Ancora violenza per mano delle forze di polizia sulle strade statunitensi. La vittima questa volta è Linden Cameron, un ragazzino di 13 anni affetto da autismo, contro cui degli agenti di pattuglia di Salt Lake City hanno aperto il fuoco nel corso del loro intervento. A rivolgersi al numero di emergenza 911 sarebbe stata la madre del ragazzo, Golda Barton, che avrebbe richiesto l’aiuto delle forze dell’ordine di fronte ad una forte crisi avvertita dal ragazzo dopo il ritorno della donna dal lavoro. Linden soffriva generalmente di attacchi di ansia quando lasciato solo, ma considerata la preoccupazione della madre, quello specifico episodio di escandescenza sarebbe stato anomalo. Nonostante però la fragilità della situazione, non sarebbero sussistiti elementi di rischio tali da indurre gli agenti ad aprire il fuoco contro un soggetto vulnerabile e disarmato. “Gliel’ho detto (ai poliziotti), ’guardate, è disarmato, non ha nulla, si è solo arrabbiato e ho cominciato a urlare, è un ragazzino, sta cercando di ottenere attenzione’“, ha raccontato la donna a una tv locale; eppure il ragazzo è rimasto ferito a spalla, intestino, vescica e caviglia, per i colpi di arma da fuoco, procuratigli dagli agenti.
La questione dell’abuso di potere di cui innumerevoli volte si sono rese responsabili le forze dell’ordine negli Stati Uniti, oltre ai fattori che accomunano gran parte di questi episodi, riconducibili a discriminazioni razziali o alla tensione avvertita dalla presenza massiva di armi tra la popolazione civile (in un rapporto di 120,5 pistole ogni 100 abitanti), è da riportare ad una questione giuridica. L’impunità di tali ostilità, scaturisce, infatti, da una giurisprudenza che dispone la cosiddetta “qualified immunity”, attribuendo quindi una sorta di immunità, ai pubblici ufficiali, per atti illeciti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni, se in buona fede. Un’ interpretazione più estensiva, avanzata dalla Corte Suprema negli anni ’90, nei riguardi di questa clausola, stabilisce che spetti alla vittima, dimostrare che gli agenti avevano agito violando apertamente un diritto chiaramente stabilito; il che, in un ordinamento basato su un modello di common law, che costruisce la propria giurisprudenza sull’accumularsi di pronunce giurisprudenziali, implica la necessità per la vittima, di dimostrare che il diritto di cui si suppone la violazione, sia già stato oggetto di un caso legale, e presenti lo stesso “contesto specifico” e la stessa “condotta particolare”. Naturalmente si tratta di un sistema che va a discapito delle vittime, le quali spesso non dispongono delle risorse per riuscire ad invocare le cause della colpevolezza degli agenti, minando alla giustizia di tutti. D’altra parte esso costituisce una vera falla nel sistema, in quanto non incentiva i pubblici ufficiali ad attenersi alla diligenza e alla prudenza nello svolgimento dei propri obblighi.