Dopo 38 anni di onorato servizio, Anthony Fauci ha annunciato le proprie dimissioni dai ruoli di consigliere della Casa Bianca e direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases.
Non un fulmine a ciel sereno, dato che lo stesso Fauci, giunto all’età di 81 anni, aveva parlato dell’imminente ritiro in diverse interviste.
Consulente di sette presidenti degli Stati Uniti, divenuto un volto noto per la popolazione soprattutto a seguito dell’emergenza Covid, insieme a lui va via un pezzo di storia americana.
Joe Biden l’ha ringraziato e salutato descrivendolo come un “appassionato servitore dello Stato e una guida ferma nel segno della saggezza“. D’altronde, i due avevano avuto modo di collaborare già nel corso dell’epidemia di Zika, quando Biden ricopriva il ruolo di vicepresidente ai tempi del governo Obama, instaurando ottimi rapporti. Stessa cosa non si può dire di Trump, che ha sempre manifestato una certa diffidenza nei confronti dell’immunologo, non condividendo alcune delle sue direttive nel pieno della pandemia da coronavirus. Sebbene Fauci abbia sempre lavorato bene sia con repubblicani che con democratici, tra lui e il tycoon non è mai corso buon sangue. Anche per questo il volto di Fauci è diventato il simbolo delle restrizioni, profondamente odiato da no vax e negazionisti. Lo stesso Trump aveva finito per definirlo un “ciarlatano”, criticandone l’eccessivo allarmismo, a suo dire dettato da interessi economici.
Fauci entrò a far parte del National Institute of Health nel 1968 e fece il suo ingresso alla Casa Bianca negli anni del governo Reagan. Particolarmente apprezzato fu il suo piano per contrastare l’Aids, sotto l’amministrazione di George W. Bush, che gli valse l’appellativo di “eroe” durante un dibattito presidenziale nel 1988. Il cosiddetto progetto Pepfar, infatti, contribuì a salvare ben 21 milioni di vite umane.
