Traduci

Truppe Usa via dalla Siria

Truppe Usa via dalla Siria

cms_11204/Siria_Militari_Afp.jpg

“Abbiamo iniziato a riportare a casa i soldati degli Stati Uniti mentre passiamo alla fase successiva di questa campagna”. Lo afferma la Casa Bianca in relazione all’impegno militare in Siria. “Cinque anni fa, l’Is era una forza estremamente potente e pericolosa in Medio Oriente. Ora gli Stati Uniti hanno sconfitto il califfato” nella Regione, si legge in una nota.

“Queste vittorie sull’Is in Siria non segnano la fine della Global Coalition o della sua campagna. Abbiamo iniziato a riportare a casa le truppe degli Stati Uniti mentre passiamo alla fase successiva di questa campagna. Gli Usa e i nostri alleati sono pronti a impegnarsi nuovamente a tutti i livelli per difendere gli interessi americani ogni volta che sarà necessario” prosegue la Casa Bianca. “Continueremo a lavorare insieme” si legge ancora. La lotta al terrorismo verrà condotta su tutti i fronti per contrastare l’espansione degli estremisti, bloccare “finanziamenti e supporto” e impedire “che si infiltrino attraverso i nostri confini”.

Secondo il ’Wall Street Journal’, che cita fonti ben informate a condizione di anonimato, l’esercito americano avrebbe informato i suoi alleati nella regione di voler iniziare ’’immediatamente’’ le operazioni di ritiro. Dalla Difesa si fa notare che il ritiro americano lascerebbe scoperti gli alleati curdi, esposti ad una potenziale offensiva della Turchia. In una serie di incontri e telefonate, inoltre, il segretario alla Difesa Jim Mattis e altri funzionari hanno evidenziato i rischi legati ad un ritiro integrale: la decisione consentirebbe alla Russia e all’Iran di ampliare il proprio controllo sulla Siria.

L’Italia si astiene sul Global Compact

cms_11204/onu_1_fg.jpg

L’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato oggi il Global compact sull’immigrazione al quale la scorsa settimana avevano aderito i 164 Paesi partecipanti alla conferenza di Marrakech. Nella votazione di oggi al Palazzo di Vetro, l’Italia si è astenuta, insieme ad altri 11 Paesi, mentre sono stati 152 i voti a favore, e cinque quelli contrari, tra i quali quelli di Stati Uniti ed Ungheria. Oltre a Stati Uniti ed Ungheria hanno votato contro Israele ed altri due Paesi della Ue, Repubblica Ceca ed Ungheria. Tra gli astenuti oltre all’Italia, l’Austria, l’Australia, la Svizzera e la Bulgaria.

Il Belgio ha votato a favore nonostante ieri il premier Charles Michel si sia dimesso a seguito della crisi del suo governo provocata dalle dimissioni dei ministri della Nuova Alleanza Fiamminga, usciti dal governo contestando il sì del premier al Global Compact sull’immigrazione. Prima del voto la presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, Maria Fernanda Espinosa, ha detto di voler “ribadire” il concetto che il global compact non è legalmente vincolante e non viola la sovranità dei Paesi che vi aderiscono.

A impegnare il governo italiano a “rinviare la decisione in merito all’adesione dell’Italia a ’Global Compact for safe and orderly and regular migration, in seguito ad un’ampia valutazione con riferimento alla sua portata”, Lega e M5S, che come forze politiche di maggioranza in una mozione si sono riservate di valutare l’impatto (’follow up’) concreto del Global Compact proponendo un ’riesame periodico’ degli effetti dell’applicazione del documento”.

“L’importante è affrontare nel merito le questioni, ma se mi chiede se è il Global Compact a determinare la presenza dell’Italia” tra i big del pianeta “le rispondo che no, non è questo lo strumento per dire se l’Italia e nel consesso dei grandi”. Così il premier Giuseppe Conte, durante il brindisi di auguri al Quirinale, rispondeva a chi gli chiedeva dell’adesione dell’Italia al patto delle Nazioni Unite sui migranti.

Di opinione diversa il presidente della Camera Roberto Fico. “L’Onu è una sede di dialogo, in quel tavolo ci devi stare, per un approccio globale che è la posizione dell’Italia”, aveva infatti affermato stamane durante l’incontro con i giornalisti parlamentari per gli auguri di Natale.

“Innanzi tutto – spiegava – vorrei dargli un nome italiano: un patto globale per le migrazioni. Significa che siccome l’immigrazione è una problematica assolutamente globale, per forza dobbiamo sederci al tavolo insieme a tutti gli altri Paesi del mondo per affrontare la problematica dell’immigrazione. E quando ci sediamo al tavolo in un contesto così importante come quello dell’Organizzazione delle Nazioni unite, dove l’Italia ha dei rapporti fondamentali proprio con quei Paesi da dove partono soprattutto i migranti, è chiaro che in quel tavolo ci devi stare, in quel tavolo devi collaborare, in quel tavolo devi poter firmare un patto globale che regga anche culturalmente il fenomeno migratorio con un approccio globale. E’ la posizione dell’Italia”.

“Credo che l’Italia si deve inserire in un meccanismo internazionale che sia sempre di dialogo e l’Onu è di fatto una sede di dialogo e lì dobbiamo esserci sempre. E dico -concludeva – che dobbiamo anche scostarci da una politica come quella di Trump”.

L’Ue scrive all’Italia

cms_11204/juncker_strasburgo_afp.jpg

“La Commissione europea continuerà a seguire l’andamento del bilancio in Italia, ed in particolare l’esecuzione del bilancio 2019, nel contesto del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche”. Si legge nella lettera di Pierre Moscovici, Valdis Dombrovskis e Jean-Claude Juncker inviata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e pubblicata dal premier sul suo profilo Facebook.

“Ringraziamo anzitutto della lettera del 18 dicembre 2018 relativa ai proposti emendamenti del progetto di bilancio 2019 dell’Italia. Come è noto al Governo italiano, il 21 novembre 2018 la Commissione europea -si legge nelle lettera dei vertici della commissione Ue al premier Conte- ha adottato un secondo parere sul documento programmatico di bilancio riveduto che l’Italia aveva presentato il 13 novembre, confermando l’esistenza di un’’inosservanza particolarmente grave’ delle raccomandazioni rivolte dal Consiglio dell’Unione europea all’Italia il 13 luglio”.

“Poiché l’’inosservanza particolarmente grave’ rilevata nei piani di bilancio dell’Italia per il 2019 modificava in maniera sostanziale i fattori significativi analizzati nella precedente relazione del maggio 2018, giustificandone quindi un aggiornamento, la Commissione europea ha adottato altresì una relazione a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.

“Analizzati tutti i fattori significativi, in detta relazione la Commissione è giunta alla conclusione che non fosse rispettato il criterio del debito fissato nel patto di stabilità e crescita e che quest’inosservanza giustificasse l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo. Il 29 novembre il comitato economico e finanziario ha formulato un parere a norma dell’articolo 126, paragrafo 4, del trattato, confermando le conclusioni cui era giunta la Commissione e rilevando la possibilità che elementi nuovi emergessero dal dialogo in corso fra la Commissione e le autorità italiane”.

“Anche l’Eurogruppo del 3 dicembre -si legge nella lettera di Juncker- ha condiviso la valutazione della Commissione, raccomandando all’Italia di adottare le misure necessarie per conformarsi al patto di stabilità e crescita e esprimendo sostegno per il processo di dialogo in corso fra la Commissione e le autorità italiane”.

“Prendiamo debitamente atto delle misure di bilancio che il Governo italiano intende sottoporre al Parlamento come emendamento del progetto di legge di bilancio, che ci sono state comunicate con la lettera trasmessa alla Commissione. L’adozione di tali misure – compresa la prevista clausola di salvaguardia (il meccanismo di “congelamento”) – nella legge definitiva sul bilancio 2019 che il Parlamento italiano dovrà votare prima della fine di quest’anno, permetterebbe alla Commissione europea di non raccomandare l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo a questo stadio”.

“La Commissione europea continuerà a seguire l’andamento del bilancio in Italia, ed in particolare l’esecuzione del bilancio 2019, nel contesto del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche”.

Caso marò, 6 anni di battaglia fra Italia e India

cms_11204/maro3_xin.jpg

Caso Marò, si decide sulla competenza. A luglio 2019 è atteso il verdetto del Tribunale Arbitrale dell’Aja, che dovrà stabilire se spetti all’India o all’Italia la facoltà di processare i due fucilieri di Marina accusati di aver ucciso nel febbraio 2012 due pescatori indiani, scambiati per pirati, su un peschereccio al largo della costa del Kerala, nel sud dell’India.

Queste le tappe principali della vicenda: i due marò italiani sono impegnati in una missione di protezione della nave mercantile italiana Enrica Lexie, in acque a rischio di pirateria. Dopo l’uccisione dei due pescatori indiani, qualche giorno dopo il fermo dei due militari italiani, il tribunale di Kollam dispone il loro trasferimento nel carcere ordinario di Trivandrum. Ne escono solo il 30 maggio quando l’Alta Corte del Kerala concede ai due fucilieri la libertà su cauzione di dieci milioni di rupie (143.000 euro) stabilendo l’obbligo di firma quotidiano che impedisce loro di allontanarsi dalla zona di competenza del commissariato locale. Ai due fucilieri viene anche ritirato il passaporto.

Solo a dicembre del 2012, qualche giorno prima di Natale, il governo italiano riesce a ottenere dall’Alta Corte del Kerala un permesso di due settimane per i due militari italiani che consente loro di trascorrere le festività in Italia con l’obbligo di tornare in India alla scadenza del permesso. Tornano quindi a casa il 22 dicembre e vengono interrogati dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. Il 3 gennaio 2013, alla scadenza del permesso, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano in India, per poi rientrare ancora in Italia alla fine di febbraio, quando ai due fucilieri viene dato un permesso di 4 settimane in occasione delle elezioni politiche.

La posizione del governo italiano è, inizialmente, quella di non rimandare i due fucilieri in India ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri annuncia invece successivamente che i fucilieri sarebbero tornati nel Paese asiatico. L’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia quindi in Parlamento le proprie dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del governo di rimandare i marò in India.

Il 16 dicembre del 2014 arriva il no della Corte Suprema indiana alle istanze presentate dai marò, anche per quanto riguarda il possibile rientro in Italia di Girone. Dopo mesi di schermaglie politiche e diplomatiche, il governo italiano decide, il 26 giugno del 2015, di attivare la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di arrivare a una soluzione negoziale con l’India.

L’Italia chiede di consentire la permanenza di Latorre in Italia (nel frattempo tornato nel nostro Paese per alcuni problemi fisici) e il rientro in patria di Girone durante l’iter della procedura arbitrale. Il 2 maggio 2016 il Tribunale Arbitrale dispone che anche Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale.

“Battisti potrebbe essere in Bolivia”

cms_11204/battisti_cesare_fg.jpg

Cesare Battisti “potrebbe essere in Bolivia“. A dichiararlo nella tarda giornata di ieri è stato l’ex giudice brasiliano Walter Maierovitch, già a capo del programma antidroga del paese. Parlando con l’emittente CBN, Maierovitch ha detto di essersi consultato con alcuni dei suoi contatti nel servizio di intelligence. Tali contatti “sono convinti…che Battisti sia in Bolivia”. Le stesse fonti inoltre, secondo Maierovitch, “ritengono che Battisti sia visto favorevolmente dal vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Liniera.”

L’ex terrorista dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), condannato in Italia a due ergastoli per quattro omicidi, si è reso irreperibile dopo l’ordine di arresto emesso da Luiz Fux, giudice del Tribunale Supremo brasiliano.

La polizia federale brasiliana ha contattato gli avvocati di Battisti per convincere l’ex terrorista a consegnarsi alle forze dell’ordine. Il messaggio, riferisce il portale G1, non è stato però recapitato a Battisti: l’ex membro dei Pac non ha contatti con i suoi legali da almeno 5 giorni, da quando è stato emesso il mandato di arresto nei suoi confronti. La polizia federale, in una conversazione telefonica, ha chiesto agli avvocati di mediare per convincere Battisti a consegnarsi in maniera discreta, senza “grandi scandali”.

Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, in un video diffuso attraverso i propri canali social dice a proposito dell’ex terrorista: “E’ con qualche complice o è fuori dal Brasile“. Il presidente uscente, Michel Temer, ha firmato il decreto per l’estradizione in Italia. Battisti, spiega Bolsonaro, “è latitante“. “E’ un terrorista che ha fatto parte dei Proletari armati per il comunismo, ha assassinato quattro cittadini italiani, è stato processato e condannato. E’ riuscito a fuggire in Francia, la sua situazione non si è sviluppata in modo positivo e quindi è venuto in Brasile”, è la ricostruzione del presidente brasiliano.

“Quando si discuteva il caso Battisti, la sua permanenza in Brasile e il suo status” di soggetto che aveva ricevuto asilo, “io ho sempre criticato la sua presenza qui perché si tratta di un terrorista”. Il giudice “Fux ha dato il potere al presidente della repubblica, al presidente attuale Michel Temer o a me per il futuro, di decidere se concedere l’asilo o no. Temer ha deciso: congratulazioni a lui che, con un decreto, ha ordinato l’estradizione di Cesare Battisti”.

Battisti “finirà per essere catturato, non ho il minimo dubbio”, spiega ancora Raul Jungmann, ministro brasiliano della Sicurezza pubblica. “Si trova nella condizione di latitante. Finirà per essere trovato, non ho il minimo dubbio su questo – dice il ministro, come riferisce il portale G1 – C’è la possibilità che sia fuggito” in un altro paese “o che sia rimasto in Brasile. La polizia federale sta lavorando in modo approfondito, è stato anche emesso un avviso dell’Interpol”.

Ma dove potrebbe essere Battisti? In Bolivia l’ex terrorista godrebbe dell’appoggio godrebbe dell’appoggio del vicepresidente boliviano Alvaro García Liniera che all’inizio degli anni ’90 fu uno dei leader del movimento guerrigliero Tupac Katari. Lì, però, Battisti rischierebbe comunque l’estradizione verso l’Italia. Il trattato tra Roma e La Paz risale addirittura al 1890. Nel continente americano, sono altri i Paesi che Battisti potrebbe tentare di raggiungere, senza correre il rischio immediato di essere arrestato e rispedito in Italia.

Innanzitutto il Belize, attualmente governato dal partito di centro destra Udp, del premier Dean Barrow. Sempre nella regione, altro Paese senza trattato di estradizione con l’Italia è la Giamaica, dove al governo si trova il Partito laburista, che a dispetto del nome è in realtà un partito conservatore. Nell’elenco degli altri Paesi che non hanno un trattato di estradizione con l’Italia, figurano invece tutte mete particolarmente lontane geograficamente e difficili da raggiungere per una persona come Battisti, sulla quale ormai grava un mandato di arresto internazionale dell’Interpol: Capo Verde, Cambogia, Madagascar, Malesia, Namibia, Seychelles.

Autore:

Data:

20 Dicembre 2018