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Una brutta storia questa di Giulio

Sono trascorsi poco più di due mesi da quel tragico mercoledì egiziano. Era il 3 febbraio e il corpo martoriato di Giulio Regeni, il nostro Giulio, veniva ritrovato sul ciglio di una strada del Cairo. Torturato al punto di essere riconosciuto da sua madre dalla sola punta del naso.Era lì per compiere delle ricerche sociologiche. Pericolose dirà qualcuno. Innocenti controbatteranno altri.

Era in Egitto come tanti altri italiani che lì lavorano.

Sono circa centotrenta le nostre industrie. Un patrimonio che se da un lato sviluppa occupazione, dall’altro incassa profitto. Intesa San Paolo, Pirelli, Saipem, Edison, Ansaldo, Breda, Italcementi, Cementir, Danieli, Trevi, Tecnimont, Iveco, Technit, Carlo Gavazzi, Gruppo Caltagirone, Eni, che da sola ha portato alla terra dei faraoni investimenti per 14 miliardi di dollari.

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È proprio l’Eni ad aver annunciato lo scorso agosto la scoperta di Zohr, un giacimento marino da 850 miliardi di metri cubi di gas in un’area in concessione che inizierà a produrre tra il 2018 e il 2019, raggiungendo il picco nel 2024. Secondo i dati statistici egiziani CAPMAS, relativi ai primi dieci mesi del 2015, le importazioni dell’Italia sono arrivate a 2,7 miliardi di dollari USA, mentre le esportazioni egiziane verso il nostro Paese sono diminuite di 930 milioni di dollari USA, con un trend negativo in quasi tutti i comparti merceologici, petrolio in testa (-52%).

Il saldo commerciale a nostro favore ammonta a 1,36 miliardi di dollari USA, registrando un notevole incremento rispetto ai 442 milioni dei primi dieci mesi dell’anno precedente.

Dalle elezioni che hanno portato alla presidenza il generale Abdel Fattah Al Sisi, i rapporti, da sempre buoni, si sono intensificati.

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Non è un caso che quando si apprese di Giulio si trovasse al Cairo una delegazione di 60 aziende guidata dall’ex ministro per lo sviluppo economico Federica Guidi, accompagnata dai rappresentanti di Sace, Simest, Confindustria e dal presidente del Business Council italo-egiziano Marcello Sala che ricopre anche la carica di vicepresidente esecutivo del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo.

“Un momento difficile” si lasciò scappare. Probabilmente preoccupato del danno che tale assassinio avrebbe potuto arrecare alle trattative commerciali.

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“Il legame non si limita allo scambio di import ed export. Ci sono molte storie di travaso di know how, come il progetto Cotton for life presentato in luglio all’Expo, che ha come protagonista la Filmar”. La società bresciana sta infatti promuovendo un’iniziativa per lo sviluppo sostenibile incentrata sulla coltura e valorizzazione del cotone egiziano di alta qualità. “Nel Paese opera anche lo storico cotonificio Alpini di Bergamo. Le nostre imprese godono del supporto di preparazione professionale dell’Istituto salesiano Don Bosco che quest’anno ha anche avviato un progetto per un corso di ingegneria con il Politecnico di Torino”. Ha spiegato Sala.

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Il know how italiano, in forte competizione con quello degli altri Stati occidentali, trova spazio nell’Egitto di Al Sisi , deciso ad investire in settori strategici quali energia, grandi opere, trasporti, logistica e telecomunicazioni, circa 90 miliardi di dollari, promessi in buona parte dalle monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa. “L’Egitto è un’area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche… in favore della prosperità e della stabilità” disse il presidente del consiglio Matteo Renzi durante il vertice economico tenutosi nel marzo 2015 a Sharm el Sheikh.

Nonostante il clima riverberi le continue tensioni tra le tre maggiori potenze sunnite Arabia Saudita, Turchia e Qatar, tutte alleate degli Stati Uniti, Al Sisi ha fatto di tutto per dare all’Occidente l’immagine di una realtà stabile e controllata.

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Per quanto abbia intrapreso un’opera di democratizzazione, vietando i partiti islamici (pur mantenendo una certa tolleranza nei confronti dei salafiti) e cercando di smussare un insegnamento scolastico e universitario troppo integralista, il sincretismo, che visse nel II secolo Alessandria, appare una realtà quanto mai distante. La presenza al Cairo del gruppo Ansar Beit al-Maqdes e dei Partigiani di Gerusalemme non è certo facile da gestire.

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“La sfida egiziana è anche la nostra sfida, la stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità” ribadì il premier durante il vertice di Sharm. L’Italia è il primo partner commerciale del Paese e già questo rende essenziale la sussistenza di rapporti più che solidi. L’Egitto è uno snodo strategico, indispensabile per il controllo della Libia, considerate le buone aderenze del generale. Se è vero che le relazioni italo-egiziane si reggono su una reciprocità di interessi, c’è da chiedersi quale tra i due Paesi si trovi nella posizione di maggiore vantaggio rispetto all’altro. Al Sisi vede si nell’Italia la sua possibilità di costruire relazioni stabili con l’Europa, ma va considerata l’appetibilità del Cairo per gli investitori inglese, francese, cinese e russo.

La continua minaccia delle cellule jihadiste, forse per il desiderio di Al Baghdadi di usare Il Cairo come avamposto per il Maghreb, è lapalissiana, ma i pretendenti commerciali confidano nell’interventismo, naturale inclinazione di una mentalità che, per quanto democratica, è pur sempre mediorientale.Se si considera quanto sia costata ad Al Sisi la stabilizzazione del Paese, quanto gli prema mantenere il ruolo di negoziatore nel conflitto israelo-palestinese e quanto intenda risolvere la questione libica, non è difficile comprendere come i suoi apparati non si facciano scrupoli nell’usare la forza per prevenire e reprimere focolai.

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Giornalisti, organizzatori umanitari, ragazzi animati dal desiderio di costruire un mondo migliore, che da noi sono motivo d’orgoglio, lì costituiscono un pericolo. Perché l’Egitto non è l’Italia… lì le cose si è abituati a conquistarle con il sangue e con il sangue, se necessario, si proteggono. Sono troppi i casi di gente uccisa da “nessuno” sulla quale pendeva, forse, il sospetto della sovversione.

Per la prima volta “nessuno” ha ucciso però un italiano.

Una brutta storia questa di Giulio sulla quale trapelano continue indiscrezioni anonime. Parlano di informazioni negate, minacce, torture ogni oltre umano diritto.

Le fonti anonime si sa, vanno verificate; non si può cadere nell’errore di accoglierle quali oro colato e si attendono conferme ufficiali dall’Autorità governativa.

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Se arrivasse una verità e fosse convincente, c’è da chiedersi cosa farebbe l’Italia per rendere giustizia a una vita strappata con inaudita violenza a un futuro brillante che avrebbe reso sicuramente onore al Paese, nel convincimento che quel record nel partenariato, conquistato con intelligenza e democrazia non possa finire nell’album dei ricordi di una storia economica che fu.

Data:

9 Aprile 2016