Turchia, Erdogan rieletto
Recep Tayyip Erdogan ha superato l’ostacolo più difficile dei suoi 15 anni di potere, con una chiara vittoria nelle elezioni di domenica. Dopo l’annuncio fatto dallo stesso Erdogan nella notte, è giunta la conferma della Commissione elettorale. Con circa il 98 per cento dei voti scrutinati, Erdogan ha ottenuto la “maggioranza assoluta dei voti validi”, ha dichiarato il responsabile del Consiglio supremo elettorale, Sadi Guven.
Per la prima volta nella storia della Turchia, le elezioni presidenziali si sono svolte contemporaneamente a quelle legislative. Erdogan ha vinto la sua scommessa e il successo elettorale gli consente la definitiva trasformazione del sistema politico del Paese. Le elezioni completano la transizione verso la repubblica presidenziale di stampo autoritario. Il nuovo sistema, che nel 2017 è stato approvato con un margine ristretto in un referendum costituzionale, abolisce la figura del primo ministro, per assegnare al presidente il doppio ruolo di capo di stato e di governo.
“Il nostro popolo mi ha assegnato la presidenza e un ruolo esecutivo. Spero che nessuno tenti di cancellare il risultato delle elezioni per mascherare il proprio fallimento”, ha detto Erdogan nel discorso della vittoria a Istanbul, prima che i risultati ufficiali venissero annunciati. Per la prima volta in Turchia, l’opposizione frammentata era riuscita ad unirsi contro Erdogan, minacciandone il potere e sperando di potere almeno arrivare al voto di ballottaggio previsto per l’8 luglio.
Allerta carburante per Lifeline
Continua l’odissea per la Lifeline. In un tweet, viene sottolineato come presto ci sarà bisogno di carburante: “Se volete sostenerci, spendete qualcosa per esempio per il carburante di cui avremo presto bisogno”. Intanto, in mattinata, Axel Steier – portavoce dell’Ong – all’emittente francese Rtl ha annunciato: “Chiederemo alla Francia di accoglierci“. E “se non avremo una risposta, lasceremo Malta per andare al Nord… in Spagna o in Francia” ha detto Steier, spiegando che a bordo della nave, sulla quale si trovano 230 migranti, “non c’è un’emergenza medica” ma la situazione è “psicologicamente difficile”. Steier ha anche lamentato che la nave è stata “rifiutata dalla Germania, dai Paesi Bassi, dall’Italia”.
Inoltre per Claus Peter Reisch, comandante della nave della Ong tedesca, Matteo Salvini ’’sta giocando con i soccorritori privati. Dovrebbe smettere di incolpare coloro che cercano di salvare vite umane, salvare vite umane non è un crimine, non dovrebbe mai esserlo’’ ha detto Reisch a ’Sky Tg24’ . ’’Le persone – ha spiegato – sono molto collaborative, aiutano anche nella pulizia dei gabinetti e del ponte. La situazione al momento è tranquilla: abbiamo acqua e cibo, le persone sono tranquille perché hanno un senso di sicurezza su questa barca. Siamo in contatto con le autorità ma fino ad ora non abbiamo un porto di sicurezza dove portare le persone. Aspettiamo un cambio meteo nei prossimi giorni, quando cambierà, cambierà anche la situazione sulla barca. Quando avremo un vento di 25 nodi e il mare alto un metro o fino a due metri, avremo 234 persone con il mal di mare sulla barca”.
CARBURANTE – E un altro problema si affaccia all’orizzonte. In un tweet di ’Mission Lifeline’ si legge: “Procediamo con velocità otto nodi con le onde, ancora più a sud di Malta, in modo che la gente non soffra troppo il mare. Se volete sostenerci, spendete qualcosa per esempio per il carburante, di cui avremo presto bisogno”.
DI MAIO – Sul caso interviene anche il capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, che a ’Stasera Italia’ dice come per la Lifeline “ci sono due strade: o aprono i porti Francia, Spagna e Malta o viene nei nostri porti e poi la sequestriamo”. E ancora: “Una cosa è il salvataggio che facciamo noi, una cosa il traghettamento” prosegue il vicepremier. “Prima funzionava che qualcuno ci propinava accordi già definiti. Oggi invece ricominciamo con una proposta italiana. Altro che Italia isolata. Con qualche sano no otterremo tanti sì per gli italiani” dice Di Maio. “Non è vero che a Bruxelles c’è stato un nulla di fatto – aggiunge il capo politico dei Cinque Stelle, riferendosi alla proposta italiana che ha presentato il presidente del Consiglio Conte a Bruxelles – il dato politico è che per la prima volta l’Italia è tornata centrale”.
Harley-Davidson, fuori da Usa parte della produzione
La Harley-Davidson emigra, almeno in parte. La celebre casa di motociclette trasferirà alcune attività di produzione dagli Stati Uniti in altri Paesi per evitare i nuovi dazi introdotti dall’Unione Europea. Il brand del Wisconsin ha reso noto nella documentazione inviata alla Sec che le tariffe relative alle moto esportate dagli Stati Uniti sono salite dal 6% al 31%.
Questo, nelle stime dell’azienda, potrebbe comportare un aumento medio del prezzo di ogni motocicletta importata dall’Unione Europea nell’ordine di 2200 dollari. Harley-Davidson ritiene che tale aumento, destinato a pesare su distributori e alla fine sui clienti, avrebbe un impatto negativo sul business nel Vecchio Continente.
Per questo, l’azienda non applicherà alcun aumento e, a breve termine, si farà carico delle conseguenze delle tariffe, stimabili tra 30 e 45 milioni di dollari per i restanti mesi del 2018. Su base annua, l’impatto è quantificabile tra i 90 e i 100 milioni di dollari.
Davanti a tale scenario, Harley-Davidson implementerà un piano per spostare dagli Stati Uniti ai suoi impianti internazionali – in Brasile, India, Australia – la produzione delle motociclette destinate all’Unione Europea. Per attuare il progetto, la compagnia dovrà effettuare investimenti supplementari in un iter che potrebbe durare, nel complesso, tra 9 e 18 mesi.
Sebbene il ’dna a stelle e strisce’ rimanga un elemento distintivo della compagnia, la casa evidenzia che “l’Europa è un mercato cruciale”. Nel 2017, quasi 40.000 riders nel Vecchio Continente hanno acquistato una moto del brand, che in Europa produce ricavi inferiori solamente a quelli garantiti dagli Stati Uniti.
La società ribadisce, in ogni caso, la disponibilità e l’impegno a collaborare con le autorità statunitensi ed europee per individuare soluzioni sostenibili alle questioni commerciali, con l’obiettivo di rimuovere le barriere in grado di ostacolare il commercio libero ed equo.