«Tu quoque, Brute, fili mi!» urla Fabio spalancando gli occhi di fronte a Bruto. E’ la sera del 31 agosto 2024.
Siamo in un quartiere tranquillo di Paderno Dugnano, vicino Milano, all’interno di una villetta appartenente ad
una famiglia in apparenza felice e senza crepe.
Ma proprio in quel mondo “a posto”, una notte, in preda ai suoi malesseri, Riccardo afferra un coltello e uccide
prima il fratellino di 12 anni, poi la madre e il padre. Bruto è ritornato nelle sembianze di Riccardo, Erika e Omar,
Pietro Maso e Doretta Graneris e di molti altri giovani, spesso minorenni. Le stragi familiari sono
espressione di una disumanizzazione graduale e di una anestesia affettiva, che si sviluppa in contesti
apparentemente normali e ordinari.
La riflessione filosofica, pur non offrendo risposte definitive, fornisce gli strumenti per indagare la fragilità umana e le dinamiche emotive che portano una persona a compiere gesti estremi, aiutandoci a comprendere meglio la complessità delle relazioni affettive e delle ombre che si annidano nell’animo umano.
Perché l’uomo è capace del male? Come può la filosofia aiutarci a comprendere queste tragedie, apparentemente così lontane dalla razionalità e dalla morale?
Già Platone sosteneva che il male e il disordine derivano dallo squilibrio tra le tre parti dell’anima ovvero tra la ragione, lo spirito e il desiderio. Quando la ragione non riesce ad esercitare il controllo sulle altre due componenti, il desiderio e lo spirito possono prendere il sopravvento, spingendo l’individuo
verso comportamenti autodistruttivi e dannosi per gli altri.
La ragione viene così sopraffatta da sentimenti di rabbia, frustrazione o desiderio di vendetta, al contempo, lo spirito e il desiderio assumono il controllo dell’azione.
Secondo la filosofia esistenzialista di Sartre e Heidegger, l’uomo vive costantemente tra conflitti
interiori e relazioni complesse con l’altro. Il legame familiare, carico di aspettative, affetto e tensioni,
diviene il luogo in cui si manifestano frustrazioni profonde, portando, nei casi più estremi, ad atti di
violenza. Oppresso dalle aspettative o intrappolato in una situazione insostenibile, l’uomo potrebbe
vedere nella ‘soluzione finale’ l’unico modo di riappropriazione del suo precario equilibrio esistenziale.
Emmanuel Levinas, filosofo francese, individua la nascita dell’etica nell’incontro con l’altro e nel riconoscimento della sua vulnerabilità.
L’omicidio, specialmente quello di prossimità, si declina come rifiuto estremo di un incontro etico. Il volto dell’altro non susciterebbe più responsabilità e compassione, ma disintegrazione di entrambi i soggetti.
Questo concetto conosce la sua tragica espressione in Macbeth, dove il protagonista, al temine della sua parabola di violenza, diviene prigioniero del terrore e dell’ossessione. La sua violenza non genera pace o sicurezza, ma isolamento e disperazione.
Perché, dunque, esiste il male?