Sarà una battaglia all’ultimo voto quella delle presidenziali USA 2020 che vedono di fronte Donald Trump e Joe Biden. Se il regolamento prevedesse che il candidato con più voti complessivi entri di diritto alla Casa Bianca, potremmo già dire con un margine di errore quasi nullo che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sarà Joe Biden. Così, però, non è, e il particolarissimo sistema elettorale americano, che di fatto fa sì che il voto degli abitanti di determinate zone valga molto più del voto di altri potrebbe giocare un bruttissimo scherzo ai democrats, a maggior ragione considerando che Trump ha dalla sua l’organizzazione di buona parte dei distretti elettorali e una Corte Suprema che per due terzi fa il tifo per lui, dopo la ratifica definitiva dell’elezione di Amy Coney Barrett, una che dà più importanza alla lettera della Bibbia di quanta ne dia ai diritti umani. Primo giudice di sempre della Corte Suprema ad essere eletto senza ricevere nemmeno un voto dai senatori dell’opposizione, la giurista originaria di New Orleans sposta pesantemente gli equilibri della giurisprudenza statunitense verso il conservatorismo più estremo, se non proprio verso il reazionarismo.
Per vincere veramente, e non rischiare un “Al Gore bis”, i democratici sono quindi costretti a stravincere. Le ultime notizie dai sondaggi, però, non sono assolutamente confortanti per Biden e sostenitori. Infatti, se l’ex-vicepresidente ha raggiunto ormai un vantaggio record del 12% su scala nazionale (mai così alto negli ultimi 20 anni), il rischio di una rimonta clamorosa di Trump negli Stati più contesi è incredibilmente concreto. Il tycoon ha impostato la sua campagna elettorale sin dal principio sapendo che avrebbe ricevuto probabilmente meno voti del rivale in numeri assoluti, e ha quindi concentrato gran parte delle forze in quegli Stati che potrebbero garantirgli, come nel 2016, una vittoria nonostante la minoranza dei voti. Strategia, questa, che sta sembrando vincente a prescindere da come andrà a finire: grazie agli sforzi fatti nel portarla avanti, Trump è infatti ancora in partita. Avesse agito diversamente, sarebbe già tagliato fuori. Di più: non solo è in partita, ma sembrerebbe accingersi alla vittoria nell’importantissimo Stato della Florida, il più numeroso per numero di “grandi elettori” (29) tra quelli contesi.
Come quattro anni fa, si prevede che la Florida sarà uno degli Stati che comunicheranno per primi i risultati elettorali, dato che lì il conteggio dei (numerosissimi) voti postali è già partito, a differenza degli altri Stati dove inizierà solo a seggi chiusi. Nel 2016, la notizia della vittoria repubblicana in Florida fece da apripista alla débâcle di Hillary Clinton. Il prossimo 3 novembre, sembrerebbe che, in caso di vittoria in Florida, la partita sarebbe definitivamente chiusa a favore dei democrats, mentre, se dovesse spuntarla Trump, tutto tornerebbe di nuovo in discussione (anche se Biden manterrebbe ancora un certo margine di vantaggio). Proprio gli ultimi sondaggi affermano che per i dem non c’è da star tranquilli: le ultime medie statistiche affermano, per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni, che in Florida i repubblicani siano avanti, seppur di un misero 0,4%. Tanto basterebbe, però, per assegnare ai “rossi” i 29 grandi elettori in palio. In quel caso, se anche poi i democratici dovessero avere la meglio nel computo totale dei seggi, le minacce di Donald Trump di non riconoscere la sconfitta, anche col supporto di gruppi armati di estrema destra, diventerebbero molto più concrete.