021.

Ma l’affascinante esperienza di uno spazio culturale dedicato alla poesia è un’attività che viene svolta, con grande professionalità e impegno, sempre a cura del poeta e studioso Giuseppe Spinillo, da tantissimi anni.

Difatti il progetto de “Il Piccolo Teatro della Parola”, da cui il Laboratorio promana, è cominciato già dal 7 marzo 2015, presso la Casa del Popolo Giuseppe Di Vittorio, in Via Castelforte n. 4, a Roma (una traversa di via Olevano Romano, di fronte a Villa Gordiani) nel Quartiere Prenestino – Labicano (Municipio V).

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Da questo progetto è scaturito, come accennato, il Laboratorio di Lettura poetica dall’11 aprile 2016, protraendosi la sua attività fino al 2 marzo 2020. L’interruzione è stata resa necessaria con l’avvento dell’epidemia di COVID-19 e la relativa regolamentazione emergenziale.

Peraltro a Via Castelforte, prima della costituzione de Il Piccolo Teatro della Parola, vi erano state già attività molteplici a prevalenza poetica fin dall’anno 2005, sempre animate da Giuseppe Spinillo.

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Dovendo purtroppo lasciare la sede di Via Castelforte per sopravvenuti problemi di agibilità con la fine di tale collocazione logistica del gruppo poetico, a motivo del protrarsi dell’epidemia di COVID-19 (con la conseguente regolamentazione emergenziale già accennata), prima di poter riprendere le attività da parte del Laboratorio poetico presso lo spazio culturale Centro Incroci, ci sono stati degli incontri via web (anche con un’esperienza di “scrittura poetica”, proseguendo quella iniziata a Via Castelforte) e qualche piccolo tentativo di incontri generalmente all’aperto, con alcune riunioni presso la libreria Rinascita 2.0 (a fianco del parco di Villa Gordiani).

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Le riunioni relative all’esperienza della lettura di Baudelaire nel maggio scorso, e nel lungo periodo del Laboratorio poetico, presso lo spazio culturale “Cento incroci”, si sono svolte il lunedì, sempre con l’orario dalle 18:00 alle 20:00. Lunedì 25 settembre 2023, ripartirà la nuova stagione con la presentazione del programma autunnale.

(segue)

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Data:

31 Agosto 2023