Trump minaccia: “Userò poteri presidenziali”
Il procuratore speciale Robert Mueller, a capo dell’inchiesta sul Russiagate, ha minacciato di emettere un mandato di comparizione per Donald Trump, nel corso di un incontro con gli avvocati del presidente. Lo scrive il Washington Post, dando conto dello scambio avvenuto tra Mueller e i legali di Trump all’inizio di marzo.
Mueller, scrive il Post, ha chiarito agli avvocati di Trump, che sostenevano che il presidente non aveva alcun obbligo di rispondere alle domande degli investigatori federali, che di fronte ad un rifiuto potrebbe costringere Trump a comparire davanti a un grand jury. Il team di investigatori di Mueller avrebbe inoltre acconsentito a fornire ai legali del presidente indicazioni più dettagliate riguardo alle domande che gli verrebbero poste.
Nel corso dell’incontro, a testimonianza del clima teso, l’ex avvocato di Trump, John Dowd, avrebbe riposto agli investigatori che l’inchiesta non era “un gioco”, accusandoli di “interferire col lavoro del presidente degli Stati Uniti”. Dowd ha poi rassegnato la sue dimissioni dal team legale di Trump una decina di giorni dopo quell’incontro.
Ieri, in replica allo scoop del New York Times, che ha pubblicato l’elenco di oltre 40 domande che il procuratore Mueller intende porre al presidente Usa nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte interferenze russe nelle elezioni del 2016, è intervenuto lo stesso Trump. In un tweet, il presidente ha definito “vergognoso” l’articolo del Nyt, negando di voler “ostruire la giustizia”.
MINACCE DA TRUMP – Nel giorno in cui viene diffusa la notizia il presidente, con un tweet, ribadisce che il Russiagate è tutto “un falso”, che non c’è stata nessuna collusione né intralcio al corso della giustizia, e rivendica i successi della sua presidenza.
“Non c’è nessuna collusione (questo è un falso), non c’è intralcio al corso della Giustizia (che è un tranello ed una trappola) – si legge nel tweet – ma ci sono i negoziati in corso con la Corea del Nord sulla guerra nucleare, i negoziati in corso con la Cina sui deficit commerciali, i negoziati sul Nafta e molto di più. E’ una caccia alle streghe!“.
Trump è tornato poi alla carica contro il Russiagate con un altro tweet in cui parla di “sistema corrotto”, accusa che sembra coinvolgere anche il dipartimento di Giustizia, e minaccia un’azione esecutiva. “Non vogliono consegnare i documenti al Congresso. Di cosa hanno paura? Perché tutti questi omissis? Perché una ’giustizia’ così ineguale?“, scrive il presidente nel tweet in cui fa riferimento alla polemica in corso tra deputati conservatori e il vice ministro della Giustizia Rod Rosenstein che si rifiuta di consegnare loro documenti relativi al Russiagate ed al mailgate.
“Ad un certo punto non avrò altra scelte che usare i poteri concessi al presidente ed entrare in campo“, conclude il tweet di Trump, ventilando quindi la possibilità di una sua azione nella disputa che ha spinto alcuni deputati anche a preparare una bozza per richiedere la procedura del Congresso per la rimozione di Rosenstein – che ha la supervisione dell’inchiesta sul Russiagate condotta da Robert Mueller – dall’incarico.
L’ennesimo tweet di Trump è stato interpretato a Washington come una dura replica di Trump al vice ministro Rosenstein che ai giornalisti ieri ha detto che le “il dipartimento di Giustizia non cederà ai ricatti” riferendosi alle “minacce” che da più parti e da diverso tempo gli vengono rivolte.
La frase apparentemente rivolta ai deputati repubblicani al centro della disputa, era stata però interpretata da molti anche come un riferimento del magistrato alla pioggia di attacchi, pubblici e privati, che da mesi gli lancia Trump perché, in qualità di supervisore del Russiagate, Rosenstein non ha mai fatto mancare la sua fiducia a Mueller.
Se la prima parte del tweet di Trump appare abbastanza chiara nel riferirsi al rifiuto comunicato lunedì dal dipartimento di Giustizia ai deputati Gop di consegnare una copia senza omisssis del memo in cui viene dettagliata la portata dell’inchiesta di Mueller, più oscura rimane invece la seconda in cui Trump evoca il ricorso ai poteri presidenziali.
Come i media americani ricordano da mesi, Trump non può licenziare direttamente Mueller, ma dovrebbe prima rimuovere Rosenstein dall’incarico per nominare un nuovo vice attorney general disposto a silurare il procuratore speciale.
La mossa però potrebbe essere un azzardo, come ricorda la storia di quello che in America è passato alla storia come il Saturday Night Massacre, quando Richard Nixon, assediato ormai dall’inchiesta del Watergate, nella notte di sabato 20 ottobre 1973 ordinò all’allora ministro della Giustizia, Elliot Richardson, di licenziare lo special prosecutor, Archibald Cox. Richardson si rifiutò e si dimise con effetto immediato ed a questo punto Nixon rivolse lo stesso ordine al vice ministro, William Ruckelshaus, che oppose lo stesso rifiuto e si dimise.
Fu poi il numero 3 del dipartimento a licenziare Cox, ma la mossa non aiutò il presidente Nixon, anzi. Dopo 11 giorni di furore politico e dei media, fu nominato un nuovo special prosecutor, Leon Jawrosky. E tutti sanno come la storia andò a finire, con l’impeachment e le dimissioni di Nixon per evitare il processo.
ASSUNTO IL LEGALE DI CLINTON – La Casa Bianca ha confermato che il presidente Trump ha assunto Emmet Flood, un avvocato che partecipò al team di difesa di Bill Clinton ai tempi dell’impeachment. L’avvocato, ha reso noto la portavoce Sarah Huckabee Sanders, “entrerà nello staff della Casa Bianca che rappresenta il presidente e l’amministrazione contro la caccia alle streghe russa”. La portavoce ha poi ringraziato Ty Cobb, il capo dell’ufficio legale della Casa Bianca che alla fine del mese lascia l’incarico dopo aver gestito per mesi il Russiagate, “un amico del presidente che ha fatto un lavoro fantastico”.
L’ETA si scioglie
“L’ETA ha deciso di considerare concluso il proprio ciclo storico e la sua funzione, mettendo fine al suo percorso“: questo il tono di una lettera fatta pervenire dal gruppo armato basco a organizzazioni ed agenti del paese basco e citata oggi dalla stampa spagnola. “L’ETA ha pertanto – si legge nella lettera diffusa a due giorni dalla ’conferenza internazionale’ in programma per venerdì nella località francese di Cambo-les-Bains in cui è atteso l’annuncio ufficiale dello scioglimento del gruppo – sciolto tutte le sue strutture e dato per conclusa la sua iniziativa politica“, si legge ancora nella lettera.
Ma nel testo si lascia intendere come il gruppo armato consideri ancora aperto un conflitto con la Spagna e con la Francia: “Il conflitto non è iniziato con l’ETA e non si conclude con la fine del percorso dell’ETA”. La lettera è datata 16 aprile e segue di una settimana un altro messaggio diffuso dai media baschi nel quale il gruppo chiedeva perdono alle vittime e riconosceva il danno causato.
I black bloc devastano Parigi
Festa del lavoro ad alta tensione a Parigi. Ieri, durante il corteo del Primo Maggio, all’altezza del Ponte d’Austerlitz, oltre mille militanti anarchici e dell’estrema sinistra hanno messo a ferro e fuoco la città. Gli ’incappucciati’ hanno distrutto le vetrine di un McDonald’s, hanno incendiato una concessionaria della Renault e hanno lanciato ordigni incendiari e fumogeni.
Le forze dell’ordine hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni e a cannoni ad acqua per respingere l’assalto dei manifestanti. Circa 200 ’black bloc’ sono stati fermati.
Immediatamente dopo i disordini, il ministro dell’Interno francese Gérard Collomb ha condannato l’accaduto con un tweet: “Ferma condanna delle violenze e degli atti degradanti commessi a margine del corteo del Primo maggio a Parigi”, ha detto il ministro, che ha assicurato come sia “stato messo in atto tutto il necessario per far smettere questi gravi disordini ed arrestare i responsabili di questi atti inqualificabili”.
Tensione anche a Istanbul: scontri tra manifestanti e polizia si sono registrati nel quartiere di Besiktas e 56 persone sono state arrestate.