Si prospetta una manovra inchiodata dalla scelta di ridurre la pressione fiscale su alcune classi di contribuenti e legata al rispetto dei vincoli UE
L’estate 2024 sarà segnata nella storia del Paese perché il Governo italiano è costretto a uscire dal suo dorato giardino di illusioni (scriveremmo lo stesso se invece di un governo di destra fosse un governo di sinistra, di centro, o combinazioni) per percorrere la via UE (potremmo anche scrivere nord-europea, ricordando dove siano gli Stati cosiddetti “frugali”) dei vincoli al deficit pubblico.
Se prosegue questo processo avviato da decenni, e rafforzato in questi due anni dal governo Meloni, è facile prevedere la fuga dalla patria di molti altri “talenti”, e il non ritorno dei tanti già emigrati.
Sulla velocità del processo di allineamento alle economie UE del Belpaese si misura
infatti il nostro futuro. Consideriamo per esempio gli effetti dell’allineamento al modello UE della organizzazione statale di assistenza, sanità, previdenza; il cosiddetto “welfare”, tanto per usare l’ennesimo termine inglese che nessuno capisce tranne gli addetti ai lavori.
Numerosi italiani (intesi qui come “cittadini dell’Italia”) presumono oggi di vivere in un sistema pubblico di protezione sociale uniforme, in realtà il territorio dell’Italia presenta disomogeneità, tra
sufficiente efficienza al centro-nord e sacche di cattivo funzionamento al sud; e questa è una delle ragioni perché il Nord vuole l’autonomia, differenziata o meno.
La legge sull’autonomia differenziata trasferisce sempre più poteri alle regioni, ma resta il ruolo dell’INPS come Ente centrale; un Ente dove si confondono previdenza e assistenza, e anche contributi obbligatori previdenziali e finanziamenti dalla fiscalità generale, e la confusione regna sovrana.
Il federalismo si ritiene accorci la catena governanti-governati e, come si vede in alcuni Stati della UE, premi elettoralmente solo i meritevoli; ma applicato in Stati con cultura, e problemi, diversi siamo sicuri che sia sempre vero?
Così anche nel mondo della politica, i tagli effettuati nella futura manovra dovrebbero avviare un processo di allineamento di vari parametri di bilancio a livello richiesto dalla Commissione UE. Ma sperare che questo si ottenga tagliando i “costi superflui”, ad esempio gli enti
territoriali locali, è una illusione. Come si è rivelato esserlo il tagliare il numero dei parlamentari, lasciando gli stessi benefit; non è piaciuto lasciare il numero invariato, e tagliare le retribuzioni, ai lettori dedurre il perché.
Dal punto di vista delle entrate pubbliche le misure di cui si discute appaiono assolutamente contraddittorie: da un lato si continua a ridurre la pressione IRPEF su alcune classi di contribuenti, ma dall’altro occorre finanziare comunque la triade sanità – assistenza – educazione, che viene finanziata sempre meno. I i dieci euro che vengono messi in tasca tramite riduzione IRPEF sono compensati (non per tutti ) da venti euro per incremento delle spese dove lo Stato centrale ha tagliato in termini reali.
Nulla di nuovo. Già nel 2011 l’esecutivo Berlusconi, come ammise lo stesso ministro Giulio Tremonti, fu sicuramente responsabile dei ritardi nelle azioni di governo. Da settembre del 2008, cioè dall’inizio della crisi economica mondiale, fino ad oggi sono stati sempre annunciato numerosi provvedimenti per rafforzare l’Italia e tenerla lontana dalle turbolenze dei mercati finanziari. Nel 2011 l’Italia finì al centro di una tempesta finanziaria e soltanto con l’aiuto della Banca centrale europea l’Italia ne uscì. Negli anni seguenti la cosa si è ripetuta e ora la UE ha però portato il conto da pagare.
Si parlava di raggiungere il pareggio di bilancio alla fine del 2013 in modo che il debito pubblico, allora pari a 1.900 miliardi di euro, si riducesse strutturalmente; oggi il debito pubblico italiano viaggia verso i 3.000 miliardi di euro e il 135% del PIL.
C’è solo da sperare a questo punto che il Governo italiano imbocchi una linea del rigore senza macelleria sociale scaricata sui poveri, ma i continui tagli in termini di potere d’acquisto (spacciati per aumenti giocando sulle cifre) hanno già tolto questa illusione a molti.
La costruzione di un sistema di governo UE richiederebbe solide e lungimiranti leadership al momento difficilmente individuabili; ciò che è solido, come la Presidenza UE e NATO , non è lungimirante. Richiederebbe uomini, ad esempio, come Jacques Delors che alla fine degli anni ’90
preannunciava misure come gli Eurobond che se fossero state realizzate avrebbero arginato le turbolenze successive.
La vera crisi italiana, UE ed europea probabilmente è causata dall’attuale assenza di statisti di valore che possano autorevolmente guidare i Paesi d’Europa, in particolare dell’area dell’Euro. Le “nefaste previsioni” dei bookmaker del mercato azionario anglosassoni si basano su rilevazioni di quanto accade, non su dibattiti da “social dei pensionati”.
Sullo sviluppo dell’area Euro si dovrebbero concentrare le future politiche di sviluppo e di crescita. Con buona pace anche dei protestatari di professione “made in Italy” che vorrebbero continuare a curare solo i propri giardini ultra protetti, o dei dilapidatori che stanziano centinaia di miliardi per supportare uno Stato che non è nella UE, con cui non vi è né vi era alcun accordo di difesa, e che ha sviluppato una politica estera totalmente avulsa dal realismo.
Per confronto, la strategia di sviluppo del governo della Repubblica Popolare Cinese, piaccia o no, ha dato frutti giganteschi e continua a darli. Quando un governo italiano va a trattare per installare in Italia stabilimenti di una azienda per fabbricare veicoli che sarà posseduta, creata, gestita da cittadini cinesi, la cosa dovrebbe indurci al riflettere su cosa siamo diventati.