Siamo testimoni indiretti dei quotidiani sbarchi sulle coste italiane di profughi, i quali, secondo la Convenzione di Ginevra (1951), sono individui che hanno fondato motivo di temere la propria persecuzione ( per discendenza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo gruppo sociale, opinione politica), che si trovano al di fuori del proprio Paese d’origine e che non possono o vogliono avvalersi della protezione di quel Paese , o ritornarvi, per timore di essere perseguitati. Essi non hanno diritto al permesso di soggiorno – che riguarda lo straniero regolarmente entrato nel territorio italiano – bensì al diritto di asilo politico.
Questo diritto è garantito dall’ art. 10, 3 Cost: “ lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’ effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.” Per poter fruire dei benefici giuridici ed economici previsti dalla normativa , in primis l’ indennità di sistemazione e il contributo alloggiativo, è necessario che venga riconosciuta la qualifica di “profugo” dalla Prefettura previa invio di una domanda di protezione internazionale da parte degli interessati che verrà vagliata per decretare o meno il rilascio dell’ attestato di riconoscimento.
Sorge solo un dubbio: prima del riconoscimento ufficiale di “rifugiato”, qual è la sorte di queste migliaia di persone? I richiedenti asilo e i rifugiati, dopo una prima accoglienza, trascorrono anche più di un anno nei centri governativi in cui vengono ammassati. Qual è il sistema di svuotamento di tali centri ideato dallo Stato? Una furbata da un miliardo e oltre 300 milioni di euro. Molti servizi per l ‘immigrazione, come i centri d’accoglienza, gli sportelli di informazione e assistenza, i centri di Identificazione ed Espulsione, vengono affidati a cooperative e soggetti privati il cui interesse, di natura lucrativa, poco spazio lascia ai diritti dei migranti ai quali andrebbero assicurati almeno un vitto ed un alloggio dignitosi e, non per ultima, l’ informazione.
Totalmente assente è stato il controllo da parte delle Regioni e delle Prefetture circa questo “Business del profugo” che va a danneggiare umanamente i rifugiati ed economicamente noi contribuenti. Ecco perché: ogni giorno, lo Stato tira fuori 46 euro per ogni profugo, ma solo 5 euro finiscono nelle mani della persona accolta. Tutto il resto va nelle tasche delle cooperative e di neo-associazioni assistenziali, sorte improvvisamente come funghi, che, guarda caso, hanno sede in alberghi, case-vacanze o appartamenti di privati.
Niente paura albergatori! Se la stagione turistica è andata male ci sono sempre i profughi che sono un’entrata sicura. Ai rifugiati, nella maggior parte dei casi, non sono stati garantiti standard minimi di assistenza e, tanto meno, servizi di mediazione culturale fondamentali per ricevere informazioni circa l’ iter della domanda di asilo e, soprattutto, sulla possibilità di fare ricorso ai provvedimenti del regolamento Dublino III (n. 604/2013), entrato in vigore il 1^gennaio 2014. Il Dublino III è un insieme di regole e criteri adottato da tutti gli Stati membri dell’ UE – eccetto la Danimarca – che coordina l’accoglienza e stabilisce lo Stato membro competente per esaminare ciascuna richiesta di protezione internazionale. Lo scopo del regolamento era di evitare che tutti gli Stati si sbarazzassero del profugo, ma di fatto si è trasformato in un incubo burocratico che impedisce una sostanziale protezione e ostacola fortemente il ricongiungimento familiare.
Tale sistema si basa sull’ EURODAC, una banca dati centrale nella quale vengono inserite le generalità e le impronte digitali di tutti coloro che giungono illegalmente in un Paese dell’Unione. Viene così individuato il Paese nel quale è avvenuto il primo ingresso in Europa e gli si attribuisce la competenza circa l’esame della domanda. Il Dublino III, però, limita il transito a livello europeo dei richiedenti asilo perché prevede che essi presentino la domanda nel Paese in cui sono approdati (spesso Grecia, Spagna, Italia perché zone di frontiera aperte sul mare) e , quando ottengono il riconoscimento del diritto di protezione, siano costretti a soggiornare in quello Stato pur non volendo.
E’ per questo motivo che molti immigrati provenienti da aree soggette a conflitti bellici sono restii a farsi identificare dalla polizia in quanto sanno che , poi, dovranno rimanere in quella Nazione per sempre, pur avendo i familiari in altri Stati membri e che il diritto di asilo ottenuto in determinato Paese consente di lavorare esclusivamente in esso e non altrove. E se pur riescono a giungere in altri Stati dell’ Unione, vengono rispediti nella prima nazione in cui sono sbarcati. Per quanto alcuni tribunali impediscano il trasferimento di casi Dublino, verso paesi con condizioni di accoglienza inadeguate (es. Grecia, Bulgaria e , talvolta, Italia) resta comunque attiva la migrazione perché la rigidità di questo sistema spinge i profughi ad aggirare la normativa che gli obbliga a fermarsi in un Paese di “transito” per cercare in altri protezione.
Ecco che interviene un terzo protagonista dopo le cooperative e l’ Europa: i passatori clandestini. Esattamente come accade per l’attracco sulle coste europee, i trafficanti di uomini creano servizi illeciti per il trasporto di immigrati da un Paese ad un altro all’ interno dell’ Unione stessa.
L’”UNITA’ DUBLINO”, istituita dal Ministero dell’Interno, non riesce a gestire le richieste di trasferimento in altri Paesi , infatti, secondo i dati dell’ Eurostat, solo al 25% delle domande è seguito il trasferimento. Cosicché, accade che le autorità italiane rilascino ai “profughi certificati” il foglio di via, un’ autorizzazione per un breve permesso di soggiorno e 500 euro a patto che lascino l’ Italia. Caricati su pullman turistici o ltrepassano la frontiera dove vengono fermati dalle altre polizie europee.
In questo modo, l’ Italia vìola evidentemente il partenariato europeo attuando un “comportamento non solidale verso gli altri Stati membri”, come affermò nel marzo 2013 il Ministro degli Interni bavarese Joachin Hermann. Per snellire questo sistema di meccanismi, tessuto da burocrazia e malaffare, e favorire la flessibilità del transito di rifugiati , sarebbe opportuno indicare come Stato competente per la presa in carico della domanda d’asilo quello richiesto dal profugo stesso perché è intenzionato ad insediarvisi. Invece, ci troviamo davanti ad uno Stato-Prigione dal quale non si può uscire, che non garantisce mezzi sostanziali che salvaguardino la dignità umana e nel quale difficilmente è concretizzabile l’ integrazione sociale.
Nel giallo delle voraci associazioni NO PROFIT, del percorso ad ostacoli creato dalla normativa europea e dei trafficanti di uomini, per le persone stipate sui barconi le nostre coste non si configurano come una reale salvezza, bensì come una trappola per topi, anzi, per profughi.