Una vittoria che stupisce poco in Turchia, ma che fa riflettere molto sul futuro del Paese. Dopo 11 anni da primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan, primo presidente eletto a suffragio universale, promette una nuova Turchia e riconciliazione. Ma negli ultimi anni il suo discorso era diventato sempre più identitario – “noi turchi e musulmani contro gli altri” – seducendo l’elettorato religioso e conservatore e preoccupando la Turchia laica, liberale ed europeista. Erdoğan è l’uomo più longevo politicamente dopo il padre della Turchia laica, Mustafa Kemal Atatürk. La sua popolarità è dovuta anche alla crescita economica, alle aperture ai curdi con l’inizio dei negoziati di pace e, in politica estera, alla linea dura nei confronti di Israele. Ma l’ultimo anno per Erdoğan è stato particolarmente difficile. Le proteste di strada, nate inizialmente per impedire la distruzione del parco Gezi di Istanbul, si sono trasformate in una contestazione della politica generale del governo islamico moderato. Il governo tenta poi di attribuirsi più poteri in materia di nomina dei magistrati. La Corte Costituzionale boccia questa disposizione della riforma della giustizia, che aveva scatenato proteste in parlamento. Qualche mese prima uno scandalo di corruzione aveva coinvolto personaggi vicini a Erdoğan, e in seguito migliaia di poliziotti e giudici erano stati licenziati. Poco prima delle elezioni, vengono arrestate altre decine di poliziotti. Ora il timore della Turchia laica è che Erdoğan diventi un presidente autoritario, un nuovo sultano.
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Turchia: Erdoğan promette “nuova era”, a rischio la democrazia?
