(Adnkronos) – L’ex presidente della Bce Mario Draghi presenta oggi, lunedì 30 settembre, il suo rapporto sulla competitività dell’Ue. L’Unione Europea “è un’economia aperta, è più aperta di qualunque altra”. “Il 50% del nostro Pil viene dal commercio” con l’estero, mentre in Cina la quota è intorno al “37%” e negli Usa al “27%”, quindi, “se facessimo come gli Stati Uniti, ci danneggeremmo. Siamo diversi dagli Usa: non possiamo erigere un muro protezionista. Non potremmo farlo neanche se lo volessimo, perché ci danneggeremmo da soli”. “I singoli Paesi europei sono semplicemente troppo piccoli per affrontare le sfide”, poste dall’attuale contesto internazionale, dice nella sede del think tank Bruegel, a Bruxelles. “In molti settori – afferma – serve dimensione e si ottiene solo se ci integriamo. Allora avremo i soldi, ma la prima cosa per le imprese medio piccole è essere in grado di crescere. E non abbiamo la dimensione” necessaria a che le Pmi possano crescere e raggiungere dimensioni più grandi nell’Ue a causa delle “barriere nazionali”. “Le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio vanno rivisitate insieme, in un quadro multilaterale. Se andiamo al tavolo negoziale e vogliamo essere presi sul serio, è meglio non solo stare al tavolo, ma essere forti mentre ci stiamo. Non possiamo permetterci di venire indeboliti: la prima linea di difesa è crescere da soli. Non sussidi, ma ristrutturare e innovare”. “L’alternativa ad avere una strategia industriale europea non è, come pensano alcuni, non avere alcuna strategia industriale. No: è avere molte strategie industriali, scoordinate tra loro. Cosa che comporta molti svantaggi”. “E’ quello che vediamo oggi – continua – significa lasciare a ogni Stato membro decidere quali tecnologie sono strategiche, significa sacrificare la concorrenza, perché” le decisioni strategiche vengono prese “per lo più a livello nazionale, distorcendo l’allocazione delle risorse in Europa. E significa anche risultati scadenti”, come dimostrano “alcuni recenti fallimenti di progetti nazionali di alto profilo. Capiamoci: voglio che l’Europa resti aperta, voglio parità di condizioni. Dobbiamo essere ambiziosi e puntare sull’innovazione” aggiunge. Se nell’Ue “facciamo le necessarie riforme, la produttività” aumenterà, e “questa specie di dramma politico percepito, di dover finanziare” investimenti per 750-800 miliardi aggiuntivi l’anno “prenderà una dimensione più realistica”. Ma “in ogni caso” saranno necessari “soldi pubblici”, perché “alcuni di questi investimenti, specialmente i più grandi”, riguardano “beni pubblici” e “sappiamo che il settore privato” tende a “sottofinanziare” questo tipo di progetti. La “stima” sugli investimenti per accorciare il divario rispetto a Usa e Cina viene da “un calcolo effettuato indipendentemente dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea”, è pari a circa il “5% del Pil europeo” e “incidentalmente, si tratta di stime relativamente conservative”. “Non include”, inoltre, “il clima e la protezione dell’ambiente, che sfortunatamente vediamo essere sempre più necessarie, non include gli investimenti nell’educazione, nelle competenze, nella formazione, che saranno necessari”. Draghi aggiunge che “molte delle cose” contenute nel rapporto “verranno fatte comunque”, perché “non si può dire di no” a bisogni basilari come, per esempio, l’autodifesa. Nelle telecomunicazioni “non vogliamo avere 27 monopoli nazionali”. “Quello che il rapporto vuole è un certo numero di soggetti paneuropei che competano ferocemente nei mercati nazionali”, spiega. La politica di concorrenza Ue, aggiunge Draghi, permette la creazione di “operatori marginali”, vale a dire aziende che aumentano la concorrenza, riducendo i margini a beneficio degli utenti, ma che poi non dispongono delle risorse finanziarie necessarie per investire nelle infrastrutture di connettività, le quali diventano sempre più importanti per la competitività dell’intero sistema, specie con l’avvento della “intelligenza artificiale” e della necessità di “allenare” i relativi modelli e sistemi. Nell’Ue, conclude Draghi, ci sono circa “35” operatori principali nelle tlc, mentre negli Usa sono solo “4” e in Cina “5”, ricorda, con il risultato che “il Capex”, Capital Expenditure, cioè gli investimenti in infrastrutture, in Europa è “più basso” rispetto a Cina e Usa. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Data:
30 Settembre 2024