Mentre la UE vuole fare “il primo della classe” della sostenibilità, il resto del mondo segue la sua strada, ed è una strada insostenibile. Il prelievo di risorse naturali non rinnovabili è più che triplicato dal 1970, inclusa la moltiplicazione per cinque nell’uso di minerali non metallici e un incremento del 45% nell’uso di combustibili fossili. Entro il 2060, l’uso globale di minerali potrebbe arrivare a 190 miliardi di tonnellate (dai 92 miliardi), mentre le emissioni di gas serra potrebbero aumentare del 43%. L’estrazione e la lavorazione di materiali, combustibili e cibo contribuiscono per metà delle emissioni globali totali di gas serra e per oltre il 90% alla perdita di biodiversità e dello stress idrico.
Sono i dati contenuti nel Global Resources Outlook 2019, elaborato dall’International Resource Panel, che esamina gli andamenti delle risorse naturali e i modelli di consumo corrispondenti a partire dagli anni ’70 per supportare i responsabili politici nei processi decisionali strategici e per sollecitare alla transizione verso un tipo di sviluppo che sia planetariamente sostenibile a lunga scadenza.
Stando al rapporto, pubblicato in occasione della Assemblea Onu sull’Ambiente (Unea-4), “la rapida crescita dell’estrazione di materiali è il principale responsabile dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità; una sfida che peggiorerà a meno che il mondo non intraprenda urgentemente una riforma sistemica dell’uso delle risorse”.
Negli ultimi 50 anni, la popolazione mondiale è raddoppiata ma il prodotto interno globale è quintuplicato, indicatore dell’aumento del benessere economico medio globale. Sta tutto in questi aumenti il boom economico dell’Asia. Il rapporto rileva che, nello stesso periodo, l’estrazione globale annuale di minerali è passata da 27 miliardi di tonnellate a 92 miliardi di tonnellate (al 2017) e raddoppierà, in base alle tendenze attuali, entro il 2060. Secondo il rapporto, “l’estrazione e la lavorazione di materiali, combustibili e cibo rappresentano circa la metà delle emissioni totali di gas serra globali e oltre il 90% della perdita di biodiversità e lo stress idrico”.
Le risorse minerali sono a costo di estrazione crescente, e a disponibilità limitata, e questo comporterà in prospettiva un freno spettacolare per lo sviluppo economico mondiale. Se tutta l’umanità vuole avere lo stesso livello di modello economico degli USA, allora l’umanità dovrebbe diminuire proporzionalmente di numero, non aumentare. Per molte ideologie a componente etnica (le culture tribali e nazionaliste spiegano il boom demografico in Africa) o religiosa (l’islamismo ha un tasso di crescita dei suoi aderenti triplo di quello europeo autoctono, e l’islamismo è contro il controllo delle nascite) invece il fare più figli possibile è doveroso e l’aumento di popolazione è conseguente, e non si vede alcun segno di modifica. Un previsione razionale quindi comporta proprio l’opposto: un aumento della popolazione mondiale; i Paesi che per primi hanno adottato politiche di contenimento delle nascite saranno, in questo contesto conflittuale, “innovatori suicidi” poiché saranno soverchiati dai flussi di popolazione provenienti da Paesi dove invece le nascite si moltiplicano; e dovranno da un lato invertire il trend demografico e dall’altro difendersi ferocemente da una immigrazione equiparabile a una invasione “a freddo”, se vogliono vincere i futuri conflitti interetnici.
Al 2010, i cambiamenti nell’uso del suolo hanno causato una perdita di specie globali di circa l’11%. Nulla può essere più spietatamente chiaro di questo avviso: “L’Outlook delle risorse globali mostra che stiamo scavando attraverso le risorse limitate di questo Pianeta come se non ci fosse un domani, causando cambiamenti climatici e perdita di biodiversità lungo il percorso – sottolinea Joyce Msyua, direttore esecutivo facente funzione di Un Environment – Francamente, non ci sarà un domani per molte persone a meno che non ci fermiamo”.
I politici UE non debbono crogiolarsi nel benessere raggiunto, perché l’area UE è una regione sovrappopolata, che dipende dalle importazioni di cibo e minerali dall’estero, divisa al suo interno tra decine di Stati, con una politica verso gli altri Stati che definire “debole” è un eufemismo, senza confini geografici che la difendano come hanno la fortuna di avere gli USA. L’unica barriera fisica è il Mediterraneo, ma è una barriera debole, ancora più indebolita dalle politiche xenofile e da una legislazione tutta sbilanciata verso l’accoglienza indiscriminata. Di fronte alle previsioni dell’Onu i politici UE dovrebbero essere i primi ad avere gli incubi e ad adottare le necessarie politiche di gestione economica e della pressione migratoria, politiche comparabili e allo stesso livello di quelle adottate largamente da Paesi con ideologie nazionaliste più aggressive e classi dirigenti più lungimiranti.
Dal 2000, la crescita dei tassi di estrazione di minerali è aumentata al 3,2% annuo, trainato in gran parte da importanti investimenti in infrastrutture per standard di vita materiali più elevati nei Paesi in via di sviluppo e in transizione, specialmente in Asia. I Paesi più ricchi hanno ancora bisogno di 9,8 tonnellate di materiali a persona nel 2017, importati da altre parti del mondo. Se tale tasso di sviluppo fosse esteso a tutta la popolazione umana, per tornare ai livelli di consumi di minerali del 1970 la popolazione mondiale dovrebbe “scendere” di colpo a 2,7 miliardi.
Tutti i tipi di sviluppo effettivamente applicati, come le auto a batteria o la crescita del trasporto aereo o dell’uso dell’informatica, invece puntano al contrario a un “incremento” dei consumi di minerali pro-capite. Va ricordato che il boom economico cinese ha potuto iniziare solo grazie alla politica coercitiva del “figlio unico” che, secondo alcune stime, ha comportato circa 500 milioni di cinesi in meno, a cui vanno aggiunti i discendenti mancati. Il mancato sviluppo economico di molti Paesi va attribuito anche alla non decrescita della popolazione. Tuttavia la decrescita in pochi Stati lungimiranti, in un mondo di Stati dove la popolazione è in crescita anche a tassi del 3% annuo, sta creando conflitti spaventosi dovuti alla pressione migratoria e all’invecchiamento medio della popolazione, conflitti che stanno crescendo di intensità. Gli esempi non mancano.
Più nel dettaglio, l’uso di minerali metalliferi è aumentato del 2,7% all’anno e gli impatti associati sulla salute umana e sul cambiamento climatico sono raddoppiati durante il periodo 2000-2015. Se si mantenesse il raddoppio ogni 15 anni questo comporterebbe per il 2100 che l’impatto si moltiplicherebbe per cinquanta!
Modificare lo sviluppo economico però è costoso: i giovani europei e cinesi che oggi protestano per il cambiamento climatico debbono rendersi conto che ridurre il consumo di materie prime nei loro Paesi, perché in altre parti del mondo la miseria è tale che non è neanche ipotizzabile ridurre i consumi, comporterà scomodità “concrete”, ad esempio con una riduzione del parco auto, dei consumi digitali, di condizionamento e riscaldamento, dei viaggi. La globalizzazione economica è anche dovuta al fatto che l’utilizzo di combustibili fossili è passato da 6 miliardi di tonnellate nel 1970 a 15 miliardi di tonnellate nel 2017. La quasi scomparsa delle carestie, all’origine dell’incremento della popolazione mondiale, è dovuta anche al fatto che la biomassa utilizzata è passata da 9 miliardi di tonnellate a 24 miliardi di tonnellate, principalmente per cibo, materie prime ed energia. Per la prima volta nella storia dell’Homo Sapiens, non ci sono più spazi di espansione agricola: Mato Grosso e Borneo, le ultime aree selvagge in zone dove sia possibile l’agricoltura, sono state ormai colonizzate.
Per la prima volta nella storia dell’Homo Sapiens, non è più possibile neanche emigrare verso aree spopolate o quasi. Quelle meno densamente popolate hanno strutture sociali “pericolose” o sono economicamente sottosviluppate, ma una emigrazione che si rivolge solo verso quelle sviluppate dimentica che quelle aree sono importatrici di risorse e così ne aggrava i problemi di dipendenza.